Il sistema agricolo di Ibla. La storia, il presente
Nella vallata che circonda Ibla, la vegetazione rigogliosa che veste i terrazzamenti scavati dall’uomo regala una prospettiva inaspettata sulla città. Da sotto in su, come nel più felice dei virtuosismi pittorici. A fondo valle il fiume Irminio – in tempi di secca poco più che un ruscello – traccia il percorso di un polmone lussureggiante proprio ai piedi del centro abitato, ancora raggiungibile tramite il sistema di scale ricavate nel tufo, tra grotte che un tempo erano case, edifici in pietra risistemati e quel che resta di una serie di mulini oggi in disuso. Solo uno la provincia l’ha restaurato qualche anno fa, a scopo didattico, “ora lo vendono per 50mila euro, sarebbe bello acquistarlo per chiudere il cerchio”. Carmelo Cilia è socio in affari di Ciccio Sultano da un paio d’anni, quando insieme a Paolo Moltisanti ha deciso di mettere in piedi un’attività agricola: 10mila euro in tre per tornare a coltivare un terreno abbandonato, “a passi da formica”.
“Quando siamo arrivati non c’era nulla, abbiamo cominciato ripristinando i muretti a secco. Ora, dopo due anni, dalla stretta di mano di tre persone, sta nascendo qualcosa di importante”. Così lo chef del Duomo ripercorre il progetto Aia Gaia, immaginando quel che sarà, all’insegna di una concretezza che se è necessaria nella gestione del ristorante è tanto più richiesta quando si vogliono affondare le mani in campagna. Il segreto è credere nel territorio, quello che in molti, negli ultimi anni, hanno abbandonato perché fare fatica non va più di moda: “Mio nonno me lo diceva sempre” ricorda Carmelo, “Li vedi questi terrazzi? Un giorno tornerete a coltivarli. Io ero perplesso e invece sta succedendo. Loro avevano una lettura diversa, venivano dalla guerra. Con 6 mucche sfamava una famiglia di 4 figli. Non stiamo inventando nulla”.
Tornare in campagna
Oggi c’è chi ricomincia a muoversi in direzione della terra, e riscopre le produzioni locali, “sto convincendo un ragazzo di Modica a riprendere una produzione di formaggi fatta con criterio. Ma è difficile, molti ci chiedono di prendere in gestione anche il loro terreno perché il territorio torni a vivere”. Eppure il microclima che caratterizza la vallata – in una provincia che ogni 20 chilometri offre panorami e terreni sempre diversi, dalla mineralità vulcanica alla terra rossa – è particolarmente favorevole alla coltivazione. La corrente che sale dal ruscello rinfresca l’aria del tramonto, in estate mitiga gli effetti del caldo torrido. Per questo la vegetazione non manca, e riappropriarsene, riscoprendo i ritmi della natura, è una possibilità da non trascurare: “La mattina presto Ciccio scende; lo trovo seduto vicino al ruscello, che fuma il sigaro. Poi raccoglie qualche erbetta per il ristorante e torna su, per cominciare a lavorare”. Sultano del resto non lo nasconde: nel suo futuro, tra qualche anno, c’è la campagna. E l’Aia Gaia è il percorso d’avvicinamento al compimento di questo istinto che si fa strada da un po’. Prima ancora, però, rappresentala chiave di volta di un sistema di autoapprovvigionamento che fonda la sua unicità sul controllo di ogni fase della produzione, in armonia con i cicli naturali, “senza fretta”. Il tempo è una variabile fondamentale se lavori in campagna: chi tutte le mattine è nei campi alle 7, e a casa ci torna solo quando fa buio, lo sa bene.
Aia Gaia. Piano, ma bene
Giovanni, rumeno adottato dalla Sicilia diversi anni fa, è un altro dei protagonisti di questa storia, tra gli orti e le galline dell’Aia Gaia spende gran parte della sua giornata, anche se il suo mestiere sarebbe quello di costruire forni. La campagna però la ama, gli ricorda l’infanzia in famiglia, e di sporcarsi le mani non ha paura. Con Carmelo – una laurea in agraria, un passato al centro di ricerca del Corfilac di Catania, e poi folgorato dai formaggi, di cui è capace affinatore - porta avanti l’attività, anche Ciccio dà una mano, Paolo invece è l’uomo dei numeri, tiene il registro dei conti. In barba alla gestione poco più che familiare, però, Aia Gaia comincia a macinare successi: il core business è l’allevamento di galline ovaiole e polli – c'è anche qualche faraona - che razzolano a terra felici. Lo spazio non manca, ogni dettaglio è studiato per fare bene, e il nome dell’attività sembra particolarmente azzeccato: Gaia come la madre terra, ma pure per sottolineare che qui la felicità è di casa.
