Nell'edizione del ventennale di Gastronomika si riflette sul ruolo e il significato della cucina di avanguardia, che questo stesso congresso ha tenuto a battesimo tanti anni fa. E lo si fa a partire dalla celebrazione di colui che ne è considerato il padre, Juan Mari Arzak, che a metà giornata riceve il premio alla carriera come “simbolo della rivoluzione gastronomica”. Con un messaggio emozionato ed emozionante di cui lo omaggiano i più grandi cuochi del mondo, presenti in video o in carne e ossa sul palco. Joan Roca - “un giorno decidi che vuoi essere un cuoco, in un altro momento decidi che tipo di chef vuoi essere. Quando ho incontrato Juan Mari Arzak, ho deciso che volevo essere come lui” - Paul Gagnaire, Alex Atala, Ana Ros, Mr e Mrs Bund, Gaston Acurio, Michel Bras e molti altri lo salutano al grido di “¡Aúpa, Juan Mari!” (dai, Juan Mari). Si stringono intorno a lui, a quell'uomo che ha saputo guardare la cucina con gli occhi di un bambino. Che ha saputo condurre, insieme agli altri grandi cuochi spagnoli, la scuola iberica nella contemporaneità attraverso tecniche e talenti visionari. E che ancora non perde un intervento dei colleghi nei congressi in cui partecipa.
Martin Berasategui
Rispetto e dedizione
Ma cosa è, oggi la cucina? Grande lavoro, innanzitutto. Non tappeti rossi, non photocall, ma dedizione, umiltà, sapore, rispetto e sacrificio. Ammonisce così i giovani Martin Berasategui nella sua ponencia durate la quale ripercorre 25 anni di cucina d'avanguardia (una cucina leggera, creativa, fresca, elaborata e immediata, la definisce) e annuncia nuovi progetti in Spagna e in Portogallo. Usa una delle tecniche più iconiche dell'avanguardia per rendere omaggio a uno dei pixtos baschi più semplici, chiamato Gilda, lo spiedino di olive, alici e peperoncino verde (guindilla) riproposto sferificando gli ingredienti ridotti precedentemente in crema, con una procedura ormai diventata famosa. Lo accompagna a una tartare di tonno su un brodo trasparente di acqua di pomodoro, dove ha infuso tonno secco e capperi. Ancora un elemento classico dell'avanguardia, la spuma sifonata, nel cappuccino di patate, funghi e tartufo, insieme al piccione. Baratasegui ospita sul palco Victor Suarez, suo allievo oggi al Hayde di Tenerife, che omaggia la cucina locale con un polpo con patate dolci, caviale di mandarino, mojo verde (una salsa tipica delle Canarie) reso croccante, maionese e katsobushi, presentato su un piatto che ricrea l'habitat del pesce realizzato in materiale biodegradabile, a focalizzare l'attenzione sulla sostenibilità.
Sapore e narrazione
La cucina? Sapore, storia e narrazione. Così sintetizza Elena Arzak l'essenza del cucinare. Perché se è vero che i cuochi sono sempre più ascoltati, è ancora più vero che devono parlare attraverso i loro piatti, più che con le parole. Perché la cucina è prima di tutto cibo, e può raccontare le cose e renderle comprensibili attraverso i piatti. Dunque la domanda da porsi oggi è: quale è il messaggio della cucina? La tecnica, l'ambiente, la stagionalità, l'incontro di culture e di saperi, come quando si ispira alla sfogliatella napoletana per creare una sottile cialda che richiama, nell'aspetto, il taglio di un tronco d'acero, a riportare, anche lei, l'attenzione sullo stato di salute delle nostre aree verdi.
Il piatto di Elena Arzak
Tempo e tecnica
Come un sistema solare, il sistema gastronomico di Diego Guerrero del DStage di Madrid, include satelliti che gravitano nell'orbita della sua cucina: sono gli studenti del Master di Scienze Gastronomiche Basque Culinary Center e il Future Food Lab dell'Istituto Europeo di Design. Con i primi sta sviluppando studio di nuove textures. Nella sua cucina usa sempre meno ingredienti, ma impiega sempre più tempo per prepararli, a volte anche giorni, quelli necessari per far evolvere la materia prima o arrivare a perfezionare certi risultati. Il lavoro sulle proteine e i grassi, per esempio, consente snack come il calamaro alla romana, in cui il cefalopode viene ridotto in crema e lavorato in purezza. Ci sono poi il gambero rosso, trasformato per ottenere diverse consistenze in un solo prodotto, il garum di alici che dona grande profondità gustativa. Nel suo lavoro il confine tra salato e dolce è uno spazio in cui insinua preparazioni inaspettate per i clienti, come il predessert alle mandorle, il pudding di riso senza latte che sorprende per la sua cremosità, frutto di quasi due giorni di fermentazione, o ancora il millefoglie di tempeh di macadamia. La fermentazione è tecnica ormai immancabile: “ha cambiato il nostro modo di cucinare” dice. E ha i suoi tempi. Gli consente di lavorare per riusare gli scarti alimentari, allo stesso modo – e qui interviene la collaborazione con l'IED – ricicla quelli plastici per farne stampi per la cucina.
