Italiano autentico e italian sounding
Questione di secondi. Questione di dente. Dettagli che tradiscono l’identità di chi lavora in cucina. Sensibilità, prodotti, pregi e difetti, ce li portiamo dietro ovunque andiamo. E un cuoco campano tirerà la cottura sempre un po’ di più, anche se lavora da vent’anni a Hong Kong. Anche se non è più tornato. Viaggiando con una certa continuità, e in modo scientifico, siamo andati incontro a esperienze fantastiche, comiche, in rari casi tragiche. La guida Top Italian Restaurants del Gambero Rosso, online da fine ottobre, nasce proprio per rimarcare un’autenticità d’intenti, per riconoscere il lavoro di chi, fuori dai nostri confini, fa ricerca, dà valore al prodotto d’origine, lo abbina, lo comunica. Tutto questo in un contesto globale nel quale l’Italian Sounding è più norma che eccezione. Al punto da costituire un danno ingente – economico e di immagine – per l'Italia.
Proprio per correre ai ripari e contribuire alla diffusione della nostra enogastronomia più autentica (con le dovute conseguenze per il turismo e l'export) è stata indetta la Settimana della Cucina Italiana nel Mondo - quest'anno dal 20 al 26 novembre - giunta alla sua seconda edizione. Un'iniziativa che prende vita a partire dai nostri avamposti fuori dai confini nazionali, istituzionali e non solo: sono infatti ambasciate, istituti di cultura, consolati, che affiancano il lavoro che, quotidianamente, fanno i ristoranti, le enoteche e le pizzerie che portano avanti il vessillo della nostra tradizione gastronomica più vera. Insegne che emergono per qualità e autenticità nel mare magnum delle molte attività con un richiamo solo di facciata alla nostra tradizione. Sono infatti più di 100mila gli esercizi stimati nel mondo che si rifanno alle nostre tradizioni, 370 circa al momento, quelli selezionati nella guida Top Italian Restaurant. Una nicchia, sicuramente, ma che ben racconta un cambio di passo della proposta, con una nuova generazione di chef di talento, con piglio e visione internazionale, capaci di ravvivare le nostre filosofie. Contando finalmente su una disponibilità di ottime materie prime in ogni parte del globo in tempi rapidissimi. La cucina italiana all’estero non si esporta a colpi di serate con chef firmati o collaborazioni e consulenze spot, più o meno proficue dicono le nostre visite, ma con una proposta seria modulata giorno per giorno, spiegata, fatta di piatti riportati in cucina dal cliente e comprensione del gusto locale. La cultura gastronomica si trasmette ai consumatori mediante l'esperienza concreta del prodotto e della cucina italiana, la spiegazione delle loro specificità, la narrazione dei nostri territori, come tenta di fare, per il secondo anno, l'iniziativa che vuole essere solo un momento di elaborazione di un lavoro di concerto tra diverse realtà che deve continuativo.
Prodotti top e ricette immancabili
Vitello tonnato e tiramisù i piatti più presenti all'estero; burrata, ‘nduja e tartufo i prodotti usati con più malizia in cucina. Perché spesso si ricorre a qualche prodotto iconico (o alla sua opaca riproduzione) per accreditarsi come italiano. Ma in mezzo a un mare di proposte di chef improvvisati e catene straniere che sfruttano i nostri nomi (eclatante il caso di Vapiano con i suoi 180 ristoranti in più di 30 Paesi, ma anche Pizza Hut e Starbucks per certi versi si servono di una certa allure italiana per fatturare miliardi) ci sono anche punte di vera eccellenza. Oggi a Tokyo, come a Hong Kong o San Francisco, si possono fare esperienze di cucina italiana superiori ad alcune città del nostro Paese. No, non esageriamo. È una questione di sensibilità gastronomica del posto, ma anche d’investimenti che attirano professionalità e talenti. Si è innescato un processo competitivo, s’importano materie prime sempre più di nicchia, cambia il rapporto con il territorio circostante. “La buona ristorazione italiana all'estero è cresciuta in maniera sproporzionata, la qualità degli chef e degli ingredienti che si usano è molto più alta di quello che si possa pensare in Italia. Qui in California le piccole aziende agricole locali che producono frutta e verdura negli ultimi anni sono più presenti e lavorano molto vicino agli chef, dandoci una mano a crescere la verdura che in California non si trova. Ad esempio io mi faccio piantare le cucuzze siciliane, le melanzane violetta, erbe mediterranee”, racconta Accursio Lotà, del Solare Restaurant a San Diego, fresco vincitore del Barilla Pasta World Championship. Una proposta di sapori di casa sempre più mirata e contemporanea, in linea con una clientela super esigente, che viaggia, che conosce i prezzi dei nostri prodotti e dei nostri vini.
