“Oggi è più difficile riconoscere una buona gelateria”dice Simone Bonini. E si riferisce al fatto che ormai sono molti a curare marketing e design dei locali, anche chi non fa qualità. “Neanche le carapine, un tempo un elemento distintivo, sono più sintomo di un certo modo di lavorare” dice, in accordo con Alberto Marchetti. Un bel locale attrae ma, aggiunge Bonini, “non bisogna lasciarsi confondere dall'immagine, neanche quella sbandierata, ma talvolta solo scimmiottata, del prodotto bio e selezionato”. Sono etichette che, come nel caso di artigianale, non assicurano granché. “Basta trasformare i prodotti industriali dentro la gelateria per poterli definire artigianali” spiega Marchetti “Tante cose sono tenute nascoste, invece sarebbe bello che uscisse un'etica dei gelatieri. Il futuro della gelateria è il riconoscimento di chi è artigiano vero e chi no”. L'esigenza di un disciplinare è sempre più pressante ma, anche se qualcosa in tal senso si sta facendo siamo ancora lontani da un accordo, perché le voci sono tante. E a queste tante voci abbiamo voluto chiedere come si riconosce un buon gelato. Sono quelle di grandi gelatieri: Alberto Marchetti, Simone Bonini, Marco Radicioni, Claudio Torcé, Corrado Assenza. Di ognuno troverete i riferimenti a fondo pagina.
La lista degli ingredienti
Partiamo da un suggerimento sempre valido: “informatevi, le notizie su internet si trovano, cercatele” dice Bonini. Leggere gli ingredienti è una buona abitudine. Ma anche guardare se la lista, che deve segnalare anche gli allergeni, è esposta e dove, perché la legge prevede che sia ben visibile. “Se non è così, la gelateria non è a norma (e se non lo è su quello chissà su cos'altro): o c'è qualcosa da nascondere o chi ci lavora è un dilettante” stigmatizza Claudio Torcé. “Cercate le E seguite da un numero: più ce ne sono, più velocemente andate via” continua, sostenuto anche da Corrado Assenza. “Stesso discorso per gli anti-qualcosa”. L'elenco è lungo: antiossidanti, emulsionanti, stabilizzanti, coloranti. Attenzione anche agli ingredienti: se sono più di 20 c'è qualcosa che non va: “non siamo tecnologi alimentari” chiude Marchetti. Ma bisogna anche saper leggere: “per esempio se uno vede inulina magari pensa a qualche cosa di chimico”, dice Bonini, “ma si tratta di una fibra vegetale che serve per addensare” e aggiunge: “si è fattapoca informazione per tanti anni, ora sono poche le persone preparate”.
Quali ingredienti?
A proposito di inulina: sì o no? “A cosa ti serve l'inulina se sei un artigiano? Ad avere superprestazioni, un po' come il doping” sintetizza Assenza. “Così per l'acido citrico, che è contenuto naturalmente nel limone, ma un conto è il succo naturale, un conto l'acido in cristalli. Sono comunque dei transiti comodi, e industriali, che permettono di guadagnare di più”. Simile la posizione di Torcé: “Si tratta sempre di un elemento estratto e raffinato”. E aggiunge: “io sono per le farine. Quella di carrube e quella di guar, i cui semi hanno un potere gelificante. Tutto il resto è di derivazione industriale, come la carragenina. Magari non è nocivo, ma chi li usa, in genere, non è un professionista”.
Riguardo alla frutta secca, invece? Usare nocciole o pistacchi interi significa rischiare che, per pochi pezzi in cui l'olio è “andato”, si possa rovinare tutto. Questo è uno dei motivi, insieme a questioni di spazio e di strumenti, per cui si parte da paste di frutta. “La questione non è tanto prepararle da soli, in pochi lo fanno” dice Bonini “ma selezionare fornitori seri, che facciano un prodotto puro e di qualità. E la differenza in termini di prezzo è anche di centinaia di euro al chilo”. Qualcuno parte dal frutto, come CorradoAssenza,che per ora si affida alla pasta solo per le nocciole per via dei macchinari necessari, “ma sto cercando di risolvere anche per quelle e fare tutto da me”. Come ovviare ai rischi di qualche esemplare in cui gli oli si siano irranciditi? “Selezionando un bravo fornitore: ho da 20 anni lo stesso, che mi dà garanzia di costanza e serietà. È un sistema di lavoro basato su un'etica professionale che mi rassicura”. Discorso simile per Claudio Torcé,che parte dal prodotto integro, anche se“ci sono paste di altissima qualità in commercio. Non sono contrario a priori a certi prodotti, ma solo ad alcuni”.
