Il Mercato di Porta Genova
Circa 15mila metri quadrati destinati alla vendita di prodotti agroalimentari di qualità con aree per somministrazione e consumo di cibo, spazi per eventi culturali e di intrattenimento. A oggi c'è una richiesta di fallimento per il mercato che ha accumulato debiti per un milione di euro. I creditori, fatta una cordata e ottenuto undecreto ingiuntivo, hanno lanciato la proposta di rientrare come soci a patto che la gestione torni quella originaria, ovvero con il team di Mercato Metropolitano, con in testa l'imprenditore Andrea Rasca che ha dato vita al progetto meno di un anno fa ai tempi dei grandi fast di Expo 2015 e oggi anch'esso tra i creditori. Da settembre 2015 il mercato non è più cosa sua, avendolo lasciato in mano agli ex partner di Qualitàlia, (tra i cui soci c'è Unaproa che unisce oltre 125 produttori agroalimentari).
Il brand Mercato Metropolitano
Ma quello di Milano era solo il primo di una serie di punti vendita e somministrazione di cibo di qualità, nati con lo slogan “il buon cibo italiano non è lusso”. Lasciatasi alle spalle l'esperienza meneghina, Rasca ha continuato per la sua strada a ritmo sostenuto approdando a dicembre a Torino, a Porta Susa, e continuando a ritmo sostenuto: Londra a giugno; poi Tokyo, Roma, Bruxelles e così via. In programma 20 aperture in 3 anni. I progetti nascono sempre dalla stessa filosofia: piccoli, piccolissimi produttori, vendita e somministrazione, partecipazione alla vita culturale e sociale della città, coinvolgimento delle realtà agroalimentari locali. Sia in Italia che all'estero.
Ma cosa succede ora a Milano e quali sono i progetti di quello che sta sempre più assumendo l'aspetto della risposta popolare a Eataly (dove tra l'altro Andrea Rasca ha lavorato)? Lo abbiamo chiesto a lui.
Parliamo dall'attualità: cosa succede con il Mercato di Porta Genova?
Dall'8 settembre 2015 ho firmato per ritirare il brand, il nome Mercato Metropolitano è rimasto fino alla fine dell'Expo, ma già non c'entravamo più niente. Anzi siamo anche noi tra quelli che devono ancora avere dei soldi. Ci hanno chiamato gli altri creditori, avvisandoci che avrebbero fatto un decreto ingiuntivo e chiedendoci la nostra disponibilità a sostenerli. L'idea è quella di convertire parte dei nostri crediti in azioni per rilanciare il mercato. Ma questa proposta ce l'hanno fatta chiedendoci che tutto torni sotto la nostra gestione e dunque sotto l'egida di Mercato Metropolitano.
E la posizione di Unaproa?
Sono i titolari del bando, al momento stiamo dialogando con loro, ma l'unica possibilità che vediamo attualmente è questa.
L'ipotesi di coinvolgere altri investitori?
Bisognerebbe risanare i debiti. Anche così l'opzione più realistica è che tutti i creditori facciano una cordata ed entrino nella società.
Fino all'estate le cose andavano bene, cosa è accaduto poi?
Le cifre erano di 2 milioni e mezzo di visitatori e 8 milioni di fatturato fino a fine agosto, poi Qualitàlia ha pensato di poter portare avanti da sé il mercato, con una filosofia completamente differente. Allora ne siamo usciti.
Differenze così incolmabili?
Noi non volevamo posizioni dominanti tra i fornitori, ma che fossero tante piccole realtà, invece si è creato una specie di duopolio con interessi molto alti. Si stava affermando una logica più commerciale, perdendo il valore sociale del Mercato Metropolitano.
Questo nella filosofia, ma invece nella pratica, dunque nei conti, cosa non ha funzionato?
Dopo la mia uscita il mercato si è ridotto tantissimo, perché con me è andata via praticamente tutta la squadra e anche moltissimi produttori. Perdendo la spinta originaria, inoltre, il mercato ha cambiato anima e ha perso appeal, e a quel punto è venuto a mancare sia l'interesse del pubblico che quello dei media. Questo vale anche per gli eventi, più commerciali e di qualità più bassa. Poi andando incontro all'inverno non sono stati fatti investimenti fondamentali, come per esempio la copertura dello spazio esterno. Da lì sono iniziati a saltare i pagamenti. Fondamentalmente quello non era il loro lavoro…
Torniamo al marchio Mercato Metropolitano. Cosa è cambiato con l'arrivo di Intesa San Paolo?
Abbiamo fatto una piattaforma web che unisce il marketplace Mercato Metropolitano e il sito di e-commerce che già avevano. E al momento i siti si sono uniti.
Con quali risultati e quali prospettive?
Siamo partiti da pochissimo, è impossibile fare già un punto della situazione. Abbiamo però progetti più ampi, ma anche fuori dal web. Stiamo ancora testando una parte di e-commerce e su ogni singolo punto vendita puntiamo a sperimentare una parte di delivery.
Non pensate a un ingresso di Intesa in società?
Stiamo ragionando su come fare. Anche perché abbiamo in programma di aprire almeno altri 20 punti vendita nei prossimi 3 anni, dentro e fuori l'Italia ed è importante affrontare in modo corretto i mercati esteri.
