Di calciatori titolari o soci di ristoranti ce ne sono tanti, in aumento da quando il food è diventato un fenomeno di massa. Ma di giocatori noti che hanno appeso le scarpette al chiodo per indossare la giubba da chef (per ora?) ce n’è uno solo. Ed è Roberto Scarnecchia, 110 presenze nella massima serie. “Bigino” per chi non mastica di football: romano di San Giovanni classe ’58, ha giocato per cinque stagioni nella squadra della sua città (vincendo due Coppa Italia), nel ruolo di ala. Poi Napoli, Pisa e Milan (agli ordini del suo unico maestro, mister Liedholm) per chiudere la carriera nell’88 a Barletta. Lo abbiamo incontrato a Genova, dove sta guidando la cucina del Marina Place, location affacciata sul Marina Aeroporto, che piace alle buone forchette della Lanterna. Giocatori e tifosi di Genoa e Sampdoria hanno poi un motivo in più per sedersi a tavola, visto che Scarnecchia resta “uno di loro”. Sempre pronto a mischiare pareri calcistici e ricette tradizionali.
Giocatore, imprenditore nell’abbigliamento, docente formatore, commentatore televisivo e ora cuoco a tempo pieno. Come è nata l’ultima avventura?
Merito di mia madre, Gianna. Cucinava benissimo, ospitava spesso i miei compagni ai tempi della Roma. Ancelotti era il numero uno, soprattutto sulle paste ma il vero buongustaio era Robi Pruzzo. E impazzivano tutti per la frittata di zucchine e patate. Io aiutavo a spignattare e quando mio padre ha aperto un locale alla Romanina, nel ’99, sono diventato aiuto cuoco e ho visto che ero già bravino. L’anno dopo curai la parte ristorativa del primo Milan Point.
La svolta decisiva?
Due anni in America a seguire un vero master di cucina. Non era come i programmi che vedo in televisione: spesso i piatti sono impossibili da realizzare per chi guarda e si crea un’idea finta della professione. Oggi i cuochi giovani pensano di essere Cracco solo perché gli dicono “hai talento”. Proprio come i ragazzi si sentono Maradona per aver segnato due gol in Serie A. Ignorano quanta fatica ci sia dietro la scalata al vertice, in ogni attività.
Adesso è qui a Genova ma sappiamo che ha in ballo altri progetti
Vero. Sto curando la riapertura del ristorante milanese (ndr: Sardegna in Bocca) e il lancio di due nuovi locali nella mia amata Capitale. Uno all’Eur e uno a Prati in zona Piazza Mazzini. Mi aspettano tutti i vecchi compagni e il mondo del calcio in genere.
Ma come fa a gestire tutto il sistema?
Io non sono uno chef resident semmai un giocatore-allenatore della cucina. Seguo i locali della mia famiglia e di quella che mi sono costruito da qualche anno: li avvio, creo la brigata, scelgo i sous chef e poi ogni tanto vengo a controllare. Un lavoro bellissimo e molto stimolante: del resto, mi sono sempre annoiato a fare una cosa sola nella mia vita.
Ha saputo che Tassotti e Donadoni sono i primi ex-giocatori ad aver conquistato, come titolari di un locale in Brianza, la Stella della guida Michelin?
Non mi stupisce: grandi professionisti in campo, seri nell’investire in un ristorante in modo lucido e non per moda. Il Tasso ha sempre amato la buona cucina, ricordo che spesso con Virdis andava da Aimo e Nadia. Ma veniva anche nella mia casa milanese e non si lamentava dei miei piatti…
A La Gazzetta dello Sport – che le ha dedicato recentemente un ampio pezzo - ha raccontato che il suo maestro di calcio Liedholm non passava per buongustaio.
Mangiava il giusto, senza sfizi, ed era astemio come me. Ma concedeva grande libertà a tavola: in ritiro non mancavano mai pane e vino. “Tanto è il campo a fare la spia” ripeteva. Un uomo geniale, dotato di un sense of humour irraggiungibile. Un sabato notte, io e sei compagni abbiamo fatto una fuga stipandoci in una sola macchina. Tornando in hotel, verso le tre, becchiamo il Barone: non ci ricordavamo che lui amava fare passeggiate anche a notte fonda. Ci vede, si ferma, panico generale.
“C’è posto anche per me, ragassi?” domanda. E prosegue, tranquillo, il suo giro nel parco.
Cosa pensa della cucina romana?
Impegnativa, intensa: soprattutto nei primi. Sono cresciuto con quei sapori ma oggi preferisco dare un tocco in più alla tradizione. Niente di eccessivo sia chiaro, certi accostamenti è giusto li facciano i fenomeni della cucina come Davide Oldani. Ma il mio signature dish – come si dice adesso – vede gli spaghetti con nero di seppia su una base di gorgonzola, accompagnati da gamberi saltati. Un mix italianissimo, saporito e bello anche da vedere. La gente è tornata a cercare piatti di gusto pieno, facilmente comprensibili. Per esempio, qui a Genova, li conquisto con linguine, pesto e spada.
Sua figlia Valentina è food blogger e giudice della trasmissione tv Cuochi e Fiamme. Non sarà un caso...
Sicuramente il cibo è la sua grande passione, ha avuto tante persone intorno che cucinavano bene e ha imparato, tanto è vero che vinse una puntata del programma dove lavora adesso. Ma in realtà è una pedagogista per bambini. Ha iniziato a divertirsi nel 2010 con il blog di “cucina scioccante” come la chiama lei e ha colpito il pubblico. Poi l’hanno chiamata per il reality La Terra dei Cuochi e ora è alla corte di Simone Rugiati. Sono contentissimo, ovviamente.
Scarnecchia, ma le manca il calcio?
Non mi annoio sicuramente con il mio lavoro di chef però mi piacerebbe tornare sul campo per due-tre ore al giorno come facevo al Derthona (ndr: che ha allenato a due riprese nel 2013), sentire l’emozione della partita ma soprattutto valorizzare il meglio come cerco di fare ai fornelli. E in Italia abbiamo ancora parecchi talenti come grandissimi cibi. Non perdiamoli.
Marina Place | Genova | via Pionieri ed Aviatori d'Italia, 129 | tel. 010.4032260 | www.marinapalace.it
a cura di Maurizio Bertera