C'era una volta la pizza alla romana. Quella sottile sottile, che i puristi dello stile napoletano spesso disconoscono ma che per molti romani è qualcosa di profondamente intimo e familiare. Spesso poco attraente per chi cerca qualità degli ingredienti e attenzione alle lievitazioni. Perché se a Roma negli ultimi anni si è affermata la pizza “alta” giocando la carta della qualità della materia prima e delle tecniche, le altre pizzerie – quelle della tradizione capitolina – hanno per lo più deciso di concorrere nella batteria dei grandi numeri. Locali spartani, informali, con un vertiginoso turnover ogni sera e prodotti mediamente standardizzati, con l'unica consolazione della mozzarella di bufala, solitaria portavoce di rinnovamento e ricerca sugli ingredienti (senza entrare nel merito della qualità del latticino). La mano del pizzaiolo fa la differenza ed esistono delle eccezioni, gli indirizzi storici hanno fatto della costanza una buona carta da giocare, ma siamo ben lontani dalle scelte radicali nella selezione delle farine e dei condimenti, del forno e della legna da ardere, dal rigoroso lavoro sulle lievitazioni, dalle intuizioni negli abbinamenti e dalle carte delle birre e del vino che hanno fatto la fortuna di posti come Sforno, Tonda, Bir&Fud, La Fucina (per non parlare di Pizzarium di Gabriele BonciÂÂÂÂ e 00100, oggi Trapizzino, di Stefano Callegari) e la Gatta Mangiona. Lo teniamo per ultimo lui, Giancarlo Casa, patron della Gatta, avventuroso apripista di questa generazione di pizzaioli new style (anche se c'erano già stati i fratelli Picchioni di via del Boschetto dove una margherita per due quotava 40 mila lire ben spese), e lo facciamo perché è proprio lui che ha contributo in modo determinante a trasformare la percezione che i romani avevano della pizza. Segnandone il riscatto e sdoganandola da quell'idea di cibo veloce, disimpegnato (“vediamoci per una pizza”, per evitare di essere troppo compromettenti parlando di “una cena”), economico per avvicinarlo alla ristorazione cosiddetta di qualità. Curioso che questo rinnovamento nasca da un prodotto importato nel tessuto capitolino. Che sia più facile partire da zero che cambiare dall'interno un sistema di basso costo che pare inossidabile? Perché, parliamoci chiaro, le pizzerie romane - così come le conosciamo – funzionano. Difficile fare una stima rispetto a un'epoca pre-crisi, ma di certo sembrano vivere una costante primavera, se non una piena estate. Figurarsi cosa doveva essere quasi tre lustri fa, quando è arrivata la Gatta a smuovere le acque.
Da allora, era il 2000, è stato un continuo fermento, nuove aperture, variazioni sul tema pizza e fritti, sperimentazioni su forni, idratazione, impasti, temperature, lievitazioni, e molte fortunate sinergie, progetti duraturi o collaborazioni spot che hanno definito il panorama attuale. Che non è certo statico. Come per la ristorazione tout court, che riscopre i piatti umili della nostra cucina, e si (re)innamora di minestre povere e quinto quarto, misticanze ed erbe selvatiche, anche nel mondo della pizza c'è un movimento ondivago che racconta di continui ritorni di fiamma e rinascite. È il turno della pizza “alla romana”, che ritorna in una versione nobilitata nella tecnica e negli ingredienti e completa il quadro della contaminazione tra cucina alta e bassa che ha già una sua ricca letteratura.