L’arte dell’impasto
Di pari passo, il mondo sta scoprendo la complessità dell’arte italiana della pizza. Si moltiplicano forni costruiti secondo il dettame partenopeo anche in Australia, farine e relativi blend scelti con cura maniacale, impasti alternativi. Aprono pizzerie gourmet, pinzerie, la pizza napoletana non ha mai vissuto un periodo d’oro come quello attuale. Impasto soffice e arioso e grandi carte dei vini: la pizzeria sta diventando il luogo dove bere assai bene, con proposte mai viste nei locali cugini italiani. Come quella messa a punto dal sommelier tedesco Sebastian Georgi con il suo progetto 485Grad. Nel 2015 ha aperto il primo locale nel vivace quartiere latino di Colonia, a fine 2015 ha raddoppiato nella zona sud sempre a Colonia. Successo clamoroso, nel 2016 ha aperto anche a Dusseldorf, e da qualche mese sono due le insegne in città. Impasto ben eseguito, cornicione importante, impasto ad alto tasso d’idratazione, ingredienti selezionati e una selezione di Riesling, Champagne ed etichette italiane di culto da perdere la testa. Il tutto a prezzi intelligenti. La pizza diventa un pretesto per bere bene.
Ci spostiamo a Parigi con il caso di Gennaro Nasti. Nel 2015 apre la pizzeria napoletana Popine. Dodici mesi più tardi capisce che Parigi è la piazza giusta per osare e rilancia con l’apertura di Bijou, nostro premio per la pizzeria dell’anno: “Dopo il successo di Popine, hanno aperto più di 10 pizzerie in città: una al mese. Avevo bisogno di evidenziare e marcare il territorio, fare qualcosa che amavo. Ho creato 6 tipi d’impasti. Ogni impasto si porta dietro un vino e un ingrediente. Cucino sulla pizza, voglio far capire che la pizza è cultura. Ho trenta posti e una brigata da ristorante gastronomico, con tanto di sommelier. Devo dare dignità al prodotto, i miei clienti devono venire qui per vivere un’esperienza”, commenta Gennaro. Importa praticamente tutto dall’Italia: “persino il basilico”. La carta mette in fila 150 etichette di vino importanti. Non c’è nemmeno scritto pizzeria nell’insegna di Gennaro, ma in poco più di un anno è già diventato il locale di riferimento in città nel suo genere. E se ci spostiamo sul fronte della pizza romana, troviamo una serie clamorosa di aperture, sull’esempio della celebre Montesacro a San Francisco, dove Gianluca Legrottaglie ha creato un’enoteca/pinzeria deliziosa. Per dire, anche a Mosca ne hanno aperte tre nel giro di pochi mesi, sulla scia del successo della pinzeria dello chef bresciano Valentino Bontempi. Pizza & vino è il connubio vincente anche di Luigia, cinque le pizzerie in Svizzera. “E prestissimo apriremo a Dubai perché il mercato è finalmente pronto per apprezzare la nostra pizza napoletana”, annuncia il proprietario Enrico Coppola.
Dubai, nuova Mecca del food
Nel 2018 Dubai è pronta ad accogliere anche il nuovo ristorante di Bottura, mentre in autunno arriverà anche la cucina firmata da Niko Romito che dopo l’apertura al Bulgari Hotel di Pechino sbarcherà nel Golfo. Eppure, sembrano faticare tremendamente i ristoranti fine dining aperti dai nostri chef all’estero, spesso durano meno dei nostri governi. Siamo stati di recente due volte a Dubai e anche qui la cucina italiana sembra inchiodata alla sua tradizione. Quando varcano la soglia di un locale italiano, i clienti vogliono prodotti che evocano il nostro territorio, vogliono viaggiare, vogliono essere più rassicurati che sorpresi. È un tema comune trasversale alle grandi città: “non ci definiamo ‘ristorante italiano” ci spiegano da Rigo’, che premiamo come nuovo miglior opening “perché qui a Londra se sei italiano o cucini la tradizione oppure sei un pizzaiolo. Non è concepibile che tu faccia cucina di ricerca, d’autore e gastronomica. Per farla abbiamo dovuto per certi versi camuffare la nostra italianità che comunque è ben immaginabile per chi è del campo e riesce a intravedere il nostro dna”. Anche Pinchiorri – tornando a parlare di Dubai – ha dovuto radicalmente cambiare offerta in città. “Tanti ristoranti italiani vengono portati a Dubai senza calarsi nel tessuto di questa città, senza integrare quest’anima fatta di 200 nazionalità. Bisogna avere un’identità forte e spiegarla al cliente. Anche qui vogliono ora una cucina di prodotto. La sfida è gestire i costi di gestione, e un personale che va e viene, mantenendo la costanza”, commenta Pietro Piero Giglio, manager del nuovo Borro Tuscan Bistro. Il piatto più richiesto qui negli Emirati? Che domande, Pici all’aglione.
a cura di Lorenzo Ruggeri
Se volete saperne di più della cucina italiana nel mondo, dalle scelte – tutte tricolori - del sindaco di New York Bill De Blasio e famiglia, ai piatti che non possono mancare in un ristorante italiano all'estero secondo Niko Romito, fino ai 5 indirizzi imperdibili per mangiare italiano in oriente, leggete il servizio completo sul Gambero Rosso di novembre: ci sono mappe, ulteriori interviste e tante illustrazioni di Marcello Crescenzi. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store. Abbonamento qui