lank">le ultime tabelle Istat sul lavoro in Italia (un drammatico rosario di croci nere e di bilanci in rosso) un segno più proprio sulla casella riguardante i lavoratori dipendenti in agricoltura: un aumento del 3,67%, misurato e modesto dunque, intendiamoci. Ma in talmente evidente controtendenza rispetto agli altri comparti economici da fare certo notizia. Non erosa neppure dal contemporaneo calo degli autonomi agricoli (più o meno della stessa entità, attorno al 3,7%).
Quest’ultimo infatti non rappresenta altro che la nuova tappa di un trend in corso da un pezzo. Un trend fatto di concentrazione tra imprese piccole e piccolissime, in molti casi davvero micro per superficie agricola utilizzabile e attiva, che se da un lato porta alla sparizione annuale dal registro delle aziende di un certo numero di soggetti, dall’altro è il sintomo di un processo di ristrutturazione e rimodellamento del comparto che va verso una crescita media degli ettari disponibili (dunque delle capacità di competizione di chi li gestisce e coltiva) e un aumento relativo degli imprenditori agricoli professionali (e soprattutto delle società agricole di persone e capitali) a scapito della vecchia tradizionale figura del coltivatore diretto.
In dieci anni il numero globale dei soggetti agricoli è diminuito di ben 800.000 unità: ma contemporaneamente, e parallelamente, la superficie media aziendale è cresciuta del 45% passando da 5,5 ai 7,9 ettari attuali. Parliamo ancora di dimensioni molto ridotte. Ma l’analisi in dettaglio, eloquente sul trend, dice che a sparire sono state proprio e quasi esclusivamente aziende con meno di 20 ettari; mentre quelle “over 20” sono cresciute sia di numero che per ettari controllati. Oggi sono ancora meno del 10% delle aziende totali, ma hanno a disposizione il 63% della superficie agricola nazionale. E non è un caso, tornando al fronte occupazione, che le prime 500 imprese per superficie impieghino circa un quarto dei lavoratori agricoli, e che per le prime mille la quota salga a circa un terzo.
L’aumento di posti di lavoro registrato dall’Istat pur in un anno così oscuro per l’economia in genere è alimentato proprio da questa nuova corrente di “professionalizzazione”, capitalizzazione, ampliamento. E si giova di tre ulteriori fattori: il fatto, anzitutto, che l’agricoltura strutturata ha risentito meno di altri settori della crisi, e spesso ha fatto anche da ammortizzatore sociale; poi, la nascita di nuove figure professionali non strettamente collegate alla coltivazione e all’allevamento (ma invece a settori emergenti e innovativi come le agroenergie, l’agriturismo, il marketing); infine, l’emersione del lavoro nero, fenomeno incoraggiato da alcune misure adottate (i voucher, ad esempio), ma con davanti a sé ancora un bel pezzo di cammino.
Quasi inutile sottolineare come la distribuzione per qualità e quantità dei flussi lavorativi e della loro crescita risenta, “anche” in agricoltura, del gap tra le due Italie. Sia la manodopera a tempo indeterminato che le figure professionali elevate (impiegati, quadri, dirigenti) sono presenti prevalentemente nelle aree di Centronord, dove si concentrano le aziende più strutturate, di grandi dimensioni e che richiedono un fabbisogno occupazionale stabile nel tempo.
Il Sud però mette a segno un dato in interessante controtendenza proprio in uno dei settori più innovativi e di larghe prospettive: le agroenergie. Un trend facilmente comprensibile per quanto riguarda solare e fotovoltaico. Ma che diventa molto interessante quando si scopre che copre anche il comparto biomasse. Il Mezzogiorno, pur con solo un settimo degli impianti totali, vanta oggi il 31% nazionale dell’energia installata di settore. Ed è in rapida crescita.
a cura di Antonio Paolini
15/03/2013
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 14 marzo 2013. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.