Pino Cuttaia arriva a Milano subito dopo Madrid Fusión, è lui l'emblema di un ritorno verso sud. Non moda, ma sostanza, consapevolezza, creatività. E intelligenza. Esattamente come il tema di questa decima edizione di Identità Golose, che omaggia “una golosa intelligenza”: formula che include tutto e il suo contrario.
A Cuttaia il compito di raccontare per primo la sua golosa intelligenza. E lui sceglie di giocare a rimpiattino. Così la sua diventa una golosa illusione. Di chi è consapevole dei processi e delle dinamiche, del ruolo di comunicazione ed emozione del cibo, di chi sa il funzionamento delle cose, di chi, infine, si chiede il perché e che fa scoperte. “Io lavoro con il mare” esordisce. E il mare torna in continuazione nella sua grande illusione. La seppia “che in mare si mimetizza” viene modellata, trasformata, usata per creare giochi e magie. L'uovo, il bianco e nero della seppia è l'immagine del convegno di quest'anno. In cui il guscio di un uovo nasconde un tuorlo di nero di seppia. Un gioco di colori e texture, di cortocircuiti immediati che nasce dalla scoperta del potere addensante delle uova del pesce, dall'uso (ancora una volta intelligente) delle parti che solitamente si buttano via. È il cuoco che si fa domande, che scopre e gioca con slancio infantile. E che fa andata e ritorno quando ci regala un'omelette di solo pesce suggerendo la tradizione del finto pesce della sua Licata. “Nella creatività c'è bisogno di uno slancio infantile” dice. E insieme all'infanzia, al figlio cui chiede di disegnare una seppia a forma di uovo, c'è la memoria, i piatti di casa, per i quali “preferisco usare le mani perricreare nella preparazione l'energia immediata”. L'artigiano oggi ha conoscenza della materia. È l'intelligenza della materia. Continua l'illusione con la finta pizza di merluzzo affumicato che richiama la pizzaiola materna, e con la melanzana di parmigiana versione street food in cui la buccia della melanzana è realizzata – guarda un caso – con una sfoglia di nero di seppia.“Lavoriamo quello che abbiamo, come a casa”. È ancora intelligenza.
Ai FratelliCostardi da Vercelli il compito di spezzare il ritmo. Lo fanno chiamando in causa, anche loro, un piatto della memoria usato come un grimaldello per entrare nel cuore e suscitare curiosità, emozione e stupore nella piccola di casa, Beatrice, che a soli 17 mesi è il termometro di come il cibo possa essere cultura, gioia e storia di ognuno, per cui “lasciate i bambini liberi di mangiare quel che vogliono, non solo pasta in bianco”. Ancora sapori della memoria, ancora slancio infantile, ancora gioco: riso, latte e zucca, la base delle minestre di una volta, gli stessi ingredienti declinati in versione salata e in dolce. È l'espressione di una giocosa intelligenza. “Il risotto è il vero piatto italiano, ne abbiamo 25 in carta”. Il gioco, dicono, è al centro della loro vita in cucina, delle loro nottate in cucina, quando nascono i piatti più creativi. Come il millefollie: “in quella notte lì eravamo bambini, e quando lo mangi torni bambino, Perché non c'è nulla come la Nutella anche se abbiamo cercato un'altra crema di nocciole, la Nutella fa da collante e tiene insieme tutti gli ingredienti: funghi, tartufo erbe”. Non bisogna mai perdere la curiosità, un po' di irrazionalità, la memoria e la famiglia, e nel gioco si trovano Beatrice, la mamma e la nonna dei due chef. L'intelligenza della famiglia.
Anche per Carlo Craccoil dolce è erbaceo, il prezzemolo sembra voler confermare il modo di dire e si affaccia in più di un dolce. Si cercano aromi diversi rispetto a quelli tradizionali della pasticceria, ma a volte le ricerche si incrociano. La bavarese semplice ricrea l'effetto del legno, insieme al cioccolato, alla polvere d'argento e al carbone edibile. E intanto si accenna una polemica Cracco-Alajmo (per l'intervista rilasciata da quest'ultimo a Settedel Corriere della Sera) che il patron Paolo Marchi furbescamente provoca sul palco. Serve anche un po' di spettacolo in tv, dice Cracco, poi non è che i concorrenti di Masterchef diventano cuochi. “Nemmeno uno che abbia un ristorante”. Il messaggio è far vedere che la cucina è alla portata di tutti e far vedere quello che c'è dietro.
