Ma quali sono le tendenze che caratterizzano la comunicazione digitale? Difficile individuarle tutte, ma principalmente gli interventi del convegno si sono focalizzati su: video, native advertising, mobile.
Il web, in Europa, sorpassa la tv. In Italia è al secondo posto
Apre i lavori Daniele Sesini (IAB) con una certezza: “Il food è il primo settore di investimento nella comunicazione. Per un semplice motivo: è un aggregatore universale”. Ma come si comunica, il food, oggi? “Siamo di fronte a un dato storico, perché il web in Europa ha chiuso con 36 miliardi di euro investiti nel 2015, sorpassando la tv. In Italia lo scenario è diverso ma sicuramente questo rappresenta un traino”. Lo conferma Alberto Dal Sasso (Nielsen): “Nel nostro Paese il mondo digitale è il secondo media dopo la tv. E insieme rappresentano più dei tre quarti del mercato della pubblicità, che vale poco meno di 8 miliardi di euro. Il dato importante è che il digitale è in crescita”. All'interno del calderone “digital” la fanno da padrone “il search, i social network e i video. Questi ultimi, costantemente in crescita, e un quinto degli investimenti fatti dalle aziende di food nel digitale passa proprio attraverso di loro”. Sarà forse un caso che, come commenta Laura Corbetta (Yam 112003), quest'anno ai MIPTV a Cannes non è stato presentato alcun format sul food? “Masterchef continua a funzionare ma il tema food in televisione è stato esplorato in tutte le sue sfaccettature. Nel digitale, invece, ci sono ancora un sacco di opportunità”. In poche parole se uno vuole puntare sulla comunicazione digitale deve farlo principalmente attraverso i video.
I video
Il punto è che il web ha regole differenti, a volte opposte, alla televisione. Per esempio, per ottimizzare la comunicazione è necessario raggiungere il target giusto al momento giusto, anche a costo di ridurre l'audience. Altro esempio, concreto, lo porta Giovanni Ciarlariello (Sky): “L'errore che spesso si commette è quello di prendere un contenuto tv e proiettarlo su web. Non funziona. Perché cambia il modo di fruire da parte degli utenti: la televisione fa leva sulla pigrizia dello spettatore, il quale ne fruisce in maniera coercitiva, nel senso che assorbe tutto in maniera abbastanza passiva. Mentre il digitale entra in una dinamica più cooptativa”. Una visione condivisa anche da Andrea Santagata (Banzai Media): “Il food è un fenomeno bi-media, dove la tv rappresenta l'intrattenimento mentre l'internet, l'utilità. Quest'ultimo è dunque più importante per le aziende perché intercetta quegli utenti che si stanno avvicinando agli acquisti”. Ne segue che l'utente del web deve essere stimolato maggiormente. Non necessariamente con le celebrity della tv, specifica Ciarlariello: “Nelle produzioni digitali a basso costo, per esempio, vanno di più i talent digitali nativi”. Anche per Julian Prat (Mec Italy) “l'ingrediente di base per fare pubblicità sul web è il video, che però non basta mettere semplicemente online. Ma è necessario che abbia dei contenuti da raccontare basati su: trasparenza, fiducia, origine (del prodotto)”.
Il native advertising
Altro tema fondamentale è l'eleganza con la quale si fa la pubblicità: “Le televendite o le marchette palesi non sono più utili”. Dichiara categorico Giovanni Ciarlariello (Sky).“Da qui nasce, se vogliamo, una nuova figura professionale, il content editor, ovvero colui che crea uno story telling aziendale per poter comunicare con eleganza il marchio”. Parla del native advertising. Un modo di fare pubblicità online che assume l'aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitata, cercando così di generare interesse negli utenti. È apprezzato sia dagli addetti ai lavori, per la capacità di massimizzare l'investimento in un'ottica orientata all'engagement, sia dagli utenti perché effettivamente ai loro occhi risulta utile, un valore aggiunto all'esperienza di navigazione. E non guasta il fatto che anche gli editori “siano più stimolati a cercare una soluzione condivisa con i clienti”, afferma Annalisa Monfreda (Donna Moderna). Ecco perché è sempre più utile focalizzarsi sullo storytelling delle aziende. Tra l'altro, aggiunge Sebastiano Cappa (Ligatus), attraverso il native advertising si “aggira” l'adBlocker, anche nel mobile. “È un'opportunità per gli editori e gli advertising perché gli utenti che si intercettano attraverso il native sono quelli che non guardano la tv, e nel web stanno dietro a un adBlocker”. Questa forma di pubblicità, decisamente meno invasiva dal punto di vista estetico/grafico, consente dunque di interagire con nuovi utenti, ovvero con quelli che non cliccano più sui banner.
Il mobile
Quando il native incontra il mobile l'efficacia viene massimizzata. Semplicemente perché lo smartphone è sempre a disposizione dell'utente, in qualsiasi momento della giornata. In questo scenario le aziende sono chiamate a una nuova sfida: avviare e sperimentare delle modalità innovative di real time marketing. Stimolando l'utente a un'azione immediata. Ecco spiegato il successo di DoveConviene, “app che offre a 20milioni di consumatori nel mondo lo smart shopping nei negozi fisici. È un'evoluzione dell'e-commerce, che accompagna gli utenti all'acquisto e che, nel food, potrebbe avere un impatto fondamentale”. Spiega il Seo Stefano Porto. “Anche perché gli acquisti più frequenti avvengono proprio in questo mercato”. In poche parole lo smartphone consente di seguire il consumatore da quando comincia a pianificare la spesa fino alla cassa. E questo fa sì che si possa, attraverso un real time marketing, mandare il messaggio giusto, al momento e al posto giusto. Grazie a una comunicazione sempre più profilata, sugli interessi, sul comportamento e sul contesto in cui si trovano gli utenti. Non a caso, secondo Alberto Dal Sasso (Nielsen), quella del mobile “è l'area più interessante in cui investire, ancora piena di opportunità da esplorare. Anche se nel food ci si sta muovendo meno rispetto ad altri settori”. E questo è un discorso che va esteso a tutti i modi di fare comunicazione: “Il food è il principale settore per investimenti pubblicitari, con una crescita del 6%, ed è quello, insieme alla tecnologia, che suscita più interesse/coinvolgimento da parte dei consumatori”. Spiega Antonello D’Elia (GroupM). “Eppure le aziende di food investono ancora troppo poco sulla comunicazione. C'è un gap tra il livello di interesse degli utenti e quanto questo interesse viene soddisfatto. È un gap che le aziende di food dovrebbero cogliere”. A quanto pare il digitale è il vento del cambiamento, e le aziende di food ancora non hanno spiegato le vele.
a cura di Annalisa Zordan