’insegna dell’arte coquinaria presso la Città del Gusto di Roma. Un vero e proprio tuffo nel passato tra "Frittelle di salvia, Ova pyene, Brodetto bono e bello, Pipione arosto con sapore camellino".
Grazie alle dotte citazioni di Marta Lenzi, Esperta di storia della gastronomia e del costume.
dal 1991 curatrice de La B.IN.G. Bibliothèque Internationale de Gastronomie di Lugano, e alla cucina di Luca Ogliotti, Executive chef della Città del Gusto di Roma, venerdì sera è stato possibile rivivere così il rito di un cerimoniale festoso alla scoperta di piatti caratterizzati dalla presenza di gusti agrodolci, con una forte presenza di spezie, di zucchero e mandorle, selvaggina presentata in modo spettacolare con agresto, salsa camellina, erbe aromatiche.
Nel XV secolo vi erano alcuni alimenti simbolo che dovevano essere assolutamente presenti sulle tavole dei nobili, come la selvaggina di piuma, molte spezie e l'oro. Mentre altri semplici alimenti, come verdure e uova, non comparivano mai durante i banchetti, se non come ingredienti di ricette più importanti. Martino è il primo cuoco che nobilita anche questi prodotti.
“Le ricette del Maestro Martino sono molto più chiare e semplici dei suoi predecessori– spiega Marta Lenzi-, introduce un preciso ordine da seguire per la realizzazione dei piatti, specificando tempi di cottura e quantità degli ingredienti, raramente indicati in passato, usando anche un linguaggio più professionale. Dalla cucina trecentesca – ha continuato- eredita l’impianto di base: tanta carne, cibo-simbolo delle classi superiori, piatti colorati e spettacolari, molte spezie, ma dando una impronta inedita, adattando il gusto alla sensibilità del suo tempo”.
Un tempo lontano che ha visto anche l’ascesa del galateo a tavola; servizio, metodi di cottura e apparecchiatura, dopo Maestro Martino non saranno più le stesse. Fino ad allora, infatti, i commensali erano soliti mangiare dalla stessa pentola, staccando con le mani i vari pezzi di pollame e selvaggina, era poi costume condividere il boccale con il vicino di tavola, mentre i tovaglioli erano privilegio dei ricchi. Con il rinascimento compaiono sulla tavola, per la prima volta, un bicchiere, un tovagliolo per ogni commensale e la forchetta. Non solo, ma in cucina nasce una una vera e propria squadra di specialisti del servizio: il preludio della più moderna brigata di cucina.
E per “Chi vole haver bella carne allesso”? Secondo Maestro Martino: “la deve dividere in pezi come gli piace, et porla a mollo in aqua fresca per spatio de una hora, poi lavarla bene con aqua calda, et poi iterum con aqua fresca, et ponerla al foco in un caldaro dove non stia a stretto aziò che rimanghi più bianca. Poi gli devi ponere el sale secondo che è necessario, et schiumarla bene sopratutto; et se il sale non fosse netto, ponilo in una pocha d'acqua calda, che in breve spatio serrà dileguato, et converso in salimora, la quale come sia rasectata se potrà poner nel caldaro pianamente, aziò che non ve andassi la terra, che serrà sul fondo; et se la carne fusse vecchia et dura, specialmente cappone et gallina, cavala parechie volte da l'aqua bollente, et rinfredala ne l'aqua fresca, et in questo modo serrà più bella et più presto cotta”.
12/11/2012
Michela Di Carlo