Francesco Vignali. Professione food photographer

15 Mag 2014, 08:39 | a cura di
Arriviamo all'ultimo appuntamento con la nostra indagine alla scoperta dei food photographer, e lo facciamo con Francesco Vignali, storico collaboratore del Gambero Rosso. Appassionato di archeologia e travel, i suoi scatti sono frammenti di un reportage dove il cibo è una tappa fondamentale del viaggio.

Concludiamo la nostra rubrica sui food photographer con Francesco Vignali, storico collaboratore di Gambero Rosso. Romano, classe 1965, dopo essersi diplomato al liceo classico si è laureato in economia, ma le sue vere passioni sono da sempre l'archeologia e i viaggi. “A nove anni ritagliavo dai giornali le foto dei paesaggi e creavo un itinerario accompagnato da descrizioni, una volta cresciuto ho coronato il mio sogno, assieme a un'amica ho prodotto un libro: Itinerari in Etruria alternativa”. E la food photography? Per lui non è altro che il completamento di un viaggio, ovvero un modo per rappresentare a trecentosessanta gradi un luogo. Ecco la sua intervista.

Quando e perché hai cominciato?
Sono passati più di vent'anni, ormai ho perso il conto. Probabilmente ho cominciato perché volevo raccontare attraverso le immagini quello che vedevo e, non sapendo disegnare, ho optato per fotografare la realtà. La cosa certa è che non ho cominciato per passione, passione per la fotografia quantomeno.

Che strumenti utilizzi?
Ho cominciato con la Konica, una macchinetta che mi ha portato il mio migliore amico al ritorno da un viaggio a Singapore. Poi ho continuato con le Nikon, sempre super usate. Non avendo nessuno in famiglia che facesse il mio stesso lavoro è stato sempre tutto più difficile: per arrivare a possedere l'attrezzatura professionale necessaria ci ho messo cinque anni.

Come hai imparato a fotografare?
Ho imparato sul campo, sono autodidatta. Agli esordi seguivo un fotografo di cronaca rosa ma la grande scuola è stata durante gli anni in cui ho aperto un'agenzia fotografica con due amici. Dal '92 al '99 abbiamo collaborato con giornali e agenzie più grandi, prima fra tutte Grazia Neri, che all'epoca era l'agenzia fotografica più importante d'Italia.

Quando ti sei avvicinato al mondo del food?
Nella nostra agenzia fotografica ognuno aveva il proprio compito: io ero l'addetto ai viaggi e al food da reportage, che nulla ha a che fare con il food pubblicitario. Il cibo per me rappresenta il completamento culturale del viaggio, un viaggio fatto di spiagge ma anche di piatti tipici e tradizionali. Ecco perché non ho mai guardato il food con occhio pubblicitario, semplicemente perché per me, fotografare il cibo, è un modo per rappresentare a trecentosessanta gradi un luogo.

È cambiato molto il mondo del lavoro nel campo della fotografia?
Assolutamente sì, il mondo del lavoro è cambiato totalmente. C'è un'offerta di immagini incredibile e questo ha portato i clienti a sottovalutare il lavoro dei fotografi professionisti. Molti non capiscono, o non vogliono capire, che le foto hanno un proprio mood e un proprio taglio, risultanti da anni di esperienza e da capacità tecniche che non si possono improvvisare. È vero che esistono fotoamatori evoluti, molto bravi a fare un certo tipo di foto, ma sicuramente questi non sono completi come lo è un fotografo professionista.

Qual è la tipologia di foto che ti richiedono?
Dipende dal cliente, nel mensile del Gambero Rosso non vogliono foto patinate: l'obiettivo è rappresentare i piatti in maniera realistica. Questa è una filosofia che mi appartiene, d'altra parte vengo dal mondo del reportage. A me piacciono le foto dove si vedono bene gli ingredienti che vanno a costituire il piatto.

Fai post produzione?
La post produzione è inevitabile per riportare l'immagine a come la si vede nel momento in cui si scatta. Più o meno si fa quello che si faceva in camera oscura una volta.

Cosa rispondi a coloro che pensano che con una macchina digitale tutti siano bravi fotografi?
Non è assolutamente così, noi fotografi la usiamo in manuale, per avere il controllo di tutti i parametri. La macchinetta è uno strumento e, senza il fotografo che la sappia usare, fa foto più brutte di una semplice compatta (anzi se non la si sa usare è decisamente meglio ripiegare sulla compatta!).

Un consiglio ai nostri lettori per fare delle belle foto amatoriali?
Per fotografare il food (ma anche in generale) bisogna conoscere che cosa si sta fotografando: conoscere i prodotti, i piatti e lo stile dello chef. Solo così si può giocare con le linee e i colori, consegnando un'immagine che emoziona.

Che opinione ti sei fatto delle app fotografiche per smartphone come Instagram?
Sono mode che vanno collegate a un determinato periodo, inoltre danno la possibilità a tutti di ottenere una foto che si avvicina a un'immagine professionale. Se è per uso personale ben venga. Male se un'agenzia mi chiede un'immagine “stile Instagram”!

www.francescovignali.it

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a cura di Annalisa Zordan

 

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