Cucinare il paesaggio
Raccontare l'orizzonte gustativo a partire dal paesaggio circostante è uno dei concetti basilari della cucina. E nel caso di Virgilio Martinez il panorama è il Perù, quello che scopre nelle sue indagini e fa conoscere nel suo Central di Lima. Ora che si è trasferito nella nuova sede di Barranco, il suo progetto non solo gastronomico ma anche culturale diventa sempre più organico. L'obiettivo è sempre lo stesso: mettere a fuoco la biodiversità, la vastità di panorami e visioni che dal mare arriva fino in cima alle Ande. Così, nel Central, i piatti si organizzano proprio in base alle altitudini, a tracciare ognuno una narrazione geogastronomica. E lo fa con il marchio dell'avanguardia sudamericana, che passa per l'innovazione ma torna alle radici e al territorio. Che al Central esprime con cose come la pelle di piragna servita come snack. Oggi il lavoro di Martinez si moltiplica con il Mil di Cusco, un'ora di viaggio dalla capitale peruviana e quasi 4mila metri sul livello del mare. Centro di ricerca sulla cucina locale, cui è dedicato il 70% dello spazio, e ristorante. Qui la proposta si fa ancora di più centrata attorno al prodotto e alle tecniche ancestrali di cottura, in piena collaborazione con le comunità di cuochi e contadini locali, quelli che in quel territorio incredibile sono custodi di materie prime sconosciute altrove. Come le varietà di patate: “se ne usano abitualmente una decina, ma ne esistono circa 3600”, con colori, forme, dimensioni e textures differenti. Nel Mil il concetto gastronomico è tutto dentro questo universo di forme e sapori. A questi locali si aggiunge anche il ristorante Kjolle, il frutto del “divorzio gastronomico” tra lui e la moglie Pia Leon (fresca di premio come Female Best Chef 2018 dell'America Latina), dove il passo è ancora diverso. E intanto, mentre parla di persone, tradizioni, biodiversità, ecosistemi, altitudini tiene viva l'attenzione sul suo lavoro: “a novembre sarò in Amazzonia per un progetto”, annuncia.
Angel Leon
Immaginate di osservare il mondo attraverso una lente che ne trasforma i contorni, e da lì di guardare la cucina e ogni suo dettaglio. Così Angel Leon, come Alice attraverso lo specchio, ci mostra un paesaggio dove a ogni elemento che conosciamo sulla terra ne corrisponde uno subacqueo. Pomodori, capperi, lattuga, asparagi, zafferano: ogni alimento scopre il suo equivalente nel mondo marino (compreso tra le spiagge e gli abissi) con sorprendente puntualità. E con caparbietà Leon li studia uno a uno. Non c'è da stupirsi: nel suo Aponiente di Cadice, Leon ha rivelato, tassello dopo tassello, il mondo sommerso portando alla ribalta elementi (e alimenti) mai visti prima, come nel caso della biomassa luminosa. Stavolta presenta un petto di pollo di mare: tomato (o butterfish) a fare la carne – “perché è un pesce insipido come il pollo” - la pelle della murena (con la cui polpa prepara anche un civet), scolorita mediante l'azione dell'acqua salata del mare e resa croccantissima, verdure di mare a completare il piatto. Marino anche un incredibile botillo, sorta di soppressata preparata con il tonno. E la continua ricerca su un organismo ancora tutto da scoprire: il mare.
Il piatto di Angel Leon
20 anni di avanguardia
L'edizione 2018 di Gastronomika sarà ricordata come quella del ventennale. Inevitabili le cerimonie, e ancora di più i momenti di riflessione su quanto fatto finora. Come nel caso di Josean Alija (Nerua, Bilbao), che ha raccontato i venti anni della sua cucina attraverso le foto, bellissime, dei piatti. E insieme alle immagini, idee e concetti a definire i punti cardine di un lavoro che lo vede sempre più convinto sostenitore di uno sguardo complessivo in cui tecnica, servizio, efficienza collaborano alla riuscita del ristorante. I suoi piatti con gli anni sono diventati più essenziali, mescolano ricordi, tecnica, piacere, provocazione, delicatezza, tradizione. Partono da un'idea e seguono strade diverse. C'è il lavoro sui vegetali e i legumi, o quello sulle fermentazioni, con il natto di cecia fare da emblema di una cucina che divide: si ama o si odia. E una soave mousse di rapa e asparagi bianchi a suggellare un intervento che vede salire, sul palco, i suoi storici collaboratori Chele González (Gallery Vask, Manila, Filippine), Paco Morales (Noor, Cordova) e David García (Corral de la Morería, Madrid).
