In molti, come Entiana Osmenzeza, sono arrivati in Italia ancora minorenni “in Albania studiavo” racconta “se fossi stata bene lì non mi sarei spostata, ma c'era la guerra civile ed era impossibile costruirsi un futuro”. Alla caduta del regime la situazione è complicata, allora a 16 anni arriva in Italia “per noi era come per gli italiani l'America” spiega. Una terra vicina per geografia e cultura, con la televisione, quella che al di là dell'Adriatico si è sempre riuscita a vedere, vera porta d'accesso a quel mondo e alla sua lingua. Finisce in Piemonte, dove ci sono progetti a sostegno dei minori stranieri. Un lavoretto in un ristorante per sopravvivere e l'alberghiero “per studiare senza perdere il lavoro”.
Entiana Osmenzeza
La sua formazione in cucina è tutta targata made in Italy, così come quella – scopriamo – di quasi tutti i suoi colleghi conterranei. La vita da profuga è difficile, i primi anni durissimi: la sveglia all'alba per lavorare in un bar, la scuola, il lavoro e poi lo studio di notte. Cosa la distingue? “La forza di volontà”. Dopo l'alberghiero inizia a viaggiare, fa le stagioni e colleziona esperienze. A Montecarlo al Metropole, con Beltramelli, scuola Marchesi. “C'era grande ordine e precisione e ho pensato che volevo anche io essere così un giorno, allora ho continuato su questa strada. Ma” aggiunge “è stato molto duro, punti alla qualità ma la tentazione di scegliere vie più semplici è forte”. Invece continua: Louis XV, Pierangelini, Alciati, Redzepi. Fino a Gurdulù di Firenze, prima di fermarsi per un po', una volta diventata mamma.
Fundim Gjepali
Fundim Gjepali nel 1996, a 14 anni, raggiunge il cognato vicino Roma dove trova lavoro in un agriturismo, “venivo da una famiglia di allevatori, avevano un caseificio e macellavano, avevo manualità e familiarità con il cibo”. Comincia come lavapiatti, ma presto passa in cucina. Legge e studia tantissimo, gira il mondo dell'alta ristorazione, le fiere, i forum, i congressi. Fa esperienze in locali da grandi numeri. L'inizio degli anni 2000 lo vede al Ceppo di Roma, dopo 4 anni e mezzo e altre esperienze è all'Antico Arco (storico Due Forchette della Capitale), come sous chef, dopo un paio di anni entra in società. Nel frattempo rileva la piccola azienda agricola di famiglia vicino Durazzo, con l'idea di farne, un domani, un agriturismo. Arrivano dei programmi tv in Albania, anche come giudice di MasterChef, e un paio di anni fa apre Padam, un locale nuovo per Tirana.
Mario Peqini
Ci sono poi Mario Peqini che 13enne arriva a Milano dove frequenta l'alberghiero e conquista uno stage al Luogo di Aimo e Nadia. Continua lo studio, colleziona altri stage fino a tornare dai Moroni, stavolta come chef pasticcere, premiatissimo (miglior Pastry Chef 2013 a Identità Golose). Oggi è al Tosca, ristorante italiano in Svizzera. Irdi Keci giunge a 12 anni, anche a lui lo aspettano molti sacrifici e l'alberghiero, poi MasterChef in Albania, nel 2015. Albanese di Tirana, oggi Iirdi è di stanza vicino Imola dove ha aperto il suo locale, Artigiano.
Arriva in Italia a 17 anni, Veri Shaqja. La sua formazione comincia in Albania, in casa tra pilaf e zuppe preparati dalla mamma (“è lei che ha educato il mio gusto”) e l'alberghiero a Durazzo. Lavora in Piemonte, prima in un ristorante di pesce, poi scopre la cucina locale “ci sono tanti prodotti incredibili” dice ammaliato “ogni cambio di stagione porta qualcosa”. La materia prima del territorio e i suoi piatti tipici lo conquistano, ad Alba approfondisce ancora la tradizione: i tajarin, il ripieno dei plin, coniglio al Barolo, la carne cruda e altri piatti. E poi il tartufo. A Udine incontra l'alta cucina e cambia prospettiva: “ho scoperto piatti più ricercati, le grandi materie prime e tecniche nuove” spiega:“questo mi ha aperto il mondo della cucina creativa”. È tra i quattro semifinalisti della seconda edizione di MasterChef Albania, esperienza che gli dona non solo visibilità, ma anche apertura mentale, capacità di affrontare le sfide e la possibilità di approfondire la cucina del suo paese girando per l'Albania in cerca di piatti regionali.