La filiera
Il pistacchio di Bronte? Fa sicuramente scena. “Ma per leggere bene un cartello degli ingredienti si deve vedere quanto è tracciabile la filiera” dice Alberto Marchetti. “Da dove arriva il latte, per esempio, ma anche, nel caso di un gelato al tiramisù, che mascarpone, savoiardi e cacao sono impiegati. Quando si usano preparati non c'è questa possibilità. Insomma: verificate il più possibile che il gelato sia fatto nel punto vendita con materie prime riconoscibili e tracciabili”. Non solo: se una gelateria è artigianale, avrà delle sue ricette, e potrà spiegarle. “Uso il 2% di latte in polvere per dare struttura e un poco di latte condensato come da tradizione torinese. Ho trovato una piccola azienda di Perugia che fa al caso mio”. A volte non si va sul piccolo produttore, per esempio per la cioccolata usa Gobino. “Ben vengano le industrie se lavorano bene. Ma devono dare ingredienti, non prodotti finiti. La filiera è l'unico modo per garantire il gelato”. Si deve poter spiegare i prodotti, assumersi la responsabilità delle proprie scelte e anche istruire i dipendenti.
Partire dalle basi
Discorso un po' diverso per le basi, che si potrebbero definire il punto di partenza per preparare il gelato. Qualcuno le fa da solo come Simone Bonini, altri le acquistano già pronte. “La mia base è il latte” dice Assenza “poi aggiungo il resto: uova, zucchero e gli altri ingredienti”. Le basi, soprattutto se acquistate, fanno parte di una filiera industriale che prevede produzione, stoccaggio e infine trasporto verso le varie sedi periferiche. “L'artigiano vero parte dal fresco. Diversamente si inficia il discorso dell'artigianalità, che diventa il terminale della filiera industriale. E il mercato risulta inquinato perché non c'è più differenza tra chi è artigiano vero e chi no, e non c'è corrispondenza commerciale”.
Altro discorso se le basi vengono fatte in proprio: è un modo per avvantaggiarsi con il lavoro che scelgono in molti, incluso Marchetti fino a poco tempo fa, oggi tornato a produrre in ogni punto vendita, anche per una questione di spese: “i ragazzi avevano voglia di imparare, e ho preferito investire su di loro che sulla produzione centralizzata e il trasporto. Non assicuro un prodotto identico in ogni sede, anche perché magari ci sono materie prime locali. Questa è artigianalità”. Insomma, le basi non sono necessariamente una cosa nociva, molto dipende da come sono fatte, e se realizzate in proprio, perché se acquistate non c'è modo di sapere esattamente cosa contengono. Un prodotto industriale sarà più facilmente ricco di additivi, e appiattito nel gusto, “è una scorciatoia” dice Torcé “così chiunque può fare il gelato, anche chi non è capace”. C'è un altro aspetto: “Per me il punto di partenza è la ricerca” afferma Marco Radicioni “fare le basi significa impoverire la propria intelligenza, usare la stessa ricetta senza modularla. Inseguo il gelato ideale, il divertimento è proprio questo: mettere il cervello in movimento, non fermarsi mai. I gelati non saranno mai uguali, bisogna avere il coraggio di spiegarlo ai clienti”.
