facendo aumentare la sensibilità nei confronti di un prodotto che non è più considerato solo come un grasso vegetale, ma ha tutte le potenzialità per essere uno dei principali protagonisti dell'internazionalizzazione delle aziende agroalimentari nostrane.
C'è, evidentemente, l'esigenza di istituire una categoria di extravergine che vada ben oltre alle classiche certificazioni delle denominazioni territoriali. Infatti tra il prodotto Dop e IGP, i cui volumi sono ormai stabili intorno al 2% del mercato e gli extra di base, venduti a prezzi molto inferiori, c’è una vasta area di potenziale valore che non trova proposte coerenti in grado di posizionarsi.
“È in tale contesto” avverte Massimo Gargano, presidente di Unaprol “che si percepisce l’esigenza di uno strumento accessibile per tutti gli operatori che agevoli una comunicazione più efficace relativa ad un prodotto di categoria superiore. All’esame della Conferenza Stato-Regioni” ha poi aggiunto Gargano “c’è il testo del decreto ministeriale, in via di definizione da parte del Mipaaf, che dovrà istituire il Sistema di Qualità Nazionale (SQN) per l’olio extra vergine di oliva di alta qualità. Una corsia preferenziale” ha concluso “che in aggiunta alla legge salva made in Italy dell’olio extra vergine di oliva recentemente entrata in vigore, potrà far affiorare quella qualità diversa e distintiva del nostro olio rispetto agli standard stabiliti dalla regolamentazione comunitaria vigente sulla denominazione di origine obbligatoria in etichetta e sui claims salutistici”.
Da qui nasce l'intesa tra Cno e Unaprol: le due organizzazioni nazionali dei produttori di olio di oliva stanno infatti conducendo, insieme ad altri attori della filiera olivicola nazionale, “una battaglia a favore della trasparenza, della qualità e della tutela del reddito degli agricoltori”, afferma Gennaro Sicolo (qui sotto), presidente del Cno, così da poter “distinguere la loro offerta sullo scaffale con un prodotto che sia certificato con l’alta qualità italiana”.
La necessità di un accordo nasce quindi da due motivi: la tutela di un prodotto sempre più vocato all'alta qualità e il bisogno di valorizzare il prodotto sul mercato internazionale. Nel 2012 infatti, secondo i dati del COI, il Consiglio Oleicolo Internazionale, il consumo mondiale dell’olio di oliva ha superato 3 milioni di tonnellate. Tra le nuove aree di mercato di sbocco si segnalano Australia, Russia e Cina. Gli Usa in un decennio hanno portato il loro consumo interno da 170 a 275 mila tonnellate, confermandosi il maggior mercato al consumo non tradizionale. L’aumento che si registra è lento, mediamente pari all’1% annuo, ma il fatto che sia costante è un segnale molto positivo visto che i margini di miglioramento possono essere molto ampi.
In tal senso si è mossa anche la Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) che allo scorso Salone del Gusto di Torino ha presentato, insieme a Coop, Alleanza cooperative agroalimentari e Cno, “Assieme” ovvero un olio frutto di un patto tra agricoltori, cooperazione e grande distribuzione, per garantire la completa tracciabilità del prodotto per i consumatori, ma anche l’equa ripartizione del valore aggiunto e della redditività tra tutti i soggetti della filiera.
a cura di Indra Galbo
6/02/2013