Bleri Dervishi
A soli 4 anni, invece, Bleri Dervishi attraversa l'Adriatico su un gommone con i genitori. Oggi di anni ne ha 23 e nel suo paese Bleri è tornato per vincere, nell'edizione 2015, MasterChef Albania. Il suo percorso nella ristorazione nasce in Italia: l'alberghiero e le prime stagioni, fino ad arrivare da Terry Giacomello all'Inkiostro di Parma, poi il salto nei Paesi Baschi, alla corte di Eneko Atxa dove disciplina ferrea e provocazioni gastronomiche alimentano la sua formazione. Oggi è executive chef del Relais Monaci di Terre Nere a Zafferana Etnea. Cosa c'è di albanese nei suoi piatti e nel ristorante? “Pane e pomodoro che richiama quello della nonna” di cui si intuiscono le tracce nella zuppa di pomodoro con yogurt (tra gli ingredienti fondamentali dall'altra parte dell'Adriatico).
Sokol Ndreko
Arriva da clandestino, a 17 anni, passando il confine con la Grecia, Sokol Ndreko, tra gli uomini di sala più importanti d'Italia (premio per la guida de l'Espresso 2017), con Valentino Cassanelli al Lux Lucis di Forte dei Marmi. All'inizio lavora come muratore, alla ristorazione non ci pensa proprio dopo che un lavoretto estivo gli aveva rivelato una professione fatta di sacrifici e ritmi serratissimi. Poi va in Versilia al ristorante della famiglia Vaiani, e scatta la scintilla: “mi avvicino per curiosità”. Si diploma all'Ais “per avere una qualifica professionale perché volevo una posizione migliore”. Lavora in sala, ha mai avuto difficoltà con la lingua?“mai, anche perché tutto il mio percorso formativi è stato qui”. Ci sono poi Ardit Curri a San Gimignano, Ronald Bukri sous chef all'Inkiostro con esperienze all'Atman al fianco di Corelli. Italiana nata da genitori albanesi, invece, è la sommelier Simona Bulla, patronne insieme al cuoco Gabriele Polonia dell'Osteria Momè, a Livorno.
Quale identità gastronomica?
Molti di loro hanno una doppia cultura gastronomica (“siamo leggermente più fortunati” commenta Entiana) una dell'infanzia e della memoria, e una della maturità. Qualcuno conserva dei ricordi legati agli odori o ai sapori, altri solo dei rimandi lievi legati a racconti o episodi lontani. Per esempio quello dell'onnipresente yogurt, che Irdi (che pure è cresciuto gastronomicamente qui) aggiunge nella mantecatura del risotto, e Fundim propone nell'abbinata tipica con le uova, rielaborata con cotture confit e il tocco di tartufo e asparagi. Per tutti, però, la cucina quotidiana è italiana. Qui, si sono avvicinati ai fornelli, per piacere o necessità.
