L'antefatto
Prima di lasciarmi definitivamente alle spalle la vicenda della mia uscita da La Prova del Cuoco e chiudere finalmente questo capitolo, vorrei fare qualche considerazione. Erano passati quattordici anni dalla mia ultima apparizione in trasmissione, finché con una telefonata nel luglio scorso, sono stato contattato da uno degli autori, che mi prospettò l’eventualità di un possibile rientro. Confesso di aver meditato a lungo la possibilità di tornare in una trasmissione che, nel corso del tempo, aveva perso una fetta importante dello share, in un momento così delicato come quello del cambio della sua conduttrice. Dopo varie interlocuzioni con gli autori, riuscimmo però a trovare un accordo su diversi aspetti.
Ci accordammo sulla necessità di individuare un bravo cuoco che mi affiancasse nella preparazione delle ricette, in modo da potermi concentrare sul ruolo di divulgatore. Proposi, e venne accettata, la candidatura di Gabriele Faggionato, un giovane e bravo chef del ristorante Garage Italia di Milano, il locale di Carlo Cracco e Lapo Elkann. Stimo Gabriele, oltre che per la sua creatività e bravura, raggiunte senza perdere la sua naturale modestia, per la conoscenza delle cucine del mondo e dei prodotti esotici.
Credo che sia stata una buona scelta, sarei finalmente stato percepito per quello che sono: un giornalista di World Food e non un cuoco improvvisato.
Gastronomia è cultura
Si rinunciò a ogni forma di spettacolarizzazione della mia presenza in video, a favore dei contenuti culturali. Sottolineo che la mia partecipazione alla trasmissione è stata a titolo gratuito, fatte salve le spese della trasferta, condizione che ho accettato per garantire con la mia presenza una pluralità di contenuti in termini di culture gastronomiche “altre”. Sarebbe qui interessante aprire una riflessione sul fatto che, mentre ai conduttori e VIP siano garantiti cachet importanti e a ogni lavoratore della produzione, dalle imprese di pulizia, fino ai cameraman, un giusto compenso economico, chi porta contenuti tematici, come nel mio caso, non ne abbia diritto, ma questa è un’altra storia...
Cucina etnica e cucine del mondo. Cosa si intende per World Food
Sollevai allora la necessità di evitare di presentare la mia rubrica come uno spazio dedicato alla cucina etnica, ma piuttosto improntato alle cucine del mondo. In Italia, infatti, continua a esserci una gran confusione sul significato di questi termini. Con il termine “cucina etnica” ci si riferisce a quel fenomeno che mette in relazione le migrazioni, con la necessità dei popoli migranti di mantenere le proprie abitudini alimentari, frequentando negozi di prodotti etnici e/o piccole gastronomie-ristorantini dove ritrovare i sapori di casa.
La linea scelta da Chef Kumalè
Pur essendo il massimo esperto in Italia anche in materia di cucina etnica, ho sollecitato gli autori a non caratterizzare in questo modo la mia rubrica per tre motivi.
Primo: viaggiando da ventisette anni nei Cinque Continenti, preferivo aprire una finestra a 360° sulle culture gastronomiche del mondo e non dedicare spazio ad un tema così specifico, poco adatto al target de La Prova del Cuoco.
Secondo: considerando che sarei stato presentato da Elisa Isoardi, volevo evitare qualsiasi possibile imbarazzo, parlando di cucina etnica.
Terzo: essendo Gabriele Faggionato uno chef di alta cucina, mi sembrava riduttivo affidargli l’esecuzione solo di piatti etnici. Nel proseguimento della rubrica, in accordo con gli autori, stavamo infatti mettendo a punto una serie di ricette di cucina creativa, d’ispirazione fusion, ma proposte con gusto e con un pensiero alle spalle.
Suggerii quindi di concepire la rubrica come uno spazio dedicato alle culture gastronomiche del mondo o alle cucine di viaggio, quello che nei paesi anglosassoni è comunemente definito World Food.
L'impostazione de La Prova del Cuoco
Mi sono reso conto che agli autori della trasmissione sfuggivano tali sfumature, nel momento in cui sono stato presentato come “esperto di cucina internazionale”, termine caduto in disuso da anni, e utilizzato oggi con una connotazione negativa, per indicare quei menù di western cuisine o continental cuisine, fatti di piatti globalizzati, d’ispirazione franco-italo-americana (Caesar salad, filet mignon, fettuccine Alfredo) serviti nei ristoranti dei grandi alberghi, con l’obiettivo di garantire ai loro clienti una sorta di comfort food in grado di farli sentire a casa, in ogni angolo del pianeta.
Questa confusione tra la cucina etnica, quella fusion, quella internazionale e il World Food si è percepita chiaramente nell’impostazione della rubrica, che è risultata confusiva per essere vissuta, da una parte del pubblico, come una forma di contrapposizione con la cucina italiana. Nella mia visione globale, invece, la passione per la cucina multiregionale italiana si sposa da sempre con la curiosità verso le cucine del mondo e ne costituisce una naturale estensione. In una società evoluta e multiculturale come la nostra, si possono tranquillamente apprezzare le cucine locali, quelle regionali e la nazionale, fino a quelle dei Paesi più lontani sia dal punto di vista geografico che culturale.
Ben venga quindi la collaborazione con Gambero Rosso, che spero prosegua a lungo, a cominciare dallo speciale sulla Chinatown di Milano ospite del numero del magazine già in edicola, quello del mese di novembre. L’intento è di contribuire così a nutrire l’interesse dei lettori verso le culture gastronomiche “altre” di quel mondo che abbiamo in casa e di quello che possiamo incontrare viaggiando nei Cinque Continenti.
a cura di Chef Kumalè