Quali sono i punti chiave per l'estero?
Gli stessi che abbiamo avuto fino a ora: il progetto prevede sempre una riqualificazione urbana degli spazi in cui si inserisce, attenzione ai piccoli produttori e agli artigiani, all'aspetto sociale e a quello del benessere, alle attività culturali con cinema, musica, educazione alimentare, arte. Il cuore rimane lo stesso, poi in ogni posto, secondo lo spazio che troviamo e andiamo a risanare, domina il farmer’s market o lo street food, e poi interagiamo con agricoltori e produttori locali.
Quali sono le prossime tappe?
Londra a giugno, nella zona di Elephant & Castle, poi Tokyo dove abbiamo trovato un bellissimo posto sul porto, Shanghai, Bruxelles dove stiamo vedendo due aree molto centrali e molto belle, cui teniamo molto perché vogliamo portare i valori dell'agroalimentare e della gastronomia nel cuore dell'Europa, dove c'è la Commissione Europea.
In Italia?
Entro un anno e mezzo a Milano e Roma. Ma ancora dobbiamo definire le aree.
A Torino avete aperto con pochissimi giorni di lavoro, 400mila euro per 2500 metri quadrati. Come ci siete riusciti. Ed è una formula replicabile?
La vecchia stazione di Porta Susa ha delle strutture molto belle, noi le abbiamo solo mantenute. Volevamo conservare l'essenza di questo luogo e per farlo non servivano grandi interventi. Quando arriviamo siamo noi che ci adattiamo alla conformazione dei locali. Per esempio dove prima si vendevano i biglietti ora ci sono i banchi per la vendita della pizza, gli hamburger e il resto. Abbiamo mantenuto il più possibile l'edifico così come era, riqualificato l'area senza grandi investimenti e senza stravolgere troppo.
E come sta andando?
Per ora in linea con le aspettative invernali. Lo spazio è piccolino, dovrebbe essere ampliato ma aspettiamo le proroghe dalla stazione. Dovrebbe girare intorno ai 4 milioni.
Questo per Torino. E gli altri posti?
L'idea è sempre la stessa: si parte sempre da un edificio bello, ma da valorizzare, che ci danno per un tempo limitato. Per questo gli investimenti devono essere contenuti. Così prendiamo delle aree di cui ancora non si sa cosa fare evitando che cadano in disuso e vengano abbandonate. Così ricreiamo un legame con la comunità per strutture che rischiano il degrado. A Londra è una vecchia cartiera con grandi magazzini intorno che stiamo riqualificando che ci danno per un anno con l'opzione per il secondo.
A Torino meno di un anno
Una programmazione brevissima, con scadenza il 30 settembre. Una gestione così miope è un fenomeno tutto italiano. Con così poco tempo non potevamo investire troppo. Senza contare che lavorare in Italia è impossibile: a Milano abbiamo avuto più di 150 controlli in pochissimo tempo.
Quale è la governance?
C'è un vertice societario e di gestione: il Mercato Metropolitano è in mano mia e di pochissimi soci e poi partecipiamo in ogni realtà insieme. A seconda di chi troviamo facciamo entrare: consorzi, agricoltori, associazioni di produttori. Vogliamo ricreare un modello sociale ed economico oltre che per la vendita.
Ci sono formule societarie e investitori diversi nelle varie città?
Nessuno per ora, solo noi amici. A Londra vogliamo fare una raccolta di crowdfunding, che lì funziona molto. Una partecipazione dal basso, coerente con lo spirito del Mercato Metropolitano, che inizierà tra due settimane, a fine aprile, con quote a partire da 50 sterline.
Di che spazi, dipendenti e investimenti parliamo?
A Londra per 5000 metri quadrati siamo tra un milione e un milione e mezzo di euro. Saranno coinvolte circa 140 persone, come dipendenti diretti e altri 300 indiretti, tra i corner, la palestra, la manutenzione eccetera. Stesso investimento previsto per Tokyo, ma per un'area di 1000 metri quadrati. Tokyo è un mercato molto diverso. Avendo fatto l'apertura di Eataly, lì, la conosco molto bene. Abbiamo un partner (Terada). Ma lì è tutto più complicato, per esempio i fornitori. Con Eataly si era fatto un gran lavoro, portando più di 1000 prodotti in 9 mesi, ma qui è diverso, perché si vogliono coinvolgere anche produttori locali.
Quali prodotti porterete a Londra?
A Londra abbiamo circa 2500 prodotti, e contiamo di coinvolgere dai 500 ai 700 produttori, almeno 150 cantine tra vino e bollicine. Complessivamente arriviamo attorno ai 1000 produttori generici. Molti di questi sono locali. In questo siamo inclusivi.
Parliamo di architettura e allestimento: quali sono i vostri partner?
Nessuno. Ho viaggiato tantissimo, quando vado in giro e vedo qualcosa che mi piace la registro, tutto qui. Ho le idee chiare, so quello che voglio e in genere mi muovo con una squadra di ingegneri e geometri e basta. Nessun architetto di grido.
E per la grafica?
Stessa cosa: abbiamo fatto tutto noi, dal visual alla comunicazione.
a cura di Antonella De Santis
www.mercatometropolitano.it/it/marketplace