Guardare il gelato
Lo dicono tutti: guardate il gelato. Il gusto fragola fatto con le polveri ha un colore innaturale, suggerisce Bonini. Cui fa eco Torcé: “si vede quando una cosa è naturale e quando non lo è, e anche quando è fresco oppure è molto che sta sul banco”. Guardate anche il bancone, il negozio e chi ci lavora. Tornando ai gelati, colori troppo accesi e falsi rivelano additivi, mentre un aspetto troppo lucente, troppo opaco o secco dà altre indicazioni:“il più delle volte una lucentezza molto evidente è un affioramento della parte grassa, o un eccesso di alcune sostanze per cui si forma una pellicola proteica o, ancora, una struttura data dagli additivi. Troppo opaco o secco è indice di una struttura non sufficientemente cremosa, di un gelato povero con tanta acqua e poco del resto”. Attenzione a non farsi trarre in inganno: “c'è chi ogni sera scioglie il gelato e lo rimanteca per avere le vaschette sempre in ordine”. Lucentezza e opacità dicono molto, ma anche eccesso di cremosità o sofficità che riguarda la quantità (e qualità) dei grassi e di aria presenti, quest'ultima molto alta nei gelati industriali, che infatti si vendono a litro e non a peso: “ecco perché costa poco: perché stai comprando poco” dice perentorio Corrado Assenza. Inoltre quando c'è troppa aria il gelato si scioglie più in fretta. Non c'è un tempo preciso, dicono: né troppo, né troppo poco. Concordano anche sul volume delle vaschette: “Niente di naturale riesce a stare molto alto” dice Torcé “quelle montagnole di gelato che stanno sopra la linea del freddo sono piene di grassi, mono e digiceridi, additivi, emulsionanti di derivazione chimica che riescono a tenere in emulsione il grasso in acqua. Tutte cose che danno volume e struttura”. Il laboratorio ben visibile significa trasparenza, e dà anche indicazioni sulle scelte produttive, soprattutto nelle attività con più sedi, un argomento di cui abbiamo parlato a lungo, anche a Gourmet Forum. “Non so dire quale sia la soglia critica di indirizzi oltre la quale non s riesce a controllare la qualità del prodotto” dice Alberto Marchetti. E la recente marcia indietro di Claudio Torcè, che ha ridotto i punti vendita, ne è la prova.
Quanti e quali gusti?
Da sempre sostenitore di pochi gusti per volta, Bonini suggerisce di testare una gelateria con la frutta di stagione: le creme sono più falsificabili o ruffiane “ma una pessima fragola rimane una pessima fragola”. E i frutti esotici? “Sono difficili da gestire per un negozio, non si può pensare che ci siano ogni giorno” aggiunge CorradoAssenza:“basta andare una volta ai tropici per capire che quelli che arrivano in Italia sono cadaveri”. Frutta di stagione anche per MarcoRadicioni:“La natura ci dà una scaletta ben precisa, non ha alcun senso stravolgerla. La fragola surgelata è già un compromesso che non giustifico, anche perché potrebbe essere il primo di tanti”. Fare alta gelateria che faccia suo il principio della stagionalità dell'alta gastronomia, suggerisce Assenza.“Magari riuscissi a trovare un sistema per stabilizzare anche la fragola, come facciamo per pesche e altri frutti presi al punto migliore di maturazione. Li lavoriamo facendone una pasta o pezzi per prolungarne la vita di qualche giorno. Non la congeliamo, non avrebbe senso e avrebbe anche troppo dispendio energetico”. Di altro parere ClaudioTorcéche solleva anche il problema di un pubblico a volte impigrito sulle (cattive) abitudini e che chiede ancora il gusto Puffo.
Diffidate dei troppi topping, dice Bonini,“confondono le idee” e andate sul semplice “Meglio un gelato alla ricotta e uno alle noci, che ricotta e noci”, insomma gusti netti “meno cose ci sono meglio è”. Assenza si chiede come faccia un artigiano a gestire tanti gusti. La risposta, la dà Radicioni: “per fare 60 gusti, in estate, inizio alle 3 di mattina. In inverno sono molti meno: più vendo e più produco, non il contrario”. Anche perché il gelato in frigo non sta più di 2 giorni, poco di più per i salati e gli alcolici.