Yoshiaki Takazawa, del ristorante omonimo di Tokio, racconta la sua cucina italiana, le suggestioni che nascono dal passare delle stagioni, del suo modo di ricostruire la tradizione nipponica in un modo molto contemporaneo. L'intelligenza della bellezza.
Ancora pasticceria vegetale per Enrico Crippa e attenzione al benessere per Heinz Beck perché “la golosa intelligenza è quella che termina l'indomani dalla cena”. È quella per la quale la creatività e la ricerca tecnica sono a servizio della salute. Tutto nasce da un'idea, ma l'idea deve diventare un piatto, non rimane un concetto. Deve guardare alla salute e puntare al cuore. Il lavoro che si fa in cucina, dice “è a servizio delle emozioni che non mentono mai. Si deve lavorare sulle emozioni e sul ricordo delle nostre tradizioni”. Beck che quest'anno festeggia il ventennale del suo ristorante La Pergola, a Roma, con un menu dei piatti storici che verranno replicati, ad edizione limitata, per sole 999 volte.
Da Parigi Jean-François Piegé rincara la dose: “la cucina è emozione, non è solo l'atto del mangiare ma è soprattutto il piacere che dà. Ho usato la mia storia, la mia memoria e quella della mia terra, gli ingredienti dei boschi intorno a Parigi o dell'orto del suo ristorante, le suggestioni della mia città”. Tutto questo per approdare a una cucina che, anche nei piatti più creativi, ha una base rigorosamente classica. È ancora la golosa intelligenza, quella che ha profonde radici nella tecnica e nei fondamenti della cucina classica pur discostandosene poi a piacimento, ignorandoli con libertà. Solleva il sopracciglio al temine bistronomia, ma cerca una sua definizione: “classico no, moderno non lo so, contemporaneo si”. Far vivere la tradizione oggi.
È il turno di Quique Dacosta, di un'intelligenza che crea illusioni, che stordisce per la carica di stimoli, che gioca con le tradizioni altrui, con una pasta alla puttanesca che pasta non è, bensì una salsa olandese acida con sale e pepe in forma di spaghetti, unita a un grosso lavoro sul pomodoro: “la cucina italiana va in giro per il mondo a differenza di quella spagnola” ma con la spagnola ha molto in comune, i sapori, per esempio i pomodori che sono il centro di questo piatto. È un continuo stupore il suo intervento: l'aga kombu spennellata con il dashi si traveste da foglia di tabacco per omaggiare una delle colture della sua zona, continua poi con un calamaro che calamaro non è, ma ventresca e uova di sgombro in cui il collagene, e qui si torna a Cuttaia, trasforma la texture e maschera il pesce azzurro da calamaro. È il turno coca di mais e taco mediterraneo, a unire Messico e Mediterraneo con un prodotto universale come il mais e a comporre un piatto dalle radici lontane con prodotti nostrani, perché “l'anima della cucina a volte trascende i prodotti, è al disopra”. È il turno dell'anguilla, che “coccoliamo anche se poi l'ammazziamo” affumicata con legno di arancia, altro omaggio a una coltivazione tipica. La pelle tagliata a julienne in una sorta di pasta che ricorda la consistenza delle anguille più piccole, evoluzione alipebre piatto tradizionale. Mentre gli spaghetti di farina di malto con brodo di piccione sono ammiccano di nuovo alla nostra cultura. Quella di Dacosta è l'intelligenza del dialogo tra dentro e fuori, è l'energia che mescola forza centrifuga e centripeta, che impasta suggestioni straniere o tradizioni proprie, che da fuori arriva a dentro e dal passato all'oggi. Alza la musica Dacosta mentre passano in sequenza i 40 piatti del suo degustazione. Un serrato giro di colori ingredienti suggestioni interruzioni e spinte avanti. Chiude Scabin e la sua intelligenza è legata al progetto di Food Safety, più food meno pharmacy. Semplice, chiaro, immediato, giusto. Intelligente.
a cura di Antonella De Santis
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