I 6 trend
Oriente
Non accenna a diminuire l'innamoramento per l'Estremo Oriente. Dalle grandi cucine ai ristoranti più semplici. Ovunque è un ribollire di ramen, un chiudere dumpling, un grattugiare zenzero, un profumare di laccature. Ma le tavole d'autore vanno oltre, facendo proprie ricette, tecniche e rigore, mescolando ingredienti ed elaborando suggestioni. La differenza è tutta nella consapevolezza: non basta usare yuzu, aglio nero o shiso, serve capire l'essenza di una cultura gastronomica per poterla davvero intrecciare alla nostra, sulle rotte di una nuova cucina d'autore che sappia essere sempre profondamente identitaria.
Gestualità
Supertecnologie e strumentazioni performanti? Sì, ma non dimentichiamo il valore del gesto. Quello artigianale, antico, tutto concreto del maneggiare e cucinare di cui, a sorpresa, si rivendica il valore. Per esempio quando di parla del riconoscere cotture dall'aspetto e dai segni percepibili alla vista o al tatto, del massaggiare, tagliare e impastare in un recupero di manualità che innamora. Si torna a cercare un contatto diretto con il cibo, non più filtrato da strumentazioni elettroniche, ma vivo e vissuto. E lo stesso si chiede di fare ai clienti.
Pulp
In tempi di veganesimo spinto, è una parola da mormorare sottovoce. Ma il sangue è un ingrediente fondamentale della cultura gastronomica, presente in tanti piatti tradizionali anche per via di quel suo potere addensante che ne fa la base di molte salse di impostazione classica. Qui si va oltre: estratto, centrifugato, separato nelle parti. Diventa salsa, salume, perfino meringa, e una cialda da abbinare al cioccolato in una vertigine hardcore.
Sangue
Ancora legami ematici, ma stavolta intesi nel senso di relazioni familiari. Quelle delle grandi dinastie della ristorazione di cui giorno dopo giorno si preservano le tradizioni pur guardando al futuro, quelle dei cambi generazionali, della fratellanza in sala e in cucina, dei ricordi d'infanzia. Ma anche delle scoperte fatte insieme ai piccoli di casa, che regalano sguardi nuovi sul mondo e sulla cucina, senso di responsabilità, ingredienti e gesti infantili, e una nuova purezza nell'approcciare alla tavola.
Pastine
Da sempre negletta nell'alta cucina, la pasta di piccolo formato si riaffaccia sulle grandi tavole, riscoperta da chef neo papà o solo desiderosi di uscire dagli obblighi del grande formato o della pasta fresca. Complici anche i tempi più brevi e una certa malleabilità verso certe cotture: risottata, per assorbimento (usando la pentola per il riso), perfino posta all'interno di ortaggi che danno umidità e condimento.
Grandi conferme
La cucina etica e la riduzione degli scarti, il grande ritorno della cucina in sala e della convivialità, l'attitudine all'aggregazione (lo abbiamo visto con Cooking Soon dei giovani cuochi calabresi e con il progetto East Lombardy, ma tra Le Soste, JRE, Ambasciatori del Gusto, i cuochi sembrano subire da sempre attrazioni magnetiche), il richiamo a fare un passo indietro e riconoscere il valore degli artigiani.
I punti critici
Il tema
Il viaggio è un tema (troppo?) ampio, che ognuno può interpretare come preferisce. Fatto sta che un tema tale da diventare una coperta in grado di accogliere tutti è un non-tema, che permette facili digressioni e sbandamenti. Con il rischio di non preparare il proprio intervento, riciclandone uno già pronto. Chissà cosa accadrebbe dando un tema più preciso?
Le modalità
Showcooking o congresso? Molti interventi si sono rivelati sterili dimostrazioni di cucina, che per quanto d'autore non giustificano la presenza a un congresso.
I relatori
Effetto replay? Non solo interventi riciclati, ma volti inflazionati che si ripetono sul palco e non sempre hanno qualcosa da aggiungere. Non sarebbe giusto dare spazio ad altri? A conferma di ciò i giovani talenti ne sono usciti alla grande, vuoi per la voglia di emergere, vuoi perché hanno meno impegni in giro per l'Italia e nel mondo, vuoi per la maggiore freschezza.
I tre interventi con più contenuti
Niko Romito: Per il coraggio di aver portato sul palco la ristorazione collettiva (mense ospedaliere) e la standardizzazione dei processi di cucina. In Italia per fortuna ci sono molti chef visionari e capaci di guardare in prospettiva. Niko Romito fa questo più di chiunque altro e riesce anche a raccontarlo con una concretezza disarmante.
Paolo Lopriore: Per la lucida riflessione sul rinnovato rapporto tra cuoco, cameriere e cliente. È forse il cuoco italiano che da più anni, senza interruzioni, riesce a permanere sulla cresta dell’onda della ricerca. Rispetto e stima.
Massimiliano Alajmo: Per la capacità di sviluppare un format coinvolgente e replicabile che coniuga ricerca e spirito pop. Per il coraggio di tentare una “aggressione” al mondo intoccabile della pizza. E per la lucidità di saperlo raccontare con precisione, dettaglio e senza annoiare.
I tre interventi più coinvolgenti
Riccardo Camanini: Sorprende la platea con un racconto accattivante nonostante il rischio della digressione storica. Si è rivelato un vero animale da palcoscenico. La dimostrazione di come una solida cultura classica ed una padronanza della lingua italiana possa decisamente aiutare.
Floriano e Giovanni Pellegrino: Comunicazione efficace, freschezza, coordinazione perfetta, corde giuste, un pizzico di retorica, gioventù & bellezza. Insomma blend impeccabile di ingredienti. Grande consapevolezza e profonda sicurezza. Troppa?
Giuseppe Zen: È il grande oratore di sempre. Una bella narrazione sulla cucina popolare italiana. Il livello è lo stesso – altissimo – sia quando lo incontri dietro al suo bancone al mercato della Darsena sia sul palco di un grande congresso internazionale.
I tre interventi meno convincenti
Nino Di Costanzo: Deraglia un po' dal tema. La dissertazione sull'anisakis nel 2017 sul palco di un congresso gastronomico lascia quanto meno perplessi. Lezione estetizzante e probabilmente poco preparata a monte.
Cristina Bowerman: Solitamente tagliente, iper secchiona e preparata, paga forse la moltitudine di impegni e progetti che sta seguendo attualmente. Meno incisiva del solito con un intervento non all’altezza degli standard a cui ci ha abituati.
Paul Pairet: Lo aspettavano tutti, lui sale sul palco e regala lo show. Ma sei ad un congresso gastronomico pieno di professionisti con gli attributi e dunque lo show non basta. Insomma, sui contenuti poteva fare meglio. Molto meglio.
I tre moderatori migliori
Federico Quaranta: Grande capacità di narrazione che esalta le qualità dello chef. Gioca da outsider in una formula vincente e meno ingessata. Capace di costruire una retorica affettata, ma mai eccessiva.
Giorgia Cannarella: Sempre preparata, capace di interagire con lo chef e di intervenire al momento giusto con la domanda giusta.
Niccolò Vecchia: Nonostante la mole di interventi moderati è impeccabile nell'accompagnare i relatori verso la meta. Professorale, rassicurante e professionista.
a cura di Annalisa Zordan, Antonella De Santis, Livia Montagnoli e Massimiliano Tonelli