Il mistero degli scavi e della centralina
Roma, 28 aprile 2016: “Stiamo lavorando con la 220, metà attrezzatura non funziona”. Ma quando avete chiesto l'aumento di corrente elettrica?“A dicembre 2015, e abbiamo pagato 3800 euro più Iva per ampliamento di potenza da 6 a 50kw e di tensione a 380v”. A parlare Andrea Dolciotti, cuoco e patron di Pigneto 1870. Una situazione non unica né rara, la sua: chiunque abbia un'attività può facilmente confermare che tra gli ostacoli più grandi all'apertura ci sono lungaggini legate a utenze e burocrazia.
Andrea Dolciotti a fine 2015 si prepara a spostarsi dall'Aurelio al Pigneto, una delle zone più animate della Capitale. Inizia i lavori, compila pratiche, inoltra richieste. E aspetta. Non si sa bene cosa e quanto. Perché avere una risposta chiara è praticamente impossibile: “ci rimpallano da un telefono all'altro”. A dicembre 2015 danno 22 dei 50kw richiesti. Sempre nello stesso periodo individuano una centralina cui attaccarsi per la corrente e fanno un preventivo (poi non confermato). È il primo di una lunga serie distribuiti nel tempo. “Poi c'è stata la Soprintendenza, abbiamo atteso la nomina dell'archeologo che deve sovrintendere gli scavi”. Poi? “Poi si è visto che la cabina individuata non andava bene. Altro preventivo e altro tempo. Al momento non sappiamo dove sia la nostra pratica” diceva ad aprile 2016, “sappiamo solo che hanno individuato la centralina adatta a 10 metri dal locale, dal civico 25 al 17. Invece no, neanche quella va bene." Come è possibile? “Venivano a fare i sopralluoghi per il preventivo senza le strumentazioni necessarie" racconta.
I giorni passano, il ristorante è pronto (al netto dell'energia elettrica) e l'attività ferma. Quindi non solo non guadagna, ma perde soldi, quelli per gli affitti e il personale. A inizio aprile, non potendo tergiversare oltre, Dolciotti apre, con meno energia e a regime ridotto. Perché senza un aumento di corrente si può fare poco: le piastre vanno a 380, la friggitrice anche, e praticamente tutti gli strumenti in cucina sono elettrici, e non solo quelli. Mentre se non c'è il gas (comunque arrivato dopo 4 mesi dalla richiesta) qualcosa ci si può inventare tra forno, roner, e piastre a induzione, senza corrente elettrica o senza la potenza necessaria, si rischia di non poter lavorare. “Considera che ora sto facendo il pane in un altro locale, idem per crumble, meringhe e piccola pasticceria. Lavoro con un forno per i cornetti, un giocattolino da bar con tre teglie 25x40, senza friggitrice, induzione e anche senza condizionatore” diceva. Una ristorazione di fortuna che può servire meno coperti (lavorando con 4 soli fuochi non è facile fare numeri necessari per sostenere l'attività e pagare gli stipendi) e con un menu diverso rispetto al previsto, non potendo usare tutti gli strumenti su cui aveva investito, beffa oltre al danno, quasi 20mila euro.
Passano mesi e altri preventivi, “a ottobre dopo tanto battagliare siamo riusciti ad arrivare al funzionario, preventivista e al responsabile della zona di Areti” così si chiama da luglio 2016 l'ex Acea Distribuzione che gestisce la rete elettrica, pianifica ed esegue gli interventi per l’ammodernamento e l’ampliamento delle infrastrutture. Si scopre che la prima centralina andava bene, e c'è anche un modo per raggiungerla “abbiamo trovato una canalizzazione sotto il manto stradale ”. Perché pare anche che quando è stata risistemata la vicina piazza non siano stati predisposti su entrambi i lati allacci e cunicoli di ispezione di servizio. “La cosa più assurda è che la piazza è stata fatta pochi anni fa”. Ma questa è un'altra storia. Passano altre settimane, “a dicembre 2016 pensavamo di andare via”. Per i lavori del manto stradale ovviamente servono l'ok della Polizia Locale (si chiude una parte di strada) e del Municipio, inoltre lì c'è il mercato dunque la mattina non si può lavorare, poi c'è la fascia oraria per il rispetto della quiete “non si capiva neanche quando poterli fare, questi scavi”. Infine, dato che in terra c'è il mattonato, si scopre che il costo di queste mattonelle è a carico dell'intestatario dell'utenza e non di Acea, che sostiene solo le spese per il ripristino del manto stradale ordinario, dunque dell'asfalto e non delle mattonelle: una patacca. “Abbiamo dovuto fare un'offerta all'associazione della piazza per farci dare delle mattonelle”.