L'assaggio
Non sempre basta gustare un gelato per capire se è buono, per una questione di gusti personali e di sapori molto dolci e ruffiani, che comunque seducono: “un po' come certe creme spalmabili: magari ti piacciono, ma se guardi l'etichetta scegli altro” suggerisce Marchetti.Insomma i gusti sono soggettivi, e anche la percezione e la sensibilità al dolce e al grasso,e proprio la grassezza è un elemento che può confondere: “quel che in genere è percepito come pannoso è dato da grassi raffinati idrogenati, non da panna”. Esistono però dei parametri oggettivi nell'assaggio di un gelato che si potrebbero codificare, dice Radicioni, e chissà che non si faccia prima o poi, “un percorso ben preciso che non rientra solo nel mi piace e non mi piace: volume, temperatura, texture, persistenza del sapore, sensazioni al palato di grasso o asciutto”. A questo si aggiunge un dato completamente soggettivo: l'emozione. Che è data anche dagli aromi delle materie prime che si percepiscono durante le lavorazioni in laboratorio: “il ricordo che avevo da bambino era quello che volevo far provare ai miei clienti, anche per questo sono tornato ai laboratori in sede” dice Marchetti.
I cristalli
Uno dei difetti che è più facile percepire sono i cristalli di ghiaccio. Un elemento preoccupante? Sì e no. Perché a volte è un banale incidente di percorso “basta non aver asciugato perfettamente il porzionatore” ricordano Radicioni e Marchetti, o può segnalare qualche problema (a volte anche minimo) nel processo di conservazione, soprattutto nei sorbetti, come dice Bonini. Lo stesso Bonini ricorda che potrebbe individuare un gelato vecchio, o tenuto troppo fuori dal frigo che ha rilasciato un po' di acqua. Radicioni segnala un posibile problema nella gestione delle temperature, magari dovuto al macchinario, "nel caso di shock termici importanti in cui la miscela pastorizzata va immediatamente nel mantecatore con un repentino passaggio da 80/85 gradi a -20", non è un caso che ha deciso di separare queste fasi per far abbassare la temperatura della miscela prima di metterla nella cattabriga, il mantecatore. Senza scordare chi lo rimanteca ogni giorno. “In ogni caso” ribadisce Claudio Torcé “o è un gelato mal fatto o mal conservato”.
L'arte del gelato è un tema che apre ancora moltissime questioni, e che stiamo tentando di dirimere. Senza contare che un artigiano potrebbe fare le cose per bene, ma non essere bravo lo stesso.
Il decalogo:
1 – Ordine e pulizia della gelateria e di chi ci lavora sono elementi fondamentali, ma non sufficienti per individuare un prodotto di qualità. Tanto meno il design del locale e le dichiarazioni di genuinità, artigianalità, e bio. Non lasciatevi fregare.
2 - Il laboratorio ben visibile significa trasparenza, e dà anche indicazioni sulle scelte produttive e le materie prime.
3 – La lista degli ingredienti deve essere ben visibile e indicare gli allergeni. È meglio se ci sono pochi ingredienti, pochissime sigle ed elementi chimici, e se si può tracciare tutta – o quasi - la filiera.
4 – Diffidate di colori innaturali e gelati che sporgono tanto dalle vaschette: denunciano additivi e grassi.
5 – Troppo lucido e troppo opaco sono due estremi che rivelano presenza di additivi, affioramento (o eccesso) di parte grassa, o al contrario eccesso di acqua a scapito di altro.
6 - Scegliete la frutta, meglio se di stagione e senza topping, soprattutto per testare la gelateria. E cercate di fare più test.
7 – Le basi non sono necessariamente nocive o cattive, sono sempre una scorciatoia. Dipende chi le fa e come, se sono industriali, artigianali, prodotte dallo stesso gelatiere. Stessa cosa per la pasta di pistacchi, nocciole e altra frutta secca. Ma il resto delle materie prime devono essere fresche e di grande qualità, a partire dal latte. Informatevi sulle scelte produttive
8 – All'assaggio considerate volume, temperatura, texture, persistenza del sapore, sensazioni al palato di grasso o asciutto. E fate attenzione alla sensazione che rimane dopo aver mangiato il gelato, deve essere piacevole.
9 – Se si percepiscono dei cristalli è un gelato mal fatto o mal conservato.
10 – Il gelato dovrebbe regalare un'emozione, come tutti i cibi. Se così non è, fatevi delle domande.
a cura di Antonella De Santis
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