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Così, da un giorno all'altro Guido Oliva (a sinistra nella foto di apertura, su una spiaggia sudafricana) - protagonista anche dei "Fantastici Cinque" su La7: fonte dei risparmi per poter fare la scelta definitiva (a destra nella foto sotto, insieme a Miss Italia 2005) - ha lasciato l'Italia, il suo lavoro da architetto e interior designer ed è entrato in cucina. Alle spalle un corso al Cordon Bleu seguito tanti anni fa quando era al vecchio George's di Roma, e la passione per il buon cibo che lo accompagna da sempre.
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L'impatto col Sudafrica non è stato semplice. È un paese in trasformazione, con grandi contrasti: «C'è molta violenza e c'è ancora razzismo, anche se non dichiarato. È una società strana, violenta, in cui molti escono con la pistola in tasca, c'è una sicurezza armata. C'è l'arroganza dei nuovi ricchi, e una middle class nera che sta crescendo con tanta voglia di fare bene». E ci sono ancora tanti problemi da risolvere, per esempio nei trasporti: molti per andare a lavorare fanno chilometri e chilometri a piedi.
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La maggiore difficoltà nell'aprire un ristorante italiano? La diffusione della cucina italiana banalizzata… versione Little Italy, insomma: che nulla ha in comune con quella originale. «Arrivati qui abbiamo avuto la prima sorpresa - racconta Guido - anche chi lavorava nei ristoranti da una vita non aveva idea di cosa fosse la cucina, italiana e non. Nessuno aveva spiegato nulla a questi cuochi, solo impartito comandi. Quindi siamo dovuti partire da capo a insegnare le basi: mostrando, facendo assaggiare, educando al gusto».
Con i clienti è stato lo stesso: si aspettavano fettuccine all'Alfredo, macaroni cheese, pasta stracotta. «Non abbiamo voluto adeguarci, e i clienti dopo poco ci hanno seguito. Facciamo cucina italiana, ma non solo: è il mio modo di cucinare. Tanta tradizione e tanti esperimenti, ispirazioni nate nei viaggi, o nei sei anni trascorsi in Olanda, come la zuppa di piselli con lo stinco di maiale. Ma realizzata con mano italiana».
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Il segreto per non dover cedere, ci dice Guido, è avere un'idea forte: «Qui si fa la cucina delle nonne, senza scorciatoie, tradizione e non solo. Bisogna essere decisi. Ricordo le perplessità davanti alla coda alla vaccinara, la diffidenza iniziale e poi... wow! Questo ci ha dato sicurezza. Oggi le nostre scelte sono molto più ferme, e le cose funzionano meglio». Un segreto non segreto, in fondo: avere fiducia nelle proprie idee. Forse anche con la complicità di un paese giovane, dove c'è più voglia di conoscere e maggiore possibilità di incidere nelle cattive abitudini.
Aprire un ristorante all'estero comporta molte scelte decisioni. A partire dalla materia prima: italiana o locale? Ormai si possono avere consegne quasi quotidiane dall'Italia, ma questo ha un costo in termini di impatto ambientale (e non solo). La scelta si fa personale. Al Die Ou Pastorie si punta, fin dove è possibile, sul chilometro zero. La verdura è del loro orto: micro greens, spinaci, pomodori. Ma formaggi, funghi porcini, pasta e altri prodotti sono italiani. Confetture, gelatine, biscotti e patè sono fatti in casa, e ormai venduti anche fuori dal ristorante.
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Il Ristorante
Die Ou Pastorie è un country restaurant, e come un'abitazione di campagna c'è sempre ad accoglierti una pentola sul fuoco: cucina solida, accogliente, che fa sentire a casa. Qui ci sono i mobili e i libri della casa di Roma, e l'atmosfera è familiare: l'accoglienza, il menu che cambia ogni giorno, pur con l'appuntamento settimanale col ragù napoletano del mercoledì, il pranzo da bistrot, il ricco buffet per il brunch della domenica e la cena più intima. In tavola pollo alla cacciatora, coniglio, carni ripiene, trippa alla romana, gnocchi di borragine, parmigiana, lasagna, tanta verdura. Pasta, si ma non solo; pesce no, che non si riesce ad avere buono.
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Antonella De Santis
29 agosto 2012