Diego Guerrero
Disfrutar a Barcellona è uno dei regni dell'avanguardia gastronomica, quella che passa per la sperimentazione di tecniche e procedure. Dopo l'ubriacatura per il macchinario delle meraviglie, l'Oc'oo, che ha portato in giro per il mondo per presentare prove ed esperimenti, Oriol Castro continua la sua marcia verso la ricerca continuando a impiegarlo, sì, ma solo uno strumento utile per raggiungere risultati diversi o solo più lontani. Oggi parte dal lavoro con le mandorle per tracciare uno straordinario panorama gustativo che porta dal frutto verde a quello fermentato, dal latte alle pelle fritta, in un orizzonte di sapori interessantissimo e pronto ad aprire nuove suggestioni gastronomiche. Ci sono poi gli esperimenti con l'inulina, con cui produce una pasta sfoglia leggerissima e versatile, completamente senza farina (quindi adatta anche per chi ha intolleranze o allergie), lavora con il nasello in salsa verde e la txuleta – (sorta di t bon locale), e perfino con il classico pinxtos Gilda (anche lui), assurto a simbolo della cucina basca qui oggetto di sferificazione, a sua volta simbolo della cucina di avanguardia.
Il piatto di Oriol Castro
Ritorno alle origini
“Bisogna tornare alle origini”, invita Dani Garcia (Marbella) che omaggia i piatti della tradizione e li pone allo stesso livello di quelli più innovativi: “l'importante è che ogni ingrediente abbia il sapore che deve avere e che sia in equilibrio”. Ma gli equilibri sono somme di elementi che possono variare ogni volta e ogni volta trovare un nuovo bilanciamento, come nel gazpacho, che ha interpretato in maniera diversa anno dopo anno, a partire da una base alleggerita dall'acqua di pomodoro al posto della salsa. Stesso discorso per la tartare o lo stufato: piatti all'apparenza semplicissimi. Ma che riservano ancora molte sorprese per chi li gusta, sensazioni che possono essere diverse da persona a persona come diversa è la storia e la memoria di ognuno. Quella memoria che pesca anche dalla tradizione gastronomica oggetto, sul palco di San Sebastian, della ricerca di Garcia.
Dani Garcia
Discorsi simile anche per Eneko Atxa (Azurmendi, Larrabetzu) che ha presentato un piatto di cucina basca, il Pastel de cabracho, dimostrando che l'avanguardia passa anche dalle radici culinarie. Serve però uno sguardo capace di scardinare idee preconcette e convinzioni errate: "Non conosciamo che una piccola parte della nostra cucina", commenta Ana Vega, con lui sul palco per spiegare l'origine delle ricette locali come bacalao Club Ranero, il txangurro, la marmitako o kokotxas in salsa verde. Ricette che affondano la loro origine nel passato, ma in grado - ancora oggi - di essere protagoniste della tavola contemporanea.
Ancora una riflessione su radici culinarie e avanguardia spinge Ramon Frexia, del Frexia di Madrid, a riflettere su cosa rappresentino per noi. E parte da una domanda: cosa è la tradizione gastronomica? “È qualcosa che ci appartiene, che abbiamo nel sangue e fa parte del nostro Dna”. Qualcosa che lui ha appreso alla scuola del padre, per questo ancora di più legato alla sua intimità. L'avanguardia gastronomica, invece, è più difficile da definire. È qualcosa di collegato alla creatività, alla sensazione, è provocazione e spinta intellettuale. Ci sono molte risposte. Per lui l'avanguardia è un elemento che vive nell'attualità del suo organismo gastronomico, composto di tanti tasselli diversi per stile e livello, e mentre annuncia l'imminente apertura di un nuovo locale, un tapas bar stavolta, dimostra come l'innovazione sia multiforme, si esprima in modi e percorsi diversi.
Il piatto di Ramon Frexia
Immersione esperienziale
Per Paul Pairet la cucina è immersione in un lungo viaggio multisensoriale. 22 portate in successione; 10 commensali per volta riuniti intorno a un unico tavolo in uno spazio alimentato da videoproiezioni, a creare un contesto che rilancia e amplifica l'ambiente gustativo. Un frammento di spazio-tempo in cui gli ospiti si devono affidare allo chef francese di stanza a Shanghai. Perché quella proposta nel suo Ultraviolet è un un'esperienza complessiva – Psycho test il titolo del suo intervento – in cui i clienti sono accompagnati nelle suggestioni dello chef. Come Candle in the wind, il fantastico baccalà profumato alla lavanda cotto a temperatura controllata in uno scrigno di cera che ne mantiene gli umori. O il pollo cotto un solo minuto nel barattolo di vetro insieme a un legno bruciato e al foie gras che assicura morbidezza e umidità a un piatto altrimenti asciutto. La tecnica è quella usata più di venti anni fa, ma l'avanguardia non significa solo creare qualcosa di nuovo ogni volta, ma far riposare ed evolvere procedure e ricette. È lo stesso per il Truffle brunt soup bread, che ricorda da vicino un pain perdue ed è la rilettura (arricchita dal tartufo) di un gesto, quello con cui si trovava a insaporire un pezzo di pane con la salsa meuniere quando – dopo aver cucinato tanto – non voleva più mettersi ai fornelli per se stesso. Un piatto che sa di casa e di semplicità. Non stupisca di trovarlo in uno dei regni dell'innovazione gastronomica: “è un piatto centrato” spiega “che ha un suo significato nell'ambito del percorso di degustazione”. È inftti l'esperienza complessiva che lo interessa, non il singolo piatto, ma tutto il complesso, incluso ambiente, tempi e orari, elementi fondamentali per Pairet.
