Martin Scorsese si ricorda sempre dell’odore dei formaggi e del latte che da bambino andava a comprare insieme alla nonna, mentre il celebre chef Daniel Boulud ogni volta, prima di tornare in Francia, acquista qui del Parmigiano Reggiano per il padre.
Un pezzo di storia dell’emigrazione e del made in Italy a New York passa necessariamente da Di Palo’s, da oltre cento anni un’istituzione a New York con tutta la sua carica iconografica della celebre location su Grand Street ad angolo con Mott Street.
Simbolo della resistenza gastro-culinaria italiana, in un quartiere, Little Italy, oggi inghiottito da Chinatown e da un turismo italian sounding, Di Palo è arrivato alla quinta generazione e guarda al futuro tenendo in alto la bandiera del fatto in Italia.
L’avventura inizia nel 1910 quando Savino di Palo lascia la sua Basilicata e sbarca nella Grande Mela. Erano gli anni dell’emigrazione di massa proveniente soprattutto da Sud. Cento anni fa, un pezzo di letteratura cinematografica e non solo, ci ha consegnato immagini di navi stracariche di immigranti che, tra lacrime e speranze, lasciavano la madrepatria per la grande avventura oltreoceano. In una di quelle navi, nel 1903, c’era anche Savino, il bisnonno di Lou di Palo. Quest’ultimo, insieme al fratello
Salvatore e alla sorella Marie, ha oggi preso il testimone di quella avvent ura iniziata dal bisnonno e continuata dalla nonna prima e dal padre poi. Lou ci racconta come da latteria, il negozio di Grand Street si sia trasformato in uno dei punti di riferimento per il fine food tra più frequentati e ricercati di New York, che importa il meglio del made in Italy prestando particolare attenzione verso le piccole aziende artigianali e i prodotti di nicchia. Al bancone c’è lui, Lou, instancabile lavoratore, che ogni anno viaggia in lungo e in largo per lo Stivale alla ricerca di prodotti e storie da raccontare. Lou fa conoscere ai suoi clienti la storia del pecorino siciliano, delle nocciole del Piemonte, della crema al pistacchio di Bronte. Quando vai a visitare Di Palo, l’atmosfera è quella delle botteghe dei piccoli paesi italiani.
“Il mio lavoro” dice “è educare gli americani al buon cibo e alla conoscenza”. Per questo, ha appena pubblicato un libro scritto insieme alla giornalista gastronomica Rachel Warton: Guide to the essential foods of Italy. Un volume che è una sorta di memoir in cui si intreccia la storia della cucina italiana. Dentro c’è il cibo regionale del Belpaese, c’è la ricetta della caponata della nonna siciliana e dei cannoli con ricotta di pecora.
Da Lou ci passano tutti: vip, gente comune, italiani, italo-americani e americani. E tutti vogliono sentire i profumi delle storie dell’Italia, e assaggiare i prodotti freschi preparati giornalmente.
L'ex latteria è oggi un negozio di alimentari e gastro rosticceria. Lo scorso anno poi il progetto si è esteso con un'enoteca che affianca lo storico negozio. Merito anche del figlio di Lou, Sam, che dopo gli studi all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo è tornato in America con una profonda conoscenza del cibo italiano e dell’italianità. Il suo motto? “We don’t sell food we share food”. Di Palo guarda al futuro e ci racconta cinque generazioni che hanno fatto la storia della gastronomia italiana a New York City tra tradizione e innovazione.
Lou, come è cambiato il vostro negozio da quando suo bisnonno ha aperto la latteria e da quando Little Italy è diventata un’enclave di cinesi e messicani?
Indubbiamente la popolazione di Little Italy è totalmente cambiata. Prima questo era un quartiere totalmente italiano e oggi siamo stati assorbiti da Chinatown. Il nostro progetto e la nostra idea non sono cambiati, sono sempre gli stessi da quando mio bisnonno ha aperto la latteria. Noi non vendiamo cibo: condividiamo il cibo, parliamo della storia del cibo per legarla alle persone, a un territorio. Nonostante i cambiamenti demografici, la nostra realtà è rimasta un punto di riferimento.
Cosa ha comportato la nascita di Eataly New York alle realtà più piccole come la vostra?
Vantaggi e svantaggi, perché ha contribuito a far conoscere ancora di più la gastronomia italiana. Sono due realtà che convivono perfettamente. Almeno qui negli Stati Uniti.
In che modo Di Palo ha continuato nel segno della tradizione, ma guardando al futuro nel campo della gastronomia?
Nessun tipo di sconvolgimento. Il concetto del cibo autentico rimane quello da un secolo. Prima era difficile trovare alimenti Italiani come alcuni formaggi, il riso, i salumi, oggi tutto è reperibile con molta facilità e celerità. Cento anni fa, quando non si importavano formaggi italiani, si producevano nelle latterie come faceva il mio bisnonno. L'idea era di avere un comfort food, cibo “italiano” che ricordasse casa anche se non era proprio lo stesso. Oggi invece si cerca l’autenticità del made in Italy. E proprio nel segno dell’autenticità abbiamo ampliato la nostra scelta di prodotti e aperto un’enoteca accanto al negozio. Sempre da qualche anno ho iniziato anche a preparare del cibo per i miei clienti. Un concetto che in Italia prende il nome di gastronomia-rosticceria. Ogni giorno preparo dei piatti freschi da servire o da portare via.
In che modo scegliete i prodotti che vendete?
Innanzitutto preferisco sempre le piccole aziende artigianali ai grandi nomi. Mi catturano prima le storie delle persone che fanno il cibo piuttosto che il cibo stesso. Poi la regionalità. I miei prodotti rappresentano la specificità delle regioni italiane.
In questi anni, come sono cambiati i gusti e la conoscenza degli americani in rapporto al cibo italiano?
Il cambiamento c’è ed è notevole perché gli americani viaggiano molto di più in Italia e conoscono il vero cibo italiano. Sono sempre più curiosi ed affamati di Made in Italy.
Il suo libro Guide ti the essential Foods of Italy, vuole essere una guida al cibo italiano usando un approccio tra memoria e storia?
Esatto. Parte dalla storia della mia famiglia e attraversa quello del cibo italiano, suddiviso per regione. Gli americani non hanno molta familiarità con il concetto di regionalità del cibo che è invece alla base della storia della cucina italiana. Io voglio trasmettere proprio il senso della regionalità.
Martin Scorsese, che ha curato la prefazione del suo libro, viene regolarmente a farvi visita. Cosa compra? E Daniel Boulud?
Scorsese ama i formaggi perché gli ricordano la sua infanzia: quando veniva nel nostro negozio con la nonna. Daniel Boulud prende sempre del Parmigiano Reggiano per il padre quando torna in Francia.
Parlando di food e memoir, qual è il cibo che la riporta indietro alla sua infanzia?
Le polpette e la parmigiana di mia nonna.
Cosa vede nel futuro?
Tradizione e continuità, rispetto per il cibo, per chi lo produce e per chi lo compra.
Teniamo alta la bandiera del Made in Italy.
Di Palo's | USA | New York | 200, Grand Street | tel. +1.212.2261033 | www.dipaloselects.com
a cura di Liliana Rosano