Ma non ci sono dei limiti di tempo per queste cose? “Hanno 6 mesi per attaccarti l'elettricità da quando hai pagato, sempre che tutti siano d'accordo, dai vigili urbani per l'occupazione del suolo pubblico, al preventivista, al Municipio” e voi? “La richiesta è stata fatta e pagata a dicembre 2015 e la 380 ce l'hanno data il 23 dicembre 2016”. Un anno!
La pratica scomparsa
Un fatto più rumoroso fu quello di Osteria Fernanda un anno prima; in una zona, quella di Porta Portese, ugualmente animata, che pare particolarmente sfortunata per i ristoratori. Il locale si spostava dalla vecchia sede di via Ettore Rolli alla nuova, a poche centinaia di metri. Tutto era stato fatto con il misurino, per chiudere da una parte e riaprire dall'altra nel minor tempo possibile: ogni giorno chiuso è un incasso mancato a fronte di spese (dall'affitto al personale) che invece non si fermano.
“Quando si tratta di 380 il problema vero può essere, molto banalmente, la persona che gestisce le pratiche” dice Andrea Marini, sommelier e patron insieme allo chef Davide del Duca e a Manuela Menegoni. “non conta né il dirigente Acea, né la Soprintendenza Archeologia delle Belle Arti” ma il “camminatore” quello che ha in mano i fascicoli e li segue nel loro iter. “La richiesta dall'Acea va alla Soprintendenza Archeologica per il nulla osta che deve essere portato poi al Municipio per la firma per il permesso dei lavori, poi torna in Acea che chiama la ditta appaltatrice per lo scavo. Tempo previsto: 3 mesi”. In teoria. Dopo questo tempo, infatti, per il team di Fernanda iniziano i solleciti, ma nessuno sembra sapere nulla della pratica. Vi eravate mossi per tempo? “La richiesta di corrente è stata fatta a settembre, a dicembre abbiamo pagato circa 2300 euro”. Poi il limbo. Nel frattempo la vecchia Fernanda chiude, è il 15 marzo, “abbiamo aspettato altre 5 settimane sperando di sapere quando sarebbero cominciati i lavori, il 25 aprile comunicano che sarà verso metà maggio, a quel punto abbiamo aperto con la 220 e un trasformatore”. Anche loro un po' arrangiati. La pratica che pareva scomparsa alla fine si scopre essere nelle mani del camminatore, che l'ha depositata all'ultimo, “poco prima che scadessero i termini oltre i quali l'Acea deve pagare una penale”. Una volta depositata la pratica i tempi sono stretti e a fine maggio i lavori sono completati, a locale già aperto (“abbiamo messo la centralina della 380 nel nostro locale”). Nel mezzo, però, ci sono stati mille giri, giornate perse tra uffici, esasperazione e danni economici che per piccole realtà di qualità sono un massacro autentico. Quanto ci avete perso? “Due mesi circa di lavoro, sui 70mila euro”.
Come è possibile che un anello qualsiasi della catena blocchi tutto? Evidentemente le maglie dei controlli e il malfunzionamento sono tali che nessuno verrà a chiedere conto dell'avanzamento di tutti i lavori in coda. E forse nessuno sa realmente quali siano. E proprio qui si crea lo spazio aleatorio e discrezionale in cui chiunque può perdere, imboscare, dimenticare, trascurare una pratica o l'altra. “Oltre a totale negligenza e disorganizzazione” spiega un ristoratore che preferisce restare anonimo “è chiaro che molti imprenditori sono indotti a oliare gli ingranaggi”. La cosa ovviamente riguarda tutte le società che distribuiscono servizi a rete e non di certo solo Acea, e tra l'altro riguarda soprattutto le società che lavorano “per conto di...” e non la casa madre direttamente.
Insomma tra le migliaia di attività che aprono ogni anno, non tutti hanno la forza (anche economica) di aspettare fino all'ultimo giorno. E qualcuno cerca scorciatoie: gli imprenditori col pelo sullo stomaco si garantiscono da soli, ma chi porta avanti piccole imprese d'eccellenza non ha margini di guadagno per contrastare ritardi e ricatti.