Le galline felici
E allora capita di scoprire che le galline amano fare le sabbiature, rotolandosi nella terra per scacciare i parassiti; e che sono ghiotte di crusca (in arrivo dal molino di Filippo Drago, solo ingredienti di prima qualità!) impastata col latte, un po' come la nostra colazione a base di cereali: “Il valore nutrizionale aumenta, ne beneficiano anche le uova”. L’immagine degli allevamenti industriali è un ricordo lontano, ma la legge, superate le 250 galline, etichetta comunque la produzione come intensiva: “Le nostre galline sono allevate a terra, le casette dispongono di due terreni utilizzati a rotazione. Brucano erbe, malva, piante spontanee e legumi che maciniamo personalmente. Razzolando smuovono il terreno, concimandolo e ossigenandolo. Le loro uova sono meno porose, più piccole, vengono raccolte tre volte al giorno, arrivano sul mercato extrafresche (da 1 a 6 giorni dalla deposizione). In tutto arriviamo a 200-250 pezzi al giorno, ma la richiesta è altissima, vendiamo su prenotazione”. Ci sono i ristoranti da rifornire, Duomo in testa, qualcosa arriva ai Banchi e nella bottega che Carmelo dirige con sua moglie e Paolo a Ragusa, Food Custodi dei sensi. Presto sarà disponibile un piccolo centro di confezionamento in azienda, necessario per ottenere la certificazione CE. Tutto procede a piccoli passi, per non forzare i tempi, danneggiando l’equilibrio dell’ecosistema: “Difficile farlo capire a chi è abituato alla cultura del supermercato. Di polli ne abbiamo 150-160 per ciclo. Collaboriamo con una struttura che li alleva da piccoli, utilizzando mangimi naturali: prendiamo i pulcini a 60-70 giorni d’età. Qui stanno altri 5 mesi all’aperto. Un pollo d’allevamento invece in 45 giorni è pronto. Noi vendiamo 20 polli a settimana in negozio, ma ovvio che non sono sempre disponibili: quando il ciclo finisce non ce n’è!”.
Erbe spontanee e biodiversità. Se lo chef aiuta il contadino
Tanti si improvvisano col biologico, sfruttano l’etichetta, ma non è il caso dell’Aia Gaia, che il territorio vuole valorizzarlo per quello che è: a maggio, per esempio, si raccolgono i fiori di sambuco, che abbondano sugli alberi, punteggiando di bianco il panorama. In cucina, Ciccio, non può farne a meno: “Li immergo in una soluzione di miele e zucchero, sono fondamentali per la nostra pasticceria”. Ma nell’orto dell’Aia Gaia si coltivano anche cipolle giarratane e zucchine, cavolo e lattuga, erbe aromatiche, pomodori, fragoline. Poi ci sono gli alberi da frutto: melograni, nespoli, l’infilata di alberi di noce a delimitare la proprietà verso il fiume. E le erbe che crescono spontanee, tante quelle commestibili, la portulaca, la senape, gli asparagi selvatici.
Coltivare nel rispetto dell’armonia naturale favorisce la biodiversità in ogni momento dell’anno: “L’approccio di Ciccio è fondamentale. Lui porta le esigenze di uno chef, quello che serve alla sua cucina. E viceversa si fa ispirare dal territorio”. Chiara la sua filosofia: “Quando lo chef di un altro Paese usa i licheni, lo fa perché intorno a sé ha quegli ingredienti da glorificare. Se cominciamo a usarli anche noi non abbiamo capito il messaggio: in Italia abbiamo tante risorse sotto i piedi, dobbiamo credere nei nostri prodotti. Non faccio la pasta con bottarga e licheni, o il risotto con il plancton. E non compro la portulaca in idroponica quando mio nonno ce l’ha in campagna. Io voglio stimolare la microeconomia locale, e nel giro di due anni consolidare un entourage di gente che fa circuito.” Il ruolo del motivatore, peraltro, sembra calzargli a pennello “I ragazzi e i collaboratori che per la prima volta si relazionano con noi devono essere rassicurati. La ristorazione non sempre è pronta ad accoglierli: è più facile attingere a realtà consolidate, io preferisco lo scambio, seguo tutto personalmente”. E non solo, perché Sultano è impegnato anche nella selezione e valorizzazione di realtà piccole o piccolissime che lavorano nel rispetto dell'ambiente naturale, culturale, umano.