Sokol Aliaj
Gli albanesi in Italia, ci dice Fundim, sono tantissimi, ma non è una comunità isolata o chiusa. Ci sono professionisti accreditati, persone integrate nel tessuto sociale, complice anche la buona conoscenza della lingua e della cultura, e non fanno gruppo. Negli anni passati l'immagine del popolo albanese in Italia non era delle migliori, “subivo i pregiudizi” ricorda Entiana, che spiega l'importanza di ritrovare le proprie origini: “è un completamento: c'è molto di albanese, ora, nella mia vita e nella mia cucina, e sento molto le mie origini. Il legame con la terra” aggiunge“è l'unica strada per la felicità”, ma è un legame stretto anche con l'Italia: “è casa mia”. Sokol Aliaj, ora sous chef al Tårnet nel parlamento danese, arriva in Italia a 10 anni nel 1997, frequenta l'alberghiero a Chianciano Terme, passa due stagioni alla Certosa con Paolo Lopriore e poi in altri ristoranti a Siena. Testimonia di una generazione che non ha potuto maturare una radice gastronomica, una delle prime e più profonde espressioni di identità culturale e di senso di appartenenza. “L'identità uno se la crea” replica “tramite la famiglia che è la base, poi con le sue esperienze, l'ambiente da cui è circondato, le amicizie, il carattere: la mia cucina ormai è un felice matrimonio tra il mio bagaglio culturale e gastronomico italo-scandinavo e il background albanese”. Dopo 7 anni in Danimarca, sente di avere acquisito tre culture, diverse tra loro, che convivono pacificamente “la gastronomia italiana e albanese mi ricordano casa. Il cuore e l'aspetto professionale sono nella cucina italiana, quello più privato è albanese. La nostalgia in entrambe o forse più in quella albanese, la passione in tutte e tre”.Il legame con le sue origini è tutto nella memoria dei sapori, “alcuni elementi sono comuni alla cucina di ora, per esempio l'aneto con cui sono cresciuto e che trovo qui. Ma più semplicemente sono gli odori e i sapori della frutta e della verdura, così difficili da ritrovare, che mi riportano ai sapori della mia memoria”.
La cultura gastronomica in Albania
Nei 50 anni di regime la politica gastronomica centralizzata imponeva un modello alimentare di impronta sovietica – era quello insegnato anche negli istituti tecnici - in cui il cibo era sostentamento e non cultura, dove non esisteva possibilità di scelta nei negozi. Si è poi passati a un periodo turbolento, di grandi privazioni soprattutto nei primi tempi; e di successiva rincorsa vertiginosa e incontrollata di tutto quanto arrivava dall'estero. 25 anni di allontanamento dalle proprie tradizioni e dalla terra, “tutti scappavano dalle campagne verso la città, Tirana è passata da 120mila abitanti a oltre 600mila” racconta Fundim. Solo di recente si registra un'inversione di tendenza con una nuova attenzione alla cucina locale in una concezione più moderna, un ritorno alla campagna e all'agricoltura “ci sono spazi enormi ed enormi potenzialità”. È un momento storico, di pre adesione alla Comunità Europea, esistono fondi internazionali cui attingere. Ed è un momento in cui l'Albania è in corsa per allinearsi al resto d'Europa, basti vedere il nuovo mercato di Tirana, rinnovato sulla scia dei mercati gastronomic europei.
Il nuovo mercato di Tirana, foto di Paolo Della Corte
“In Albania si stanno formando giovani con le competenze adatte per interpretare la tradizione” dice Entiana, raccontando di una nuova generazione di cuochi che conosce materie prime, tendenze internazionali, tecniche contemporanee; che vedono quel che accade con la cucina italiana e capiscono che si può fare lo stesso con quella albanese. “I veri fuoriclasse sono pochi, per lo più sono ragazzi in via di formazione cui ancora manca un po' di maturità” quella che porta anche maggiore libertà di esprimersi. Un nome? “Per esempio a Tirana c'è un ragazzo, Bledar Kola del Mullixhiu, che fa una cucina albanese vera, legata alle tradizioni ma moderna”.
Ma cosa succede con il vino lo chiediamo a Sokol Ndreko: “L'Albania ha avuto un ruolo importane nella salvaguardia della cultura enologica europea durante a fillossera. Poi la viticultura è stata distrutta al 90% sotto il regime, come negli altri paesi comunisti”. Oggi è in fase di ricostruzione. “Si sono molto sviluppati, le tecnologie aiutano ad avere dei risultati, e negli ultimi anni c'è stata una crescita notevole. Ma” aggiunge “ancora non sono pronti: con vigne così giovani, appena 15-20 anni, avere vini di un certo livello è impensabile, ma c'è un ottimo potenziale”. La vicinanza con l'Italia è condizionante: “I vini italiani la fanno da padrone, per la vicinanza e la facilità di raggiungere l'Italia e perché storicamente l'Albania è sempre stata legata all'Italia. Ma ci sono anche vini francesi e balcanici”.