Giorno più, giorno meno... ma soprattutto giorni più
A poca distanza anche Flavio al Velavevodetto, uno dei punti di riferimento della romanità, lamenta tempi dilatati oltre il previsto per un aumento di potenza, e l'impossibilità di comunicare con qualcuno per capire a che punto fossero i lavori. “Avevo chiesto un aumento di potenza” dice Flavio De Maio “che da 15 giorni lavorativi, come preventivato, si sono trasformati in un mese e mezzo”. Ma il pagamento? Quello si fa subito “nel mio caso 1200 euro”. Come spiega questi tempi? “Non ho idea, dovrebbero avere una macchina con satellitare e Ipad per verificare gli spostamenti dei camminatori, in teoria dovrebbe essere facile individuare le falle”. In teoria sì, ma un reale efficientamento non viene posto in essere.
La bolletta impossibile
Ancora Pigneto, ancora un'incredibile storia di malagestione. Lo scenario cambia, ed è Rosti, il secondo locale di Marco Gallotta (già patron e chef di Primo) che si scontra con la disorganizzazione delle aziende di servizi. La richiesta di aumento la fanno alla firma del contratto di affitto, di mezzo ci sono mesi di lavori in cui vanno a 3kw. Ma la dotazione richiesta (e ottenuta) è di 150kw, con un contatore nuovo “anche perché c'è un cavo che è tre volte uno normale”.
Andiamo diritti al momento in cui il locale è aperto e funzionante. Le prime bollette sono basse, troppo: “400 euro o giù di lì, contatto Acea per dire che c'è qualcosa che non va: come può essere pagare solo 400 euro al mese di corrente?”. Passano mesi e poi anni, continua a segnalare la cosa, ma nessuno sembra dargli retta, fino a un paio di anni fa, quando decide di cambiare gestore e allora si scopre il mistero: “il contatore non era mai partito: le bollette erano sul consumo presunto”. A quel punto si quantificano gli arretrati da saldare, pena il depotenziamento e l'interruzione della fornitura come abitualmente accade se non si è in regola con i pagamenti. “Arrivano con una bolletta da 65mila euro da pagare in 60 giorni” racconta “senza possibilità di discutere o verificare. Bisogna pagare e poi, eventualmente, contestare” sostenendo dunque anche le spese di un avvocato. E voi? “Noi ci eravamo già staccati” dice, e continua“comunque quel conteggio non torna: secondo noi ci sono circa 20mila euro di troppo”. Il caos, proprio quello di cui gli imprenditori onesti non avrebbero bisogno e in effetti in tutto il mondo le società di servizi sono amiche e partner, non matrigne. Ma trovateci a Roma una sola attività di ristorazione che non abbia avuto problemi con le utenze. Non finisce qui: “quella fattura è arrivata dopo 3 anni, quindi significa che non posso scaricare l'Iva. Il 22% su 65mila euro sono più di 10mila euro. Persi. Mettici poi pure le spese dell'avvocato...”. Perché ovviamente la cosa è andata per vie legali. Ma cosa rispondono da Acea? “Magari rispondessero! In questi mesi non c'è stato modo di capire con chi interfacciarsi. Al mio avvocato hanno risposto che non potevano indicare l'ufficio reclami. Come se fosse segreto”. Ora è stato individuato un ufficio per la conciliazione, “sperando che stavolta qualcuno risponda e si sieda con noi a risolvere questa cosa”. Nel frattempo, però, ad Acea cambiano le posizioni amministrative, i dirigenti, i vertici e capire con chi parlare si fa sempre più complicato. Un'azienda che fa utili record grazie ad un management capace, un'azienda che rinnova il suo brand e le sue interfacce tecnologiche (app e sito) con l'utenza retail, come mai non riesce a trovare un livello di collaborazione sana con il mondo dell'utenza azienda in particolare per quanto riguarda in particolare la ristorazione e le sue esigenze?
