Per Beth Galton la passione per l’arte nasce dai tempi del college quando, frequentando i corsi universitari, si accosta alle più svariate discipline artistiche, di pari passo con la passione per la fotografia.
Solo in un secondo momento, grazie anche al suo lavoro di fotografa commerciale, Beth si avvicina al mondo degli oggetti di consumo e del cibo, iniziando a ragionare sulla possibile resa estetica di questi prodotti che fotografa quotidianamente, interessata alla possibilità di poter esplorare il cibo non solo come qualcosa buono da mangiare, ma in maniera più profonda e complessa, stringendo dei legami con il mondo dell’arte.
L’esperimento era già partito con la serie Food cut in half, realizzata nel 2013, insieme alla partner Charlotte Omnès: una galleria di scatti che ritraevano, con estrema bravura e una buona dose di ironia, una serie di cibi tagliati in due, presentati al pubblico attraverso le più colorate sezioni della materia di volta in volta analizzata.
In questo ultimo progetto il ragionamento dell’artista e fotografa si spinge ancora oltre, ridefinendo la linea tra il concetto di cibo e quello di arte contemporanea attraverso il lavoro The Series of Texture.
Influenzata delle nature morte di Cezanne di cui ammira la forte tenacia, dall’immaginario semplice e allo stesso tempo complesso di Irving Penn, in questa ultima serie Beth aggiunge una indiscutibile fascinazione per Rothko che si palesa al pubblico attraverso le sfumature e gli inconfondibili blocchi di colore.
In maniera estremamente naturale, allora, dipinti come Orange e yellow o White centervengono riproposti dalla fotografa attraverso un parallelismo culinario in cui fogli e tele coperti da colori brillanti e intensi derivanti dai cibi più diversi impregnano le tele di lino, lasciando in questo modo trasparire la texture del supporto.
Così, accanto a marmellate violacee di cipolla, il rosso intenso è ricavato dalla polpa di pomodoro, l’arancione squillante dal succo di frutti tropicali fino ad arrivare al nero inchiostro di seppie che si discosta dall’immaginario iniziale legato a Mark Rothko per prendere una deriva più gestuale, istintuale che poco dopo si calma nuovamente, prendendo le forme di ghirigori eleganti come fogli di collage di matissiana memoria.
a cura di Valentina Guttuso
Per leggere il primo articolo della nostra indagine del rapporto tra arte e cibo. Paddy Mergui: l'altra faccia del food design clicca qui
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