"Cammino nei castagni tra faggi e cerri. Sotto cieli spaziali traverso le radure. M'intrigano le felci, in rovi inciampo. S'apre di spine e cardi la mia pelle. Lava i pensieri miei la pioggia dura. Li attutisce la neve, la nebbia li rischiaccia. Li strizza il sole, li accende il fuoco li sublima". Avventurarsi in quel di San Vito di Cadore, tra i monumentali paesaggi delle Dolomiti a due passi dalla caotica Cortina, fa risuonare nella testa i versi austeri di Giovanni Lindo Ferretti ai tempi dei CSI.
AGA
Un paesino non facile da raggiungere, San Vito di Cadore, scisso tra una prepotente attività commerciale legata al turismo montanaro, e una flora selvaggia che si insinua tra le abitazioni in legno e pietra dai caratteristici tetti spioventi. In questo habitat, fuori dai classici circuiti gourmet, troviamo l'AGA di Oliver Piras e Alessandra del Favero: una realtà che in poco più di un anno si è già collocata nell'Olimpo dei ristoranti più apprezzati e promettenti dello Stivale. Nel nome si racchiude il senso ultimo del locale: AGA come Acqua, elemento puro e cristallino, che scorre in perpetuo divenire dalle montagne, conservando intatta la sua limpidezza, fonte di vita che muta e si evolve continuamente.
Il locale è ospitato in una piccola ed essenziale sala dell'Hotel Villa Trieste: 4 tavoli in legno e 15 coperti dalla mise en place elegante e minimale all'interno dell'albergo gestito da Teresina Menegus e Lino Del Favero, i genitori di Alessandra. I due giovani cuochi hanno preso in gestione la cucina del ristorante già avviato, più tradizionale, ritagliando un mini-spazio gourmet che sta trovando il suo posto tra le numerose realtà turistiche di San Vito.
Oliver Piras e Alessandra Del Favero
Questa è un'avventura fatta di coraggio e determinazione, qualità da sommare a un percorso professionale di tutto rispetto: per il sardo Oliver Piras esperienze alla corte dei Fratelli Cerea del ristorante di Da Vittorio; dal Maestro francese Robuchon, dal vicino St. Hubertys di Norbert Niederkofer, oltre a due significativi stage al Noma di Copenaghen e al Celler de Can Roca. Alessandra Del Favero, invece, conta un diploma all'ALMA e una solida formazione nel ristorante di famiglia, nonché un trascorso Da Vittorio a Brusaporto, dove ha incrociato il suo percorso con quello di Oliver.
Insieme i due stanno tratteggiando una cucina profondamente connessa al territorio. Una cucina ritmata, audace, di forte personalità, densa di contrasti calibrati al millimetro, che osa senza strafare. Il risultato dimostra una maturità fuori dal comune, nella costruzione dei piatti e negli accostamenti di sapori, anche se non sempre di facile lettura sulla carta. Le reminiscenze nord-europee di Piras, espresse dall'esaltazione di elementi vegetali e dalla presenza marcata di note acide e amare, trovano sempre una chiusura armonica, che evidenzia una mano già solida. Lo testimoniano i riconoscimenti significativi dalle più autorevoli guide di settore, Due Forchette sulla Guida Ristoranti d'Italia Gambero Rosso 2016, Una Stella Michelin appena assegnata, e la conquista del titolo Chef Emergente di Luigi Cremona.
La visita
Abbiamo visitato AGA nel periodo che segna il passaggio tra estate e autunno, quando ancora il sole scalda il Monte Antelao proprio alle spalle del ristorante, creando uno scenario incantevole per la nostra degustazione: un percorso denso di carattere ed estro mai fine a se stesso, tutto tecniche classiche e moderne, gusto e concentrazione dei sapori, pulizia, istinto e grande piacevolezza. Da accompagnare a una interessante selezione di etichette locali, in costante aggiornamento, che consente un wine-pairing stimolante per gli appassionati.
La degustazione
Seduti a tavola, doverosa una menzione per i grissinie lo straordinario filone di panerealizzato con un mix di farine macinate a pietra e lievito naturale, accompagnati da burro di malga montato e olio extra vergine locale, entrambi dallo spessore gustativo impressionante.
