È uno dei locali storici di Torino, il preferito da Cavour che qui aveva il suo posto fisso, oggi ricordato da una targa in ottone. Ma quando ci pranzava Cavour, il ristorante Del Cambio aveva già alle spalle una storia lunga un centinaio di anni. La sua nascita, infatti, risale al 1757. Parliamo di oltre 250 anni: una presenza costante nel capoluogo piemontese a dispetto dei cambiamenti politici, delle guerre e delle trasformazioni che si sono avvicendate nel tempo. Qui torinesi e non, più o meno famosi, hanno occupato i tavoli e goduto della sua cucina. E tra pochi giorni, precisamente il 14 aprile, Torino riavrà il suo Del Cambio.
E inizia davvero una nuova vita. Lo ha spiegato Michele Denegri, l’imprenditore 45enne (nel settore medico, ma con una passione per ristoranti, vini e per il Cambio) che ha deciso di investire nella rinascita del più paludato fra i ristoranti torinesi. Si favoleggia di 6 milioni di euro (la proprietà ora è della Risorgimento srl di cui Denegri è l’amministratore delegato). Nonostante il coro di “esageruma nen”- non esageriamo – da cui è stato subissato, Denegri ha seguìto i consigli meno conservatori della moglie newyorkese e ha osato. “Torino aveva bisogno di uno spazio d’eccellenza, di prestigio, ma vivibile e fruibile da tutti. Un posto che facesse sentire importante chi vi entra”. Un posto come ilCambio.
Risultato: un locale di livello internazionale, dove molto è cambiato. Per carità, la sala storica, quella di Cavour per intenderci, è identica a prima, e il restauro, sotto la supervisione della Sovrintendenza, ha restituito con cura filologica la bellezza originaria un po’ appannata dal tempo.
Nel salone d’ingresso, eliminato il bancone del bar, si è tornati alle origini, con i tavolini di marmo bianco di Prali fatti fare espressamente, “che poggiano su basi settecentesche ritrovate nelle cantine e restaurate una a una” come spiega con orgoglio il direttore Daniele Sacco, mentre mostra i tessuti rifatti come nell’800 da ricamatrici fiorentine e le poltroncine con il velluto.
Ma già nelle salette, accanto al salone storico, il nuovo avanza: sono diventate un ambiente unico, e alle pareti campeggia una installazione di 8 lastre specchianti di Michelangelo Pistoletto: si chiama Evento ed è la più grande di questo genere mai realizzata dall’artista. I personaggi ritratti nelle lastre sono persone normali che entrano idealmente in comunicazione col pubblico nella sala, mentre il pubblico diventa così parte dell’opera stessa.
Ma è al piano superiore, collegato oggi da una nuova scala di marmo, la novità maggiore: il bar Cavour. L'atmosfera è quella da club di un qualche hotel chic di Parigi o Londra, con una visione di palazzo-città di Pablo Bronstein nella prima saletta e, nella sala grande, una pittura murale di Arturo Herrera sulla volta, che utilizza la classica “foglia d’oro” in modo innovativo. Qui c’è il bancone del bar, dove il barman Alessadro Cavalli, allievo del grande Bellanca, prepara i suoi cocktail (Martini e Daiquiri impeccabili) e dove si potrà venire per l’aperitivo, per una cena informale (la cucina è aperta fino a mezzanotte), per un dopocena (fino all’1.30, dalle 18.30)
Altra novità: le cantine, spettacolari. Sono gli infernotti originali del Cambio, volte di mattoni a botte e ghiaietta sul battuto. Lo chef sommelier Fabio Gallo racconta il grosso investimento che è stato fatto per renderla una vera, grande, cantina: 15.000 bottiglie (ma si punta a 18.000), più di 2.000 etichette, un trionfo di Barolo (il vino di Cavour, che lo produceva nelle sue tenute di Grinzane), ma anche Borgogna, 140 etichette di Champagne, vini dal mondo, verticali anche di 15 anni, una trentina di annate di Chateau d’Yquem, i grandi liquorosi, Porto, Madeira, Sherry, Marsala: insomma un tesoro sotterraneo. Il vino più prezioso? Un Romanée-Conti del 2002 (ed è in previsione una saletta per degustazioni esclusive in cantina). E poi le cucine, grandiose, innovative. Qui, con la sua brigata di 10 giovani (una sola donna) officerà Matteo Baronetto, per anni l'alter ego (più che secondo) di Carlo Cracco, che da Milano torna alla sua Torino (è nato a Giaveno, appena fuori il capoluogo) e riscopre una città, ha dichiarato, “in cui concedersi il lusso del tempo, il nuovo vero lusso”. E anche qui le novità sono vistose. Oltre al menù gastronomico (120-140 euro) e alle scelte alla carta (100/120€), è previsto un light lunch a 35/40€ e un dèjeuner à la fourchettea 50/60€. Questa è la nuova filosofia del Cambio: aprirsi a un pubblico più ampio, magari più giovane, e avvicinare anche quanti fino ad oggi potevano sentirsi intimiditi da un locale storico così importante.
In una parola, restituire il Cambio alla città.
La carta di Baronetto non è ancora definita, ma già si sa che nel menù non mancheranno i classici, il riso di Cavour o la finanziera. Reinterpretati, magari: al pranzo di inaugurazione per la stampa il filetto di fassone e finanziera (fassone crudo con filone, creste di gallo e altre frattaglie tipiche della finanziera) è stato un bell’esempio del possibile nuovo corso del Cambio, di cucina contemporanea ma di tradizione.
Ah, tra l’altro, sono cambiati anche i piatti, nel senso proprio di stoviglie: 150 piatti "scartati" dalla famosa manifattura di Sevrès perché leggermente difettosi sono stati personalizzati a mano dall’artista israeliano Izhar Patkin con un richiamo al nome del ristorante e alla sua storia. Ennesimo tocco di arte contemporanea nella storia del Cambio. Davvero, al Cambio è arrivata aria nuova.
Del Cambio | Torino | piazza Carignano, 2 | tel. 011.546690 | http://del-cambio.com/ | apertura il 14aprile
a cura di Rosalba Graglia