È successo così che, quasi inevitabilmente, alcuni hanno iniziato ad applicare la stessa cura nella selezione delle materie prime anche nella romana. Per ora sono pochi indirizzi, non necessariamente estremisti o forse non ancora, ma segnano comunque una tendenza che ci piace rilevare. È un contagio che potrebbe estendersi ben oltre il ristretto circolo di accoliti della lievitazione che già conosciamo. Non è proprio così, invece. Perché gira che ti rigira lo zampino di uno di loro c'è quasi sempre: consigliere, consulente, spalla, amico intimo, o magari solo modello da seguire o ispiratore per ingredienti o abbinamenti; una presenza che rende merito alla competenza e che contribuisce a definire una rete, se non una scuola. Che ha come parole d'ordine “selezione delle farine”, sempre meno industriali e sempre più artigianali, macinate a pietra quando e dove possibile. Insomma non c'è una regola, ma un orientamento e qualche esperienza che fa ben sperare.
Ci sta provando Rosti al Pigneto: hipster quanto basta, spazi moderni e suggestioni esterne da festa di paese, dettagli baby friendly e giusto appeal per gli adulti, apertura no stop e una proposta giocata tra forno e girarrosto, bar e tavoli sociali; un locale dai grandi numeri, che a volte sono di intralcio sulla via della costanza. Fratellino più piccolo e informale di Primo, sempre al Pigneto. Regno di Marco Gallotta, deus ex machina di entrambi, insieme a soci vecchi e nuovi. Ha seguìto la via intrapresa da Rosti, qualche mese dopo, un'altra insegna che orgogliosamente recita Pizza Romana: si tratta di Moma di FrancoÂÂ eÂÂ Gastone PieriniÂÂ che si inserisce in quell'angolo di Tuscolano per molti gourmet un rifugio sicuro tra botteghe e buoni indirizzi. Per esempio Sforno, il primo locale di Stefano Callegari. Un collega stimato nei cui confronti, vista la proposta di tipo diverso, ci si pone come un'alternativa complementare e non concorrente. Pizze basse, non bassissime, croccanti alla base e più morbide in superficie. Farine selezionate e macinate a pietra. Tra i fritti non passa inosservato il Supplizio, che porta in sé l'impronta di Arcangelo Dandini, amico di lunga data che ha dato ricetta e istruzioni per replicare il suo famoso supplì con le regaglie (cui oggi ha intitolato la sua friggitoria). Non manca la firma di un vicino di quartiere, Roberto Liberati, per gli hamburger, a conferma di una scelta netta in termini di qualità. E della tendenza a fare squadra. Sembrava finita qui, invece continua, seppur lentamente, l'avanzata delle pizzerie romane. Con l'entrata in campo di un nome poco noto ai più, quello di Francesco Roscino (un passato remoto in altri settori e un passaggio recente da Romeo, proprio all'apertura del locale di Prati), ma che ha alle spalle uno dei giganti dell'arte bianca a Roma: Pierluigi Roscioli, amico, consigliere e vicino di bottega (il forno è a pochi metri), oltre che spalla in questo progetto per quanto riguarda lo studio dell'impasto. Oltre alla pizza, la pasta all'uovo di Gatti di via Nemorense, la cinta senese di Fulvietto Pierangelini, le bollicine Pure Cuvée di Philipponnat. Indizi confortanti per il futuro della pizzeria Emma in Via del Monte della Farina (nomen omen), negli spazi che furono de le Maschere: un dehors sullo slargo (proprio a un passo dalla neo aperta gelateria Carapina, ve ne abbiamo parlato) e un inconsueto spazio interno con il grande lucernaio e le piante rampicanti a restituire la sensazione di un giardino che attendiamo di vedere rinnovato. Mentre il forno è già in attività per essere pronto per la fine di maggio si studiano gli impasti con i consigli preziosi di Giancarlo Casa. E il cerchio si chiude lì dove era iniziato.
Rosti | Roma | via Bartolomeo D’Alviano, 65 | tel 06.2752608 | www.rostialpigneto.it
Moma Pizzeria Romana | Roma | via Calpurnio Fiamma, 40-44 | tel. 06.7674717
Emma | Roma | via Monte della Farina 28/29 | tel. 06.64760475 | http://www.emmapizzeria.com
a cura di Antonella De Santis