Mousse di rapa e asparagi bianchi
Per i fratelli Roca questi sono stati 20 anni di idee e conferenze sorprendenti. Le ripropone in sequenza Joan Roca, a raccontare l'universo del Celler e la sua insopprimibile spinta creativa. Che lavora per idee e relazioni, scoperte e applicazioni. Si tratti della distillazione o della cottura ad alta pressione, dei macchinari, dei piatti nati dalla scomposizione dei profumi, delle cene esperienziali. Nel Celler di Girona è passata la rivoluzione, e sul palco di San Sebastian la sua rappresentazione, con una timeline che lascia a bocca aperta per ritmo e forza immaginativa. Oggi racconta di un metodo creativo fatto di connessioni, come quelle nate da un colore (l'insalata rossa), da un vino nel suo insieme di uva e di paesaggio (entrambi raccontati nel piatto), da un libro (La Fisiologia del gusto di Brillat-Savarin dove si parla di ambra grigia che qui è parte di un lavoro sul calamaro), un panorama (nel dolce Pineda). È un quadro sinottico semplice ed efficace. Merito di una conoscenza condivisa, di un dipartimento di ricerca e sviluppo che preme forte sull'acceleratore (a capo c'è Hoi, una delle 44 donne su un totale di 95 dipendenti), del valore assoluto di questa spinta rinnovatrice, che è capace di avere riflessi sulla società, l'ambiente, le persone, perché "l'avanguardia sarà umanistica o non sarà".
Joan Roca
Ma di cosa si parla quando si parla di avanguardia gastronomica spagnola oggi? E quale è la figura dello chef nel 2018? A rispondere cinque protagonisti di questa avanguardia: i giornalisti José Carlos Capel, Rafael García Santos e Benjamín Lana, e gli chef Quique Dacosta (Quique Dacosta, Dènia) e Joan Roca (El Celler de Can Roca, Girona). È una retrospettiva che va dalla Nouvelle Cuisine alla Nuova Cucina Basca, dal congresso di Vittoria del 1984 all'arrivo di Ferran Adrià (che nel 1997 ha significativamente separato la cucina dal laboratorio in una presa di coscienza del proprio lavoro, che ha trovato proprio nella consapevolezza dei metodi e meccanismi della cucina l'elemento che ha trasformato certa ristorazione), dalla provocazione al ruolo della critica, e si apre alle prospettive future ("non dimentichiamo che il futuro è femminile" dice José Carlos Capel). Quando è nato il congresso di San Sebastian (all'epoca Lo Mejor de la Gastronomia) a opera di Rafael García Santos, i tempi erano maturi per raccontare il momento d'oro che viveva la cucina spagnola, in cui nascevano nuovi concetti, tecniche e prospettive e si diffondevano grazie a uno spirito di gruppo che consentiva di condividere obiettivi e conoscenze. Si è dovuto trovare il modo per esprimere questo sul palco (una cosa del tutto nuova, nata con i congressi): “senza raccontare tutto ma solo un frammento di lavoro per volta”riflette Dacosta. E lì si sono definite le nuove tendenze. La cosa sorprendente è stata la risposta della società che ha accolto e partecipato a questa rivoluzione. Cosa è rimasto di quella rincorsa? C'è una minore spinta propulsiva, colpa forse anche di una “critica che non critica, perché ci hanno negato l'accesso ai loro ristoranti quando abbiamo detto che qualcosa non ci piaceva. Così si è smesso di sviluppare uno spirito critico, e” puntualizza Rafael García Santos “la stessa cosa è già accaduta in Francia”. Mentre un tempo uno come Rafael spingeva gli chef a essere sempre vigili e migliorare ogni giorno, costantemente sotto esame. Oggi che la cucina non è più così provocatoria e la rivoluzione è consolidata, è rimasto un gruppo di persone che lavora sodo, che ha superato la crisi “senza perdere i principi e senza smettere di creare" dice Dacosta, e che può ancora dire la sua “perché”, commenta Joan Roca: "anche se il paradigma è cambiato e la cucina non è più così di nicchia; gli chef non hanno fermato le macchine”, hanno sviluppato team che permettono loro di andare avanti con la ricerca, ed essere più impegnati, perché “abbiamo molto da dire". Per esempio sulla sostenibilità e un approccio più etico.
