Qual è il titolo del tuo intervento?
La mia montagna.
Puoi spiegarcelo meglio?
Sono un montanaro atipico, non ho vissuto la montagna e sono stato segnato da prodotti tipicamente montani. Per quello parlo della “mia” montagna. Perché racconto il mio vissuto inerente alla cucina di montagna. È una visione filtrata attraverso la mia esperienza. Ha un significato molto personale e, se vogliamo, ermetico. Per quello anche i piatti che porto c'entrano poco o nulla con un immaginario consueto di questo tipo di cucina. E perciò avrei anche raccontato tutto questo anche senza preparare dei piatti: il gesto del cucinare potrebbe distrarre molto. Mentre mi interessa soprattutto raccontare il mio approccio con la cucina e, nello specifico, con la cucina di montagna.
E quale è?
Il cibo senza un altro significato è solo un riempitivo dello stomaco che dopo 3 o 4 ore finisce dove sappiamo. Voglio dare tridimensionalità e concretezza ai pensieri e alle emozioni del cliente. Voglio che sia chiaro, per chi siete alla mia tavola, che sta mangiando da me e non da un altro cuoco, consegnare attraverso i piatti l'idea di chi li ha preparati. Perché voglio portare in tavola il mio vissuto e la mia esperienza personale. Due cuochi che lavorano lo stesso piatto possono fare due cose molto diverse. Al di là della maggiore o minore bravura, voglio che sia distinguibile il mio modo.
Avresti voluto essere in un'altra sezione del congresso?
Assolutamente no: sulla cucina di montagna ho fatto la mia tesina all'alberghiero.
È un ragionamento che continuerà poi al tuo ristorante, anche dopo il congresso?
Si, nello spirito si, se poi mi parli di piatti non ti so dire. Anche perché non mi sono mai legato ai congressi dicendo “venite da me e mangiate questo piatto”. Possono essere piatti spot che sono in carta in alcuni momenti oppure no. Per esempio il topinambur era in carta fino alla chiusura per ferie, ora che riapriamo, l'11 febbraio, dubito che ci sarà ancora. Così la selvaggina e la polenta. Forse il riso invece si troverà.
Spiegaci meglio quali piatti porterai
Riso rosa al sangue, selvaggina e polenta, topinambur e uovo. Come dicevo sono un montanaro atipico, e i miei piatti c'entrano poco o nulla con lo stereotipo della cucina di montagna, anche selvaggina e polenta che dal nome potrebbe trarre in inganno, è una mia riflessione su un piatto classico. Un piatto che fa suo l'insegnamento di Valter Eynard del Flipot, mio maestro ai tempi dell'alberghiero. Un grande esponente della cucina montana piemontese e, soprattutto della cucina valdese. Che ha alle spalle una tradizione di austerità visto che come minoranza religiosa furono obbligati ai confini della Val Pellice senza poter commerciare con l'Italia né con la Francia. Da qui la tradizione ad adoperare con molta accortezza ogni ingrediente, ridurre e reimpiegare gli scarti, valorizzare ogni materia prima al massimo, in ogni parte, per raggiungere l'autosufficienza alimentare. Per questo nel mio piatto selvaggina e polenta del cervo uso soltanto i tendini. Mentre quel che chiamo polenta sono in realtà dei bottoncini di mais, lo stesso da cui si ricava la farina per la polenta, ma senza glutine perché fatti con il succo del mais stesso.
Dicevi che l'11 riapre la trattoria Zappatori rinnovata. Ma non è questa l'unica novità. Puoi dirci del resto?
Riapriamo con il locale rinnovato soprattutto nella sala. Poi c'è l'avventura dell'Hotel Boscolo con Giuseppe Iannotti a Milano, siamo al secondo mese di attività. Al momento la proposta è quella di una cucina di hotel fatta con influenze nord e sud, si distinguono perfettamente i piatti miei da quelli di Giuseppe. Da qui a dare un nostro volto alla cucina, con un'impronta gourmet, sarà un passaggio molto lungo, si spera che sia pronto per giugno. Per me è un accrescimento: mi è stato insegnato che chi ha avuto grandi maestri non ha mai paura di condividere il proprio sapere. Confrontarsi, aprirsi e assorbire e trasmettere: questo significa lavorare a 4 mani.
Non è finita qui, però.
Sto lavorando a un locale a Torino che aprirà tra maggio e giugno in centro, dietro Piazza Castello. Sarà una cucina torinese 2.0. nel senso che insieme ai piatti piemontesi ce ne saranno altri di impronta nordafricana, a raccontare la storia della città che ha una forte tradizione di immigrazione. Un po' come se in una famiglia ci fosse una mamma marocchina e un padre torinese, o viceversa. Una trentina di posti a sedere e un'apertura dalla mattina alle 10 fino a mezzanotte, non sarà un locale classico, come non è classica la sua proposta. Sarà, semplicemente, un posto in cui mangiare e stare bene, per il pranzo, la cena, ma anche per acquistare gran parte dei prodotti che verranno poi portati in tavola. Sono stato chiamato a seguire questo progetto dall'architetto che negli anni '90 fondò il marchio Hafa Cafè, che allora portava a Torino uno stile etnico chic, e che oggi ne segue l'evoluzione.
Trattoria Zappatori | Pinerolo (TO) | Corso Torino, 34 | tel. 0121 374158
a cura di Antonella De Santis
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