Poche risposte, spesso sbagliate
13 mesi. È questo il tempo che è servito a Francesca Barreca e Marco Baccanelli (anche conosciuti come The Fooders) per avere l'aumento di energia necessario per aprire Mazzo. All'epoca fu un ritardo memorabile. In mezzo la solita trafila fatta di mancanza di risposte certe e di pratiche arenate chissà dove. “La maggior parte del tempo è passata aspettando l'autorizzazione agli scavi”, un centinaio di metri, o poco più. Mazzo si trova a Centocelle, nella zona est della città, anche qui la trafila prevede diversi passaggi, nei quali non è raro – come abbiamo visto - che documenti e autorizzazioni sembrino svanire per un po'. “C'è una persona incaricata a portare le pratiche da un ufficio all'altro” spiega Francesca, e racconta anche lei dell'impossibilità di tracciare il percorso fatto da questi incartamenti: sembra che nessuno ne sappia mai nulla. E chi è addetto a portare le pratiche? “Non sai mai il suo nome, e non si capisce neanche se sia effettivamente lui a rallentare le cose, o se non sia magari un capro espiatorio”. Passano dei mesi, e alla fine riescono ad avere l'autorizzazione agli scavi, “ma per errore il permesso è dato a Italgas anziché Acea”. Realtà inefficienti che dialogano con altre realtà inefficienti. Devono attendere ancora del tempo per l'autorizzazione giusta.
Ma poi le cose sono andate lisce? “Non proprio. Avevamo chiesto la 380” ricorda Francesca “ma al primo sopralluogo tecnico ci hanno comunicato che lì non si poteva portare”. Iniziano i lavori, a Mazzo realizzano la cucina e prendono i macchinari per lavorare con la 220, cablano il locale, sempre per la 220, “poi quando finalmente portano la corrente scopriamo che è proprio la 380”. E a quel punto? “Abbiamo dovuto rifare i lavori per ricablare per la 380, e richiedere una nuova certificazione”. Solo per questo passaggio la spesa si aggira sui 600 euro. “Alcuni macchinari siamo riusciti a cambiarli, altri no, e infatti lavorano male e consumano più di quanto dovrebbero”. Ma voi avete fatto reclami o altro? “Quando abbiamo finalmente potuto, ci siamo messi a lavorare, non potevamo aspettare ancora, né continuare a girare da un ufficio all'altro”. C'è da dire che in questa storia anche loro hanno trovato, alla fine, qualcuno che ha saputo dare risposte certe, che nell'ultimo mese ha seguito la pratica con efficienza risolvendo una situazione kafkiana. Ma possibile che avere un servizio dovuto sia questione di fortuna o di casualità?
Domande lunghe un anno
Arriviamo a oggi. A un'apertura che ha smosso il panorama gastronomico di Roma. Torniamo nel quartiere Testaccio, dove ha aperto da poche settimane Romeo, il nuovo megaprogetto firmato Cristina Bowerman-Fabio Spada: 2000 metri quadrati e 120 chilometri di cavi elettrici per una potenza di circa 500kw. “Siamo partiti un anno e 9 mesi fa con le prime richieste” inizia così Fabio Spada un racconto fatto di risposte mancate, pratiche scomparse, documenti sbagliati, assurde perdite di tempo: “ogni volta che pareva che la trafila fosse finita si scopriva qualcosa che mancava o che bisognava ancora risolvere”.
La storia inizia il 23 maggio 2015, con la domanda ad Acea a cui è seguita una prima richiesta di documentazione, “con una procedura che ci è sembrata irrituale” e che si è rivelata inefficace. Inviato quanto richiesto a giugno 2015, a fine luglio la pratica non risulta ancora neanche aperta, passa ancora del tempo, “abbiamo fatto nuovamente domanda a settembre”. Da allora ogni passo è stato solo a seguito di interventi, richieste, sollecitazioni. “Nulla è mai andato avanti naturalmente, ma solo dietro solleciti”, che significa lunghe ore spese tra uffici o attaccati al telefono.
Arriva finalmente il momento della richiesta del preventivo “fatta a dicembre 2015” è una richiesta che ha un costo: “oltre 5mila euro finalizzati alla verifica generale della possibilità di fare un allaccio” in pratica una verifica sommaria di fattibilità per l'aumento di potenza, necessaria per procedere al preventivo vero e proprio. A gennaio 2016 ancora nessuna risposta “ma abbiamo saputo lo stesso che era andato a buon fine e si andava avanti”, passano due mesi; a marzo c'è finalmente il preventivo: il progetto può essere realizzato. La spesa è di circa 27 mila euro “ovviamente pagati”. Passa ancora un po' di tempo: “siamo andati in commissione in Comune per il progetto di scavo il 9 o 10 aprile”. A questo punto sono passati 10 mesi dalla prima richiesta e ancora di lavori neanche l'ombra. Ma almeno si sa che si possono fare.
