Sbottonatevi. Questa è la prima regola per poter assaporare come si deve un’impepata di cozze. Un piatto difficile da mangiare senza sporcarsi le mani e senza tovagliolo al collo. Ma è anche questo il bello dell’impepata!
L’impepata di cozze
Una ricetta facile da preparare, veloce, economica e gustosa. Due le accortezze: scegliere cozze freschissime e pulirle accuratamente. In pentola, rigorosamente in ordine di apparizione, ecco i protagonisti: olio, aglio, cozze, vino bianco, pepe, pomodorini e prezzemolo a piacimento. Senza dimenticare le fette di pane abbrustolito da “pucciare” nel sughetto!
Le bollicine
Primo guscio, primo calice, le bollicine di Trento Brut Cuvée 28+ Rotari. Metodo classico da uve chardonnay n connubio delicato e fragrante, che conquista subito: sgrassa bene pur con la sua delicatezza e trova l’incastro giusto con il peperoncino. Importante indovinare la temperatura di servizio! Al terzo posto.
Diverso l’impatto col Franciacorta Brut Cuvée Alma Bellavista: più morbido e seduto, la scia minerale del calice infatti non trova il gancio giusto per supportare il piatto. A risollevare le sorti del palato ecco il Pinot Nero Metodo Classico ‘More Castello di Cerignola, un Oltrepò brillante e gustoso, la cui sapidità dà slancio alla nota iodata del mollusco, spingendola fuori come in un geyser.
I bianchi
Immediata la risposta con il Lugana Molin 2014 Provenza – Cà Maioldi Desenzano del Garda che sulle prime non convince ma dopo un’entrata in bocca leggermente amara, il vino si apre in un abbraccio; la carne del mollusco esce piacevolmente fuori dando corpo al boccone mentre le uve trebbiano si raccontano con note fruttate e accattivanti. Sulle prime il vino sembra avere la meglio ma ha l’umiltà di ponderare la sua importante struttura ne metterla a misura di un piatto per sfiorarne ogni sfumatura. Ne nasce una bocca fruttata e di lungo gusto. Secondo posto.
Pareri diversi sul Biancolella Faro della Guardia 2013 di Ponza firmato Casale del Giglio: un seducente esordio sul palato, ma un proseguimento meno pulito e un po’ unto. Si ribalta la situazione con il Colli di Luni Vermentino Il Maggiore 2013 di Ottaviano Lambruschiligure, con cui si tenta un matrimonio geografico: le note iodate del vino e del piatto si elidono a vicenda invece di moltiplicarsi, e a giovarne è il limone che esce sul finale dando vita alla carnosità del mollusco.
Altri parametri e nuovi sviluppi del gusto con la Di Sannio Falanghina Svelato 2013 Terre Stregate: fine e rustico allo stesso tempo, si incastrano emotivamente e tecnicamente. È lui: un vino che non si presenta in modo ampolloso, ma sicuramente convincente con quel tanto di selvaggio che basta per abbracciare un’impepata intensamente marinara e che riesce a esaltare sia la cozza che il suo succo. Al primo posto.
Scendiamo prepotentemente di livello armonico quando accanto al sauté si inserisce la Vernaccia di San Gimignano tradizionale 2012 Montenidoli: troppo fitta la trama del calice che impedisce al sauté di uscir fuori. Diversi piani d’espressione anche con il Collio2013di RobertoPicéch,un pinot bianco di grande struttura, elegante e grintoso, profumato e cremoso, che lascia poco spazio al piatto, fatto salvo per un piacevolissimo finale sapido. Torniamo in Campania per un altro abbinamento baciato dal sole: il Fiano 2013bio Pian di Stio della Azienda Agricola San Salvatore- che si presenta nella sua versione ‘ridotta’ nella bottiglia da 500 ml - indovina l’equilibrio tra sapidità e aroma, e si fa largo sul palato con una potenza agrumata che trova nel limone lo slancio finale.
I rosati e il rosso
Cambiamo colore del calice con il Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Campirosa 2013di Dino Illuminati: un piacevole gioco di spezie con il pepe (unico vino del panel a farlo emergere) che la fa da padrone senza però scavalcare gli altri compagni di gusto. Noi abbiamo tentato l’annata 2013 ma siamo certi che la 2014 funzionerebbe ancora meglio.
Stesso meccanismo con il rosato bio Grayasusi et. Argento 2013 di Roberto Ceraudo, Roberto Ceraudo, da uve gaglioppo, anche se la sensazione pepata lascia presto spazio alla dolcezza della cozza. L’abito non fa il monaco con ilRossese di Dolceacqua 2012 di Terre Bianche, da cui abbiamo risvolti inaspettati: il mare ha nel vino e nel piatto due potenti braccia che danno slancio alle note iodate e che si trovano concordi e complici in bocca.
Conclusione
Con le cozze non cercate troppa struttura, lasciatele esprimere. Serve un gancio sapido e agrumato, morbido ma non troppo.
a cura di Giulia Sampognaro
Articolo uscito sul numero di Agosto 2015 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui