Il pranzo inaugurale riservato alla stampa è stato una gran bella esperienza, che ha dato concretezza a quello che fino a oggi era un progetto messo a punto in due anni di ricerche e sperimentazioni di Adrià e Federico Zanasi, in sintonia con quella che entrambi definiscono “la famiglia”, ovvero la dinastia Lavazza. Che ha voluto fosse qui, a Torino, il suo quartier generale, che ha ormai ufficialmente aggiunto al suo logo il nome della città e la data del 1895, apertura della drogheria di via San Tommaso da cui tutto è cominciato, e ha deciso di aprire proprio qui, alla Nuvola, un ristorante immaginato insieme al suo guru gastronomico fin dai tempi del mitico E-spesso: Ferran Adrià.
Com’è Condividere
Degli spazi, abbiamo detto. Una sala colorata, allegra, vagamente barocca e ridondante negli arredi, oro e colori forti e una parete tutta orologi che segnano le ore dei luoghi del mondo da cui arriva il caffè. Cucina a vista, il bancone per pranzare guardando i cuochi al lavoro, i tavolini shabby-chic, legno, metallo, niente tovagliato (ma bei tovaglioli di lino firmati Frette), e niente posate, tranne una pinza piantata come un totem al dio cibo in un basamento-cubo.
Un’essenzialità che è un manifesto programmatico: qui il cibo si condivide, viene servito a centro tavola per tutti i commensali, che lo prendono e se lo mangiano il più possibile con le mani, aiutandosi con la pinza, e qualche volta con posate provvidenzialmente aggiunte alla bisogna. Il rapporto con il cibo è insomma immediato, fisico, conviviale.
Il cibo, appunto
C’è un menu presentato in un’impaginazione pop fra Andy Warhol e Roy Lichtenstein. E la gran parte dei piatti (50 in tutto, prezzi che variano molto, percorso degustazione a 70 euro) sono tapas, anzi all’italiana cicchetti, apribocca, insomma sfizi comodi da condividere e da mangiare anche senza posate.
Fitti di rimandi e omaggi: a Ferran Adrià certo, a cominciare dall’oliva sferica “El Bulli”, l’alice tartufata, poi il gelato al parmigiano “Bob Noto” che il vulcanico sommelier Mirko Feroce, ex di Piano 35, ricercatore infaticabile di vini e alcolici di nicchia- rigorosamente italiani e presentati nella carta dei vini per bouquet prima che per zone - propone con l’idromele, il tomino elettrico delle vecchie osterie piemontesi (che tomino non è…) e il roll di peperone e ventresca di tonno, nonché il tramezzino Mulassano (il caffè torinese dove nel 1923 è nato il tramezzino) che invece del pane è fatto di meringa, i goffri di farinata, la microtigella modenese (Zanasi è di Modena) e l’airbaguette con coppa iberica Joselito (per par condicio con Adrià). Un ammiccamento continuo alla Spagna e al Piemonte, insomma, con il filo conduttore sicuro dei prodotti quasi esclusivamente del territorio.
Che continua con gli immancabili agnolotti del plin (ma il ripieno è di ragù alla modenese, spiega lo chef che non voleva correre rischi di confronti local) serviti al tovagliolo ma anche da tuffare in un brodo di zucchine, alla maniera orientale: infatti si chiamano Dum Plin Marco Polo. L’ostrica bretone va “in Trentino” ovvero è servita con una neve di eucalipto e menta (ma ci sono altre varianti). Il risotto- riso Carnaroli – è cotto all’iberica, riso secco, con anatra e anguilla e la pluma iberica è accompagnata dal garum, versione un po’ addomesticata del condimento principe dell’antica Roma (Adrià nella sua enciclopedica fame di ricerca è rimasto affascinato dalle tradizioni romane e da una cucina italiana dalla storia così lunga e importante).
Per finire, il dessert. E qui tutto cambia, anche la location: si passa dietro alla parete degli orologi e ci si ritrova nel salotto del caffè, poltroncine post moderne colorate e relax. Qui dolci (spumone al rafano