Un piatto di Veri Shaqja. Carne cruda e thana, frutto tiico albanese
Contaminazioni in cucina
Cibo balcanico e cibo italiano. Quanto si mescolano queste culture? Tanto, risponde Entiana: “ricerco molto il mix, ma più che le mie due terre, mi piace unire tutto quello che ho imparato nelle cucine in cui ho lavorato. Poi, più si cresce e più escono fuori le origini. Del resto la cultura gastronomica albanese è fatta di contaminazioni: greche, turche, armene…”Da quando è diventata mamma il legame con le sue origini si è rafforzato, anche per la voglia di tramandarle alla bambina. “La riscoperta delle radici è qualcosa che arricchisce. L’Albania sta rinascendo e la cucina costituisce un canale preferenziale per farsi conoscere; sono curiosa, mi piace incontrare le nuove generazioni di cuochi che, fra l’altro, condividono l’estrema importanza che do alla scelta della materia prima e alla semplicità”. E all'incontro tra le due culture gastronomiche Entiana, attualmente impegnata in cene itineranti, senza l'impegno quotidiano di un ristorante, dedica il prossimo evento, il 23 ottobre a Bologna, nel programma di 7 Tavole allo Spazio Battirame. Il suo menu, nella serata dal titolo Il lavoro crea cibo (Paesaggi naturali e agricoli), è tutto basato sul raccolto, sullla materia prima autentica e biodinamica, e accoglie molti richiami alla cucina albanese.
Ci prova, con moderazione, VeriShaqjaa contaminare la grande scuola piemontese al Gener Neuv di Asti, rinnovando le ricette ereditate dalla famiglia Fassi con spunti moderni e qualche suggestione ispirata alle sue origini. Un esempio è Il profumo e i sapori della mia infanzia, un dolce a base di gelso di moro in agrodolce, sciroppo di petali di rosa e crumble al limone, memento delle estati di bambino vicino Durazzo. O l'altro, un antipasto a base di carne cruda e thana, un frutto albanese, in due consistenze abbinato a un gelato di robiola di Roccaverano. Un modo per portare un po' della sua storia in un ristorante di grande tradizione. Difficile spingersi oltre perché, spiega: “la cucina albanese ha sapori forti, a volte difficili - è molto diversa da quella piemontese - inoltre voglio mantenere l'identità di questo luogo storico in cui lavoro”.
Tirana, foto di Paolo Della Corte
Tornare indietro
“Mi piacerebbe avere un locale in Albania. Ogni tanto ci penso”fa Entiana “però ancora non lo so, perché non voglio più essere legata alle persone: quando si incontra il proprio posto si riconosce al primo impatto, un po' come nei film o nei libri. Succede anche nella vita, io ogni volta l'ho riconosciuto. Può essere in Albania, o anche un altro posto”. Non ha dubbi Irdi Keci: “dopo MasterChef mi sono arrivate delle proposte, ma” spiega “voglio rimanere in Italia. Ormai è qui il mio mondo”. Fundim Gjepaliun paio di anni fa, insieme al gruppo dell'Antico Arco e una società locale,ha aperto a Tirana il Padam: un locale molto lussuoso, una grande cantina di oltre 400 grandi vini italiani, e una doppia anima, un gourmet da 60 coperti e un cocktail bar in cui passano centinaia di persone e che gira a pieno ritmo. Un punto di incontro internazionale e delle istituzioni locali. In contemporanea fonda anche una società di consulenza per locali, dalla carta dei vini alla gestione del personale: è un paese nuovo che a breve registrerà moltissime start up. Il modello è quello dell'Antico Arco, anche nell'impostazione della cucina e dell'organizzazione. “Al Padam lavoriamo sui piatti tradizionali, li rendiamo più snelli e moderni, dall'immagine alla ricetta, facciamo ricerca sulla materia prima”. Per esempio i formaggi di piccoli agricoltori locali o le trote. “Ma occorre spiegare le cose perché le persone capiscano, ora la società è pronta ad apprezzarle, anche se spesso è stupita dalla proposta” spiega Fundim e, ammette “quel che facciamo noi spesso viene seguito da altri”.