La cena prende il via con una batteria di snack che non concede margini di errore e mette subito in luce il talento dei due cuochi, con una successione di sapori, consistenze e contrasti dal ritmo incalzante: la Carota in carpione di carota scandita da acidità e texture penetranti; il suadente Krapfen di animelle, fichi e polvere d'aceto omaggio in veste salata al tipico dolce locale; la Steak tartare veganache nobilita la rapa rossa al pari di una pregevole battuta di carne; e il colpo di classe della Zuppetta di brodo di pollo, macis e tabasco con cruditè di cetriolo e anguria, che trasporta il palato su un assolo materico dalla progressione esplosiva, muovendosi con maestria tra note vegetali, piccanti e umami senza perdere mai un grammo di centralità gustativa.
Audace e graffiante l'assaggio di Rigatoni all'amaro di carciofi con uova di trota e foglie di stevia: un intermezzo che chiama in gioco la masticazione in maniera decisa, presentando una pasta tenuta molto al dente che si fa veicolo di tonalità amaricanti, dolci e fortemente vegetali.
Il Salmerino crudo al verde, condito con 12 tipi di erbe spontanee, viene innaffiato con l’acqua dei pomodori verdi dell'orto di AGA, rilanciando l'anima gustativa del pesce con eleganza stilistica significativa: grazie al dosaggio della componente acida che esalta ogni boccone senza soffocare l'ingrediente principale del piatto.
Impeccabile, per classicità proiettata in veste contemporanea, anche il minimale Crudo di manzo, che si nutre della setosità lipidica della maionese al mais, in contrasto con l'insolita dolcezza contaminata dello scalogno bruciato.
Uno dei piatti del viaggio è sicuramente la Linguina di farro con pil-pil di piedino di maiale, prugne fermentate, senape, miglio fritto e acetosa: un'ouverture di contrappunti calibrati con abilità spiazzante, dove la matrice grassa non sovrasta il palato conservando una mantecatura perfetta e fornendo una base d'appoggio ideale per lo sviluppo aromatico e gustativo degli altri elementi. Ogni singolo boccone sprigiona un potpourri di spunti acidi, piccanti e balsamici, che mutano in continuazione e si riassumo in equilibrio perfetto.
Altro piccolo capolavoro si rivelano i Bottoni di melanzana con dashi di melanzana e sambuco marinato, che proiettano le papille gustative su un prorompente viaggio sensoriale tra San Vito e il Giappone. L'intensità cristallina del brodo di origine orientale trova una sinergia impeccabile con la fibra dell'ortaggio e genera uno scambio vigoroso di tonalità amare e sapide, ingentilite dal tocco dolce e acidulo del sambuco.
Mantiene ben alta l'asticella anche l'eclettico Risotto alla mela acerba, burro di capra e levistico: un piatto che rende omaggio alle prime mele colte dai due giovani chef, particolarmente acide, che si fondono con muscolo e sostanza in una mantecatura conturbante del chicco di riso, rinfrescato dalla nota pungente del latte caprino e dal levistico di stagione.
Si torna su un livello più ordinario con le prime due portate principali, Faraona alla griglia, carota e ginepro e Coppa di maiale con purè del Maestro Robuchon, ciliege sottaceto e alloro: entrambi piatti di altissimo valore tecnico, con cotture millimetriche e dal sapore centrato, ma meno stupefacenti e lievemente più moderate rispetto alla raffica di contrasti e guizzi stilistici riscontrati negli assaggi precedenti.
Decisamente più coerente con la prima parte del pasto il provocatorio Miseria e Nobiltà, composto da filetto e testina di vitello, marmellata di limoni, piselli e consommè di vitello alla liquirizia: un piatto superbo, che ritrova il quid dei contrappunti calibrati a mestiere, rilanciati da un brodo corroborante di grande persistenza, uno dei tanti strepitosi che caratterizzano questa sfavillante cucina.
Chiusura virtuosa, in pieno accordo con il resto della cena: la Bavarese al fieno con spuma di latte e cialda d'orzo: una intuizione geniale, ma leggermente compromessa dall'eccesso di zucchero. Tonificante il dessert Pepe nero, pera e caramello che glorifica le sfumature aromatiche e piccanti della spezia, in un esaltante match gustativo con la dolcezza evoluta della frutta e del caramello dosato con intelligenza.
Il ritemprante Sorbetto alla resina di pino mugo, seguito dal Marshmallow all'albicocca e assenzio della piccola pasticceria, mette la parola fine alla degustazione, riportando nuovamente eleganza e levità: caratteristiche che rimarcano il valore già consolidato di questo ristorante, in grado di regalare grandi soddisfazioni al futuro della cucina contemporanea nazionale.
AGA Ristorante dell'Hotel Villa Trieste | San Vito di Cadore (BL) | via Trieste, 6 | tel. 0436 890134 | http://agaristorante.it/
a cura di Lorenzo Sandano