“Avevo 24 anni appena compiuti l'8 settembre 1979 quando mio padre mi prestò 5 milioni dicendomi che un fallimento nella vita serve sempre. E che glieli avrei dovuti restituire sei mesi dopo”: inizia così la storia di Fabio Picchi e quella del Cibrèo, cui sono seguiti la trattoria, anche chiamata il Cibrèino, il Cibrèo caffè e il Teatro del Sale fondato dalla moglie e di cui Picchi cura la ristorazione. Con un prestito e la previsione di un insuccesso certo. È stato l'inizio di una storia lunga quasi 40 anni. Fatti di intuizioni, idee chiare, fatica. “La prima serata mi sono dato una manata forte sulla fronte perché ho capito che la mia vita era cambiata. Niente più cinema né serate con gli amici. Senza contare i tanti amici che sono tali fino a che non gli porti il conto al tavolo”. Ma così è partito tutto, senza inaugurazioni (“non le ho mai fatte: ho aperto ogni volta rivolgendomi ai primi clienti con affetto”), da quel primo locale nel 1979 e poi, anno dopo anno, con le realtà satelliti nate man mano.
I 5 milioni restituiti nei tempi previsti, e senza il fallimento annunciato. In quella avventura è cresciuto e maturato molto, “ero giovane, presuntuoso, incosciente”, come è lecito essere da giovani. “Mi assolvo 1000 volte per gli errori commessi e altre 1000 volte chiedo scusa per le scelte sbagliate dettate da quell'irruenza”. Iniziano allora le sveglie alle 4.30 per andare per mercati, gli incontri con contadini, macellai, pescatori “mi sono innamorato perdutamente di questi maestri”. Con il faro del prodotto e di chi lo rende così speciale è andato avanti, dentro e fuori l'Italia.
L'avventura in Giappone
“Ogni volta che mi hanno chiesto di aprire da qualche parte nel mondo ho sempre detto che prima serviva un orto”. Come quella volta che un'anziana signora giapponese lo contattò per replicare il Cibrèo a Tokyo e un anno dopo la risposta di rito del Picchi lei gli inviò una lettera (era il 1989, le mail erano ancora un miraggio fantascientifico) per avvisarlo che l'orto era pronto: “andò alla Cooperativa di Lagnaia dove comprò tutti i semi per fare un orto toscano intorno alle buche di uno dei suoi due campi da golf. Allegava due biglietti per fare il giro del mondo con l'unica richiesta di partire da Tokyo per vedere quel che aveva messo su”. Fu così che il Cibrèo aprì anche in Giappone in un palazzetto costruito appositamente, dove rimase aperto fino a che la signora fu in vita “con lei ci capivamo benissimo nonostante non parlassimo l'uno la lingua dell'altra”. Che non era la lingua dei soldi. Perché scomparsa la signora non si creò la stessa istintiva empatia con chi prese le redini dell'azienda, e quindi l'avventura nipponica si concluse, malgrado le importanti offerte economiche.“Era una questione d'affetto non di soldi”.
I dipendenti
“Il mio vero conto in banca sono i miei dipendenti”: 54 (oggi 56, si corregge), è su di loro il vero investimento, sulla formazione loro e sua. Non è un caso che qualcuno sia da più di 30 anni insieme a luie al figlio Giulio (che oggi gestisce tutto da patron,“mentre io in cucina studio i piatti”). La soddisfazione è quando qualcuno sente tutto come un suo progetto, come è accaduto pochi giorni fa, con una giovane collaboratrice che lavora in sala. “Il cameriere è il lavoro più bello del mondo, non il cuoco: è un corso di psicoterapia continuo, che fa entrare nella logica del servire” e poi aggiunge “minestra e ministro hanno la stessa radice”.
La cucina come responsabilità amorosa
Ama dire che i suoi nuovi piatti non deviano dalla tradizione perché “quella è la mia musica”, invitando poi tutti a riappropriarsi della cucina della mamma “ma non la mamma che era, ma quella che sarà” spiega. Perché dare nutrimento è un progetto per il futuro, fatto di amore, e la cucina, insieme all'arte, può salvare dalla disabilità affettiva. Dunque il passaggio fondamentale è percepire il cibo come sostanza del nutrimento intrisa di amore e di responsabilità verso gli altri. “La teoria dei neuroni a specchio è un fatto comprovato” dice “siamo un tutt'uno con gli altri e con il mondo circostante. Verso tutto questo abbiamo delle precise responsabilità”. L'invito è dunque a farla finita con i “cuochi di artificio” quelli che dopo pochi minuti scompaiono, “e a recuperare la bellezza di quella responsabilità amorosa”.
La cucina degli incontri
Come una corrispondenza di amorosi sensi insomma. Che porta all'incontro e allo scambio. “Ho conosciuto un ragazzo che ha iniziato ad allevare maiali allo stato brado, una fatica tremenda: sta dietro a 74 leggi, invece che le 4 necessarie per allevare male. Si finanzia con progetti europei, va in Africa per seguirne altri. Ho comprato subito un suo maiale: rosticciana, prosciutti cotti al metodo antico, scamerita. Abbiamo fatto e mangiato tutto: una cosa incredibile”. E lancia una preghiera perché tutto questo si preservi. Nell'incontro. Come quando, a un cliente canadese abituato a una pesca di misura, fa assaggiare il frutto della pesca di scampi possibile solo 20 giorni l'anno: “una cassetta o due al massimo, me li portano ancora vivi, non in ghiaccio. E quando li hanno assaggiati i canadesi mi hanno abbracciato”. A dimostrare che la qualità si riconosce, e anche l'eccezionalità di certi prodotti. “Oggi, poi, il turista è curioso, attento, naviga, studia e si informa. Non bisogna commettere l'errore di pensare che non capiscano. 20 anni fa gli americani non sapevano cosa era il pane buono. Oggi hanno dei fornai straordinari. E questo anche perché esiste una relazione che si crea tra le persone e il loro sapere”.
