Lo troviamo impegnato nel trasloco, Gigi Nastri. Il suo percorso professionale si appresta a segnare una nuova inversione a U, significativa ma assolutamente lucida e prevista.
IL PASSATO
Fu lo chef di Settembrini, a Roma, per anni (“ora mi dispiace” ci dice commentando l’ingresso nel ristorante del Rione Prati del nuovo socio Oscar Farinetti “vedere un progetto originale omologarsi e allontanarsi dall’idea originaria”). Poi la scelta di Parigi, in uno dei neobistrot che ha marcato l’ultimo decennio di bistronomia francese: la Gazzetta. Lo chef ci arriva alla fine del 2013, il rapporto con la proprietà diventa immediatamente solido, stabile, sinergico. La brigata, in gran parte italiana, gira bene, il ristorante in zona Bastiglia è sempre pieno e nessuno ha tutto sommato troppe nostalgie dell’ex chef svedese Petter Nilsson che appariva invece come figura assai ingombrante.
Insomma, Luigi Nastri, in poco tempo, ce l’ha fatta. È riuscito anche lui, come altri chef italiani di talento, a conquistare una fetta di Parigi, una delle capitali gastronomiche del pianeta.
IL PRESENTE
E adesso? “In realtà non c'è moltissimo da dire se non che ho deciso di aprire un mio ristorante: dal 20 febbraio 2015 non sono più chef de La Gazzetta”. Qualcosa da dire in realtà c’è: il nuovo ristorante di Nastri – finalmente chef-proprietario come si usa a Parigi - a dispetto di quanto si poteva prevedere, non sarà nella capitale francese dove lo chef si è radicato e in poco tempo ha trovato la sua dimensione, bensì a Roma. Nastri, insomma, si appresta a tornare nella sua città. Ma perché venire ad impazzire in una città che non sempre premia il talento e la ricerca e che soffre oltremodo di burocrazia, corruzione e inefficienza? “Sicuramente a Parigi è più semplice aprire un'attività, ma l'idea di portare quello che ho imparato a Roma mi diverte molto di più”. Insomma, una sfida.
IL FUTURO
Una sfida però che a differenza di tante sfide è tutt’altro che astratta e romantica. Già tutto è definito. Praticamente manca solo l’indirizzo preciso, ma il resto è fatto. I soci, il nome, la linea di cucina, lo stile, perfino i piatti, l’architettura e il professionista che firmerà il logo. Tutto pronto per partire. “Aprirò entro quest’anno” racconta Nastri “un posto con 25-35 coperti. Un bistrot vero, con un menu molto ristretto all’insegna della materia prima, del mercato, della carne, della semplicità”. Insomma un vero menù stagionale, cuisine du marché a tutto tondo di cristallina derivazione parigina. E ci saranno anche le “formule” ovvero quei menu fissi combinati che permettono al cliente di risparmiare e al ristoratore di ottimizzare sprechi e materie prime.
“Sarà un posto dove cercherò di mettere tutta la mia storia professionale: romano, origini amalfitane, appassionato di Giappone, con una formazione nord europea. E poi Parigi. Un bel casino ma molto stimolante”.
Un po’ abbiamo capito quel che ci sarà in questo nuovo posto. Magari sottolineiamo cosa non ci sarà… “Semplice, non ci saranno le lavagne. Non le concepisco. Sono la forma deteriore del concetto di bistrot: rappresentano l’assenza di idee. Metti due lavagne con i piatti del giorno e hai fatto un bistrot. È riduttivo”. Chiarissimo.
LA GAZZETTA
Ma, tornando a Parigi, alla Gazzetta chi rimane? “Avevamo talmente impostato bene la cosa che resterà la mia brigata a Parigi e seguirà tutto. Lo chef sarà il mio secondo, Valerio Ugliano, così La Gazzetta continuerà ad avere un cuoco italiano”. La brigata resta a Parigi? E a Roma come si fa ad aprire un posto nuovo senza squadra? “La cucina a Roma sarà diversa rispetto alla Gazzetta, dunque tutti nuovi, meglio ri iniziare da capo con gente che non conosco”.
Facciamo ordine. Da una parte si apre a Roma per portare ciò che “si è imparato a Parigi”, dall’altra si fa un progetto tutto nuovo. Ok, ma cosa è che si è imparato? “Innanzitutto ho imparato l’umiltà. Parigi è piena di gente competentissima che non si monta la testa. Poi ho imparato tanto sul lato della carne”. Ma c’è qualche posto a Parigi al quale vuoi ispirarti nel costruire il tuo progetto a Roma? “Il riferimento è sempre Rino di Giovanni Passerini. L’obbiettivo è ricreare quell’atmosfera li”.
LA MATERIA PRIMA
Hai detto anche di aver imparato molto sulla materia prima. A chi ti rivolgerai a Roma? Hai già in mente i fornitori? “Per le verdure ho visto cose belle al Mercato Metronio, a Via Magna Grecia, mentre per quanto riguarda la carne, che avrà un ruolo importante, fermo restando il confronto e i tanti dibattiti che tornerò a fare con Roberto Liberati, credo che non avrò macellai tra i miei fornitori, ma mi orienterò ad avere allevatori. Insomma prenderò animali interi”. Altro insegnamento parigino che verrà portato a Roma.
IL LOCALE, IL NOME E I PIATTI
Lo spazio, fisicamente parlando, è proprio l’unica cosa che manca. A che punto siamo? “Dalla prossima settimana sono a Roma a caccia di posti. Vorrei uno spazio che non sia mai stato ristorante, me lo immagino naturalmente a Prati o nella zona di Piazza Fiume. Appena trovato ci lavoreranno gli architetti romani di +39.6 mentre sulla parte del branding incaricherò Francesco Bellia”. Dunque siamo proprio al dettaglio del dettaglio: ci manca solo che tu sappia già il nome dei piatti e il nome del ristorante… “Infatti già so tutto. Il posto si chiamerà Hygge, un nome nordico che significa qualcosa di caldo e rassicurante. Un posto accogliente quando fuori fa freddo. Qualcosa di familiare, confortevole, caloroso. Nei paesi nordici quando un posto è così si definisce ‘Hygge’. Anche i piatti dovranno essere familiari e confortevoli. Saranno nomi semplici, con poche spiegazioni al tavolo: ‘Manzo carote miele e cipolle'; ‘Ravioli, ‘nduja e creme fraiche’ fino ad arrivare a ‘Agnello e rape’… spero davvero che siano comprensibili a chi li mangerà”. Lo scopriremo, ne siamo certi vista la risolutezza e la lucidità, a fine 2015.
a cura di Massimiliano Tonelli