Paul Pairet
Il confine tra semplicità e complessità
“Prestiamo attenzione alle frontiere, come quelle tra semplicità e complessità, perché lì si annidano nuove strade per cucinare”. Quello di Andoni Luis Aduriz è un racconto che tutto trascina con sé. Visionario, anche quando si tratta di eliminare il superfluo, mette insieme lingua (per provare e godere), semi (quelli ritenuti un difetto cruciale quando trovati nei piatti, e che lui rende protagonisti), tempo (quello necessario per ottenere certi prodotti e che ne determina il valore), tecnica (la sua amata tecnica che consente di estrarre il sapore in modo sempre più preciso e sorprendente: cosa accade quando una cipolla sa davvero di cipolla? Cosa quando la sua texture è oltre l'immaginato?). Esplora simboli e contesti, indaga i dettagli e li traduce in immagini in movimento, quelle dei suoi video sempre più raffinati, perché la sua cucina è narrazione – e lo è in un modo completamente differente da quella di Elena Arzak - è indagine del limite e approfondimento. E guardare dentro e oltre per decostruire e poi ricostruire il panorama di riferimento per ogni cosa. E farlo con la complicità dei suoi clienti, sempre meno spettatori e sempre più protagonisti cui chiede di assumersi la responsabilità dello sperimentare con consapevolezza. Perché la semplicità può arrivare molto lontano ed essere straordinaria.
Il piatto di Andoni Luis Aduriz
Il prodotto al centro del piatto
Calamari, percebes, granchio reale. Al centro della ponencia di Oliver Peña (Bar Enigma) c'è la materia prima “che deve essere da 10 per riuscire a farne un piatto da 20”. E propone, sul palco di Gastronomika, l'esperienza in diretta del suo locale di Barcellona in cui i piatti si avvicendano velocemente. Un assaggio (è il caso di dirlo) di quel che si vive al Bar Enigma: gioco gastronomico, sapori e tecnica, a partire dal prodotto. Prodotto che, nel caso del giapponese Yoshihiro Narisawa (Les Creations de Narisawa a Tokyo) fa rima con bosco: la sua è una cucina che non potrebbe fare a meno della naturalità e degli ingredienti della foresta, attualmente sono circa 300 le erbe silvestri che usa. E molte altre sono ancora da scoprire. Questo permette non solo di valorizzarle in cucina mediante tecniche antiche come, per esempio, le immancabili fermentazioni (di cui loda la prospettiva gastronomica come la salubrità), ma di prendersene cura, completando il suo lavoro in cucina impegnandosi in prima persona nel piantare nuovi alberi.
Oliver Peña
Cambi di prospettiva
Fare avanguardia a partire da una tecnica classica come la cottura nel forno? È possibile, facendo un lavoro attento sulla qualità, selezionando materie prime, alimenti e perfino il legno. Non rimanendo mai cieco di fronte ai dettagli. E cambiano la prospettiva dalla cucina alla sala per prendere in esame l'esperienza del pranzo in ogni suo elemento. Con questa visione, per certi versi innovativa, i tre fratelli Sandovar – Mario Diego, Rafael – seduti intorno a un tavolo raccontano la loro storia e le nuove prospettive di Coque, il loro ristorante che da agosto 2017 si è trasferito a Madrid. Hanno voluto, ognuno, inseguire il proprio sogno, facendo in modo che il loro nuovo locale fosse un posto in cui stanno bene non solo i clienti ma anche chi ci lavora. Anche questo è un approccio rivoluzionario. Che non ignora però l'innovazione, con le ricerche sull'idrolisi dell'uovo, su polifenoli, fermentazioni e fibre. Presentano in questa occasione la fattoria a San Lorenzo del Escorial, un luogo dedicato alla produzione sostenibile di carni e ortaggi e un centro di ricerca. Quella che Mario Sandoval sviluppa con un team di quattro persone "abbiamo aperto molte strade nella ricerca che ci stanno dando molte gioie", confermano i suoi fratelli cui riservano il 5% degli incassi del Coque.
www.sansebastiangastronomika.com
a cura di Antonella De Santis
foto di apertura: Elena Arzak sul palco