à molto simili tra loro dal punto di vista produttivo, ma che si differenziano soprattutto sulle modalità di commercializzazione del prodotto.
Cominciamo con l'analizzare i numeri della filiera olivicola marocchina, un settore che costituisce circa il 5% del prodotto interno lordo agricolo e che si sviluppa su circa 784.000 ettari di uliveti. Il paese durante la penultima campagna olearia ha prodotto circa 160.000 tonnellate di olio d'oliva (di cui 17.000 destinate all'esportazione) e 90.000 tonnellate di olive da tavola. La varietà più presente, con circa il 96% di piante, è la picholine marocaine, anche se non mancano anche altre cultivar "straniere" come la picholine de languedoc, manzanille, picual, hojiblanca, arbequine, fino ad arrivare alle nostrane ascolana e frantoio.
I fatti parlano di una realtà altalenante, fatta di raccolte tardive e stoccaggi improbabili condizionati dal sole battente e dalle alte temperature (dati del 2006 del COI parlano di un 80% di vergine e lampante), dove però non mancano le punte di eccellenza. Ne è un esempio Brasseries du Maroc, il principale gruppo leader nella produzione di bevande come vino, birra e succhi di frutta: dopo aver acquisito circa 600 ettari di uliveto, ha installato anche un portentoso Pieralisi a ciclo continuo per garantire velocità e pulizia nella trasformazione delle olive. Il risultato? Consumi ed esportazioni garantite e molti concorsi vinti.
Partner fondamentale della politica agricola marocchina è ovviamente la Spagna: molti sono gli investitori spagnoli che si sono installati nelle principali aree di produzione intensiva marocchina. Queste aziende agro-industriali operano principalmente nella produzione di alto valore aggiunto come fragole, asparagi, lamponi, ortaggi, agrumi, e ovviamente olive.
Entro il 2020, attraverso il Plan Maroc Vert, il Ministero dell'Agricoltura e della Pesca Marittima marocchino si è imposto di dare un'importante spinta alla produzione e al consumo di olio cercando di aumentare sia gli ettari coltivati (portandoli a più di un milione) sia il consumo interno pro capite ancora troppo basso (circa 2-3 kg all'anno).
Per quanto riguarda invece il fronte tunisino, qui parliamo del più importante produttore del Nordafrica con oltre il 30% dei terreni agricoli dedicati alla coltivazione dell'olivo (1,68 milioni di ettari). Se si esclude l'Europa, è la più grande potenza mondiale nel settore dell'olio d'oliva e anche qui si stanno facendo sforzi enormi per ammodernare gli impianti, aumentare la qualità dell'olio di oliva ed espandere la superficie olivetata. I numeri attuali parlano di una produzione media (tra il 2004 e il 2009) di circa 180.000 tonnellate di olio che vengono lavorate nei 1750 frantoi sparsi per il territorio nazionale.
Qui si bada molto alla quantità e proprio per questo motivo l'Europa è un grande acquirente dell'olio tunisino che nella maggior parte dei casi utilizza per tagliare l'extravergine di casa nostra. L'esportazione infatti è la voce principale per quanto riguarda il mercato e la commercializzazione: basti pensare al fatto che l'olio di oliva occupa il 50% del totale delle esportazioni di prodotti agricoli e il 5,5% del totale nazionale per capire quanto possa essere importante nell'economia di questo stato.
Anche qui, come in Marocco, molto spesso ci si trova davanti a prodotti dalla qualità medio-bassa dovuta a maturazione eccessiva delle drupe (è molto comune la pratica di raccogliere le olive a terra e lavorarle insieme a quelle sane) e a impianti di estrazione tradizionali molto datati.
La speranza per chi si trova dall'altra parte del Mediterraneo è che ci si possa trovare sempre di più di fronte a partner commerciali in grado di produrre anche loro extravergine di qualità di modo da creare una coscienza sia nelle popolazioni locali, sia tra il resto dei consumatori sparsi in tutto il mondo facendo in modo di rivoluzionare una percezione di questo prodotto che per troppo tempo è stato controllato esclusivamente dai grandi poli industriali.
Indra Galbo
07/03/2012