Le verdure di Raul e Jessica
Il caso di Raul Pace è emblematico: nell'ex palmeto fondato nel 1864 a Pedalino, gestisce con sua moglie Jessica Cartin un'attività completamente autosufficiente. Ci sono gli animali per il fabbisogno della famiglia, il grano – tumminia e margherito – l'aranceto e il campo di meloni. E un ettaro di terreno coltivato in biologico secondo il principio della rotazione. Ciccio si rifornisce da lui, e quando l'ha conosciuto l'ha incoraggiato a riscoprire l'importanza delle erbe spontanee, e coltivazioni meno richieste dal mercato: “Il terreno è diviso in quadranti:una parte è sempre incolta, da lì recuperiamo erbe spontanee commestibili: papavero, ortica, ravanello selvatico, senape bianca, malva, ruta, senape nera, spaccapietre, portulaca. Raccogliamo tutto a mano. Siamo qui giorno e notte 365 giorni l’anno, abbiamo fatto una scelta di vita. Dopo tre anni c’è anche un reddito. Non vendiamo ai grossisti perché il prodotto non rispetta i canoni richiesti, ma dal produttore al consumatore con gruppi di acquisto. Con Sultano c’è uno scambio, ci dà spunto per coltivare cose diverse, il ravanello, la barbabietola, la carota viola e la pastinaca”. Giovani imprenditori crescono.
I formaggi di Giovanni Gulino
Ma il mondo è bello perché è vario, e un circuito di qualità non può fare a meno del peso dell'esperienza. Giovanni Gulino ha 71 anni, fa l'allevatore da tutta la vita. E ogni giorno munge le sue mucche di razza modicana, che riconosce al volo e chiama per nome. Vivono allo stato brado nei campi non lontano dal castello di Donnafugata. In lontananza il mare, nell'aria il profumo balsamico della macchia mediterranea che si mescola all'odore pungente del formaggio. In azienda si producono ricotta e paste filate tipiche del ragusano: la provola, il caciocavallo. Piccole quantità, per la vendita diretta e qualche ristorante di zona. Duomo compreso. Perché il prodotto è tipico?
Dal pascolo alla flora intestinale dell’animale nutrienti e profumi si ritrovano nel latte, che è territoriale e diverso in ogni stagione: “Per 305 giorni la mucca è in lattazione, da luglio a settembre (l’interparto) va in asciutto. Qui tutto avviene in modo naturale, mentre in allevamento intensivo l’estro viene indotto con ormoni: una mucca frisona dura due anni. Da noi una modicana ne vive anche 16. E in salute: mangia l'erba, sceglie quello che le piace”.
Giuseppe Grasso. Alleva.bio
Con Giuseppe Grasso, invece, la collaborazione va avanti da un anno: quando si sono incontrati per la prima volta, due caratteri forti entrambi, si sono studiati per un po': “Abbiamo preso le misure l'un l'altro” ricorda Giuseppe “alla fine mi fa: 'bene, un giorno di questi vengo a trovarti'. L'indomani era qui, per visitare l'allevamento”. Giuseppe si è riavvicinato alla terra 15 anni fa, “da adolescente la odiavo, mi sembrava tutto troppo noioso”. Oggi delle sue mucche – razze diverse e meticci che convivono, per una scelta precisa – sa tutto: quando preferiscono mangiare (“alle 3 di mattina è il momento migliore, l'umidità della notte ammorbidisce l'erba. Poi, dalle 9 le vedi ferme per un paio d'ore a ruminare, in gruppo: si riposano prima di ricominciare”), cosa gli piace - “vanno matte per la trigonella” - come giocano i vitellini, quali sono i caratteri dominanti del gruppo. Come farle partorire, persino come accompagnarle al macello, “perché risentano il meno possibile dello stress”. La carne ne beneficia in qualità, e lui non ha fretta di venderla: “Il periodo della frollatura è importantissimo, come l'opportunità di vendere ogni taglio dell'animale”. Ciccio l'ha capito: “Molti tuoi colleghi mi chiedono solo il filetto, mi diceva Giuseppe. Io invece se ho un fornitore di carne siciliana pulita, con un progetto solido alle spalle, devo pensare al vitello come se fosse un tonno, di cui valorizzo la surra, la parte che una volta ti regalavano, la più pregiata per i giapponesi. Ma la materia prima devi conoscerla e saperla trattare”.Persone come Giuseppe Grasso rendono il compito più facile, custodi di un patrimonio di conoscenze inestimabile. E allora ancora una volta vi rimandiamo alla prossima puntata, per scoprire la storia di un allevamento sostenibile e moderno. Di Alleva.bio e del progetto di vita di Giuseppe.
Aia Gaia | Ragusa | www.cicciosultano.it
Food Custodi dei Sensi | Ragusa | via Lombardia, 76 | tel. 0932 255713 | www.foodragusa.it
Raul e Jessica a Villa Melina | Pedalino (RG) | www.portalgas.it/produttori/44-frutta-e-verdura/121-villa-melina
Alleva.bio | Palazzetto Vizzini (RG) | https://www.facebook.com/alleva.bio/
La prima parte sui progetti di Ciccio Sultano al Duomo
a cura di Livia Montagnoli