I nuovi progetti
Proprio da questa attitudine nasce il progetto che lo porta ad acquisire un ramo di azienda della Cooperativa di Legnaia (7 punti vendita e circa 500 fattorie, per lo più convenzionali, che conferivano prodotti), sì proprio quella che, 30 anni fa, aveva reso possibile l'orto toscano e l'avventura del Cibrèo a Tokyo. “Errori amministrativi ne mettevano in crisi il futuro, mentre noi stavamo implodendo per troppa struttura”. Parte tutto da lì: una nuova società (C.Bio: Cibo Buono Italiano Onesto) assorbe una parte della Legnaia e 4 dipendenti cui si aggiungono altri 8 del gruppo del Cibrèo, tra cui i 4 panettieri e pasticceri che forniscono Cibrèo, Cibrèino, Cibrèo Caffè e Teatro del Sale ovvero le attuali insegne dell'impero gastronomico del Picchi che a Firenze ha trasformato un quartiere. “Questo pane stava diventando troppo costoso”, ora lavoreranno nel supermercato superbiologico che aprirà il primo marzo a via della Mattonaia, a un passo dalle altre insegne del Picchi, e dove verrà anche spostato il laboratorio di gastronomia in cui verranno prodotti sottoli e sottaceti. Insomma il Cibrèo si alleggerisce, la nuova struttura si potenzia. Il progetto è l'evoluzione sostenibile della vecchia cooperativa, con circa 50 aziende bio (cambiamo fornitori: “ma abbiamo spiegato il progetto alla cooperativa che abbiamo acquisito e alle singole fattorie, indicando la strada della sostenibilità come unica via per tutti” anche questo è un approccio responsabile) e un sistema di gestione che permette di arrivare fino al cliente. Il supermercato avrà sempre prodotti freschissimi perché servirà anche i ristoranti del gruppo, assicurando così banconi con l'esposizione rinnovata quotidianamente. Dal pesce (solo di venerdì e solo da piccole barche e non da pescherecci) alla frutta, dal pane alla verdura. Per la carne? “Ho comprato una macelleria nel mercato di Sant'Ambrogio” continua “così nel raggio di un centinaio di metri abbiamo macelleria, gastronomia, supermercato”.
Una questione di idee (e di romanticismo)
Il progetto però ha qualcosa di diverso e in più rispetto al solo punto vendita “per una volta è un ristorante che apre un supermercato, e non il contrario” dice. E tutto ha una grande forza romantica, fatta di idee (come per esempio i pozzi luce, e l'allestimento del tetto con piante e sementi) e di persone coinvolte, di suggestioni condivise in modo spontaneo che mettono insieme professionalità e relazioni. “I fornitori da cui ci siamo serviti per 30 anni diventano anche distributori mirati per quel 30% del prodotto che non andrà nella vendita al dettaglio” in una sorta di vaso comunicante di fiducia nel progetto e nel prodotto. Uno sviluppo simile riguarda anche la macelleria: “ho scoperto che le pelli migliori sono quelle degli animi allevati in modo sano”, e questo apre un ulteriore, potenziale, impiego di ogni parte dei capi. Che per le professionalità che, come forza centripeta sono coinvolte giorno dopo giorno dal progetto, potrebbe aprire a una strada imprevedibile in settori limitrofi. Le idee non mancano, e anche la versatilità. Del resto Fabio Picchi ci ha abituato a non fermarci ai ritratti a due dimensioni: cuoco, imprenditore, scrittore, appassionato collaboratore di uno spazio di eventi tra i più attivi di Firenze: quel Teatro del Sale che con la direzione artistica di Maria Cassi sforna più di 230 serate l'anno, di cui è complice in casa (“entro in un teatro, mi innamoro di mia moglie e lei di me, ma forse prima del mio cacciucco”) e a cui fornisce il servizio di ristorazione. Tra giovani artisti e grandi nomi della scena internazionale come Elvis Costello e Fiorella Mannoia, lavorano al ristorante persone con disabilità “ma è più preciso dire diversamente abili. Perché sono motori emotivi di cui la struttura ha assolutamente bisogno, che danno una qualità e una potenza umana impagabili”. Dove trova tempo per fare tutte queste cose? “Ho smesso di fumare 8 anni fa” dice “e questo mi ha dato tempo, lucidità, duttilità”.
Cibrèo | Firenze | Via Andrea del Verrocchio, 8r | tel. 055 2341100
Cibrèo trattoria (detta il Cibrèino) | Firenze | via de' Macci, 122r
Caffè Cibrèo | Firenze | via del Verrocchio, 5r | tel. 055 2345853
Teatro del Sale | Firenze | Via de' Macci, 111r | tel. 055 2001492
http://www.edizioniteatrodelsaleCibrèofirenze.it/
a cura di Antonella De Santis