“Ho pensato di tornare in Albania,almeno per un periodo” rispondeSokol Aliaj“siamo la generazione senza homeland. In continuo movimento e continua esplorazione”. Per molti tornare è una questione di progetti: “Vivo qui da 17 anni” spiega Sokol Ndreko “sono cittadino italiano e ho una famiglia qui. Ma nulla esclude che un domani si possa prospettare un progetto interessante per cui tornare in Albania”. Non è un obiettivo tornare, per Bleri Dervishi, ma lo farebbe, a patto di “trovare la persona giusta con la stessa cultura”. Risponde VeriShaqja“fino a qualche tempo fa sarei tornato senza esitare” risponde VeriShaqja“non avevo però avuto offerte che mi convincevano. Ora invece sento che il mio posto è in Piemonte, sono contento qui”.Ma quale cucina avrebbe fatto in Albania?“Una cucina locale, con materia prima locale. È una cosa ancora rara, la maggior parte dei ristoranti in Albania fa una cucina straniera, di derivazione internazionale”. Mamolti giocano la carta passepartout di pasta e pizza.
L'agriturismo Mrizi i Zanave
Chi è tornato indietro con l'idea di valorizzare la storia gastronomica locale è anche Altin Prenga, arrivato su un barcone nel 1998 e tornato indietro nel 2009. In Italia ha compiuto la sua formazione tra ristoranti e botteghe artigiane, e interiorizzato l'idea del cibo del territorio, genuino, tradizionale ma partecipe di un rinnovamento dall'interno. Un'idea che nasce dal prodotto e arriva nel piatto. Oggi al Mrizi i Zanave (“L’ombra delle fate”) di Blinisht punta tutto su una proposta albanese contemporanea e sul prodotto locale, quasi sempre a chilometro zero, valorizzando la produzione locale e sostenendo l'economia dei piccoli artigiani, organizzando anche un consorzio. È il miglior agriturismo del paese. In Albania comincia ora una presa di coscienza sul proprio valore gastronomico, un patrimonio agroalimentare oltre che economico. E molto si deve a Prenga, portavoce dei principi del movimento Slow Food.
Antico Arco | Roma | piazzale Aurelio, 7 | tel. 06 065815274 | http://www.anticoarco.it/
Artigiano | Imola| via San Vitale 159/A | tel. 0542 76311 | https://www.facebook.com/Artigiano-350710818594532/
Gener Neuv| Asti | Via Carlo Leone Grandi | tel. 0141 557270 | http://www.generneuv.it/
L'Inkiostro | Parma | via San Leonardo, 124 | tel. 0521 776047 | www.ristoranteinkiostro.it
Lux Lucis | Hotel Principe Forte dei Marmi | Forte dei Marmi (LU) | Viale Amm. Enrico Morin, 67 | tel. 05 84783686 | www.principefortedeimarmi.com
Mrizi i Zanave | Abania | Blinisht | Fshati Fishte | Lezhe | tel. +355 69 2108032 | http://www.mrizizanave.com/mrizi/
Osteria Momè | Livorno | Corso Amedeo, 46 | tel. 392 780 5007 | http://www.osteriamome.it/
Relais Monaci di Terre Nere | Zafferana Etnea (CT) | Via Monaci | tel. 331 136 5016 | https://www.monacidelleterrenere.it/it/
Ristorante San Martino 26 | San Gimignano (SI) | via San Martino, 26 | tel. 0577 940483 | http://www.ristorantesanmartino26.it/
Tårnet | Danimarca | Copenaghen | Christiansborg Slotsplads, 1218 | tel. +45 33 37 31 00 | https://taarnet.dk/
Tosca | Svizzera | Ginevra | Rue de la Mairie 8 | tel. +41 22 707 14 44| http://tosca-geneva.ch/fr/
a cura di Antonella De Santis