Mentre si lavora dentro al locale, si attende di veder rompere il manto stradale, segnale che dà il via all'intervento di Acea. Passa anche la primavera del 2016.“Il primo anno lo abbiamo passato a fare domande”; gli scavi partono in piena estate. “Da lì in poi c'è stata una accelerazione”, si procede con i lavori della centralina e di tutta la parte tecnica. Ma al momento della verifica dei documenti si scopre che ce ne è uno sbagliato: uno di quelli chiesti (e subito presentati) a maggio 2015, più di un anno prima; evidentemente nessuno ha verificato il fascicolo. Passano altri 4 mesi, da settembre a gennaio. Gennaio 2017: un anno e 10 mesi dopo la prima richiesta. Da lì in poi è storia recente: dopo poco c'è l'allaccio e Romeo a piazza dell'Emporio avvia i motori e inizia il rodaggio. L'apertura al pubblico è il 13 marzo 2017. “Nelle previsioni più pessimistiche avevamo messo in conto un anno”. Invece sono stati quasi due. Quanto è costato questo ritardo? “Circa 100mila euro solo di costi aggiuntivi”. Ma Acea non risponde di niente? “In teoria ci sarebbero dei termini di tempo oltre i quali scatta una penale. Ma partono da quando ogni documento e autorizzazione è a posto”: i mesi precedenti passati tra domande inevase, richieste senza risposta, pratiche scomparse, evidentemente non contano.
Avete avuto la sensazione che qualcuno volesse mettervi i bastoni tra le ruote? “Sì. Come credo l'abbiano tutti gli imprenditori che si trovano ad avere a che fare con una società di servizi che non agevola il normale andamento dei lavori”. In mancanza di controlli e di un sistema di verifiche efficiente, si è in balìa di chi capita. Devi sperare di incappare in uno bravo, perché ci sono: “tra tutte le persone che abbiamo incontrato in questa storia, ci sono state anche alcune molto competenti che, resesi conto della situazione, si sono spese per rimettere a posto in tempi brevi i problemi emersi, per quanto possibile in una macchina lenta come Acea”. Insomma, per uno che non fa bene il suo lavoro ce ne è un altro che deve lavorare doppio per risolvere i danni creati, una metafora dell'Italia. Che si riversano tanto sul singolo quanto su Acea stessa, che rimanda di mesi, talvolta di anni, la fornitura. E il conseguente suo stesso guadagno, perché paradossalmente tutte queste lentezze mortificano il business e il fatturato dell'azienda stessa prima ancora che dei suoi clienti.
Al di là della proverbiale inefficienza romana, presente non di certo solo in Acea, ma protagonista in moltissime tra le attività che abbiano a che fare con la capitale, ci si chiede perché tutto questo possa accadere. Ci si chiede perché Acea, addirittura contro il proprio interesse, si comporti in questo modo incomprensibile con i suoi clienti. Ci si domanda quanti siano gli imprenditori (anche internazionali) che sentendo i racconti di queste storie – perché i ristoratori romani non parlano d'altro, quando gli si chiede conto dei problemi che hanno vissuto per aprire – abbiano rinunciato a intraprendere un'attività, e quanti capitali dall'estero abbiano scelto anche (e non solo) a causa di tutto ciò di atterrare altrove lasciando Roma e l'Italia.
Stiamo cercando di porre queste domande anche ad Acea, appena riusciremo a interfacciarci con qualcuno daremo il più ampio diritto di replica. Per ora i tentativi di contattare l'ufficio stampa si sono purtroppo infranti contro un muro di gomma.
Pigneto 1870 | Roma | via del Pigneto, 25 | tel. 06 7021401 | http://ristorantepigneto1870.it
Osteria Fernanda | Roma | via del Monte Crescenzo, 18 | tel. 347.4459593 |www.osteriafernanda.com
Flavio al Velavevodetto | Via di Monte Testaccio, 97| tel. 06 5744194 | http://www.ristorantevelavevodetto.it/
Rosti | Roma | via B. d'Alviano, 65 | tel. 06 2752608 | www.rostialpigneto.it
Mazzo | Roma | via delle Rose, 54 | tel. 06 64962847 | http://www.thefooders.it/mazzo/
Romeo | Roma | piazza dell'Emporio, 28 | tel. 06 32110120 | www.romeo.roma.it
a cura di Antonella De Santis