Il piatto di Pedro Subijana
Cucina di prodotto
Partire da un prodotto per vederne le varie applicazioni è una delle istanze della ricerca gastronomica. Juan Carlos Padrón e Jonathan Padrón (El rincón de Juan Carlos, Tenerife) lavorano sull'avocado, di cui indagano le potenzialità dolci e salate, Pedro Subijana (Akelarre, San Sebastián) sul latte di capra, presentato in cinque diverse applicazioni, e l'abalone, mollusco dalla conchiglia molto bella impiegato raramente in cucina. Insieme a lui Enrique Fleischmann - storico collaboratore oggi al ristorante Bailara (Bidania-Goiatz) e Toxko Getaria (Getaria) - ha spiegato come migliorare il sapore di alcuni alimenti in modo naturale, mediante prodotti come la salsa di ostriche o il shinkinbushi, ovvero katsuobushi (ingrediente feticcio che compare a più riprese a San Sebastian) preparato a partire da funghi comuni, in una mescolanza di materie prime e tecniche di diverse origini. Allo stesso modo di quanto fa Paco Pérez (Miramar, Llançà) con il suo wasoli, un aioli a base di wasabi. Ancora di prodotto parla José Andrés (diversi ristoranti tra cui Minibar, Washington, e Somni a Los Angeles) quando si chiede se si può fare una cucina spagnola senza la materia prima spagnola. La risposta è no. Così richiama alla necessità di valorizzare e difendere tanto il prodotto quanto le ricette e le tradizioni iberiche, per esempio l'ensaimada, dolce tipico di Maiorca che – riflette – dovrebbe essere diffuso come i croissant. L'occasione è la presentazione dei suoi progetti, a partire da Somni, ristorante di gastronomico per 10 commensali dove reinventa i classici sapori spagnoli, come il pane e pomodoro realizzato su una base di meringa con grasso di prosciutto iberico. Continuando con Jaleo, prossimo tassello del suo universo ristorativo che porta la cucina spagnola nel mondo: 600 posti dentro Disney World, con ricette di tutte le regioni spagnole. E infine il progetto di solidarietà con Porto Rico, esempio di come “la nostra professione può cambiare il mondo". In questo lungo excursus tra concetti, materie prime e tecniche, c'è un prodotto ricorrente, che se pur in mille varianti ha acceso l'attenzione di diversi cuochi: il garum, che dal passato lontano arriva fino ai giorni nostri complice l'interesse per le fermentazioni e per la profondità di sapori che apre. Ne parlano Kiko Moya Redrado (L'Escaleta, Cocentaina) e Alberto Ferruz (BonAmb, Jávea) a rappresentare - con Ricard Camarena e – la nuova cucina levantina costa est “fatta di sale, luce e tempo", Albert Raurich (Dos Pebrots e Dos Palillos Barcelona) che ne offre un'originale versione di tonno. Ma compare anche solo come riferimento nella maggior parte delle conferenze. A riprova che l'avanguardia è un'attitudine che sa elaborare saperi, storie e ingredienti dal passato e dal presente per proiettarli verso il futuro.
www.sansebastiangastronomika.com
a cura di Antonella De Santis