C’era anche Simone Salvini, lo chef guru della cucina vegana imitato da Crozza all’inaugurazione a Torino di Binaria. Salvini qui terrà dei corsi di cucina e insegnerà un mestiere a chi vive ai margini. Già perché Binaria è un posto speciale. È il “centro commensale-Fabbrica del Gruppo Abele”. No, non è un refuso, è scritto proprio così. Ovvero un posto dove si nutre il corpo (ma anche lo spirito), e una fabbrica intesa sia nel senso di luogo in cui si costruisce insieme, sia in senso letterale, visto che si tratta proprio di una ex fabbrica, la Cimet, indotto Fiat ai tempi d’oro dell’auto. È un progetto del Gruppo Abele di don Luigi Ciotti, che qui ha ampliato la sua sede, la cosiddetta “fabbrica delle e”, con uno spazio che riunisce tutta l’attività del gruppo. Un'attività che accoglie tutti, come la “e” lascia intendere. Contrapposta alla “o” che invece tende a escludere e mettere dei limiti.
Un centro commensale
“Questo vuole essere un posto commensale” ha spiegato don Ciotti “dove si pensa soprattutto - e prima di tutto - alle persone e al bene comune. E abbiamo voluto chiamarlo Binaria perché ha due stelle polari che si illuminano a vicenda: l’accoglienza e la cultura. Un segnale forte, per Torino e per il Paese, contro le diseguaglianze e per la dignità e i diritti delle persone”.
Così Binaria, in una location post-industriale (scelta che si inserisce nel più ampio progetto di riconversione delle fabbriche dismesse, a Torino sempre più spesso trasformate in musei e centri culturali) unisce quattro anime: Binaria Book, la libreria Torre di Abele, luogo di incontro e discussione, Binaria Bimbi, spazio gioco privo di barriere architettoniche per i bambini fino a 12 anni, Binaria Bottega, con i prodotti agroalimentari del marchio Semina e quelli per la cura del corpo Amàla, frutto del lavoro delle comunità del gruppo, oltre a quelli di Libera Terra, nati nelle cooperative sorte sui terreni confiscati alla mafia e di Alce Nero, il marchio di oltre mille agricoltori e apicoltori bio, da anni a fianco di Libera.
Berberé
E poi c'è Binaria Berberè, l’innovativo format di pizzeria creato dai fratelli Salvatore e Matteo Aloe, calabresi di Maida, in provincia di Catanzaro, arrivati a Bologna per studiare e convertiti sulla via della ristorazione. Salvatore, il più “vecchio” dei due (37 anni), e Matteo, lo chef, hanno deciso di rivoluzionare il concetto della pizza. Qualcuno l’ha definita la “terza via della pizza”, perché non è la classica napoletana e nemmeno la gourmet. “È una pizza di qualità, stagionale, buona da mangiare e da digerire” spiegano i fratelli Aloe “frutto di una ricerca continua su farine, fermentazione, metodi di cottura”. Una delle caratteristiche principali è la sostituzione della lievitazione con la maturazione naturale, con pasta madre viva, che dura almeno 24 ore, oltre a un innovativo processo di fermentazione totalmente privo di lievito, basato sull’idrolisi degli amidi. In pratica è come se la pizza fosse “predigerita” e il risultato è una leggerezza inaspettata. Farine macinate a pietra, grano e altri cereali di Alce Nero i prodotti utilizzati per la base, mentre per il topping sono state scelte solo materie prime di eccellenza regionale, dal pomodoro fiaschetto di Torre Guaceto al fiordilatte pugliese, passando per la bufala di Ponteré, i capperi di Salina e via declinando.
Una pizza pop e conviviale
Con questa filosofia della pizza pop di qualità Salvatore e Matteo Aloe hanno aperto il loro primo locale a Castel Maggiore, nell’hinterland di Bologna, nel 2010; nel 2013 in centro città e nel 2014 a Firenze. Li hanno chiamati Berberè, il nome di una miscela etiope di spezie, per dare un’idea di gusto ma anche di mixité. E all’Expo di Milano con Alce Nero hanno dato vita a un punto ristoro di grande successo, segnalato anche dal New York Times. Niente franchising però: tutto è controllato da loro, e sono Matteo Aloe e Massimo Giuliana, chef pizzaiolo, a formare i pizzaioli-executive. “Preferiamo scegliere qualcuno che non abbia mai avuto a che fare con la pizza, per insegnare ex novo il nostro metodo di lavorazione”. A Torino per esempio il capo pizzaiolo è Gazy Khalequzzaman, bengalese, 3 anni di formazione a fianco di Massimo Giuliana.
In menu ci saranno formule degustazione conviviali, da condividere con gli altri commensali (qui anche i tavoli sono sociali, lunghi, con tanti posti per stare insieme), molte proposte veg, e i “cicchetti”, assaggini sfiziosi da gustare mentre si aspetta la pizza. Da bere niente cole, semmai chinotti, ma soprattutto birre artigianali e vini bio di piccoli produttori e dolci semplici e fatti in casa. Un posto aperto al quartiere e alla città, tutto il giorno e tutti i giorni della settimana.
A chi gli chiede come il loro progetto imprenditoriale si inserisca nel progetto del Gruppo Abele, Salvatore Aloe risponde “che nella vita da imprenditori ci vuole fortuna e questo è un grande colpo di fortuna,: la possibilità di prendersi qualche responsabilità”. Per ogni pizza venduta, un euro va ai progetti del Gruppo Abele in Africa e in Messico. Obiettivo finale? “Far diventare questo posto il più figo di Torino”.
Binaria-Berberé | Torino | via Sestriere 34 | tel. 011 0267530 (pizzeria) - 011 537777 (Binaria) www.berberepizza.it- www.gruppoabele.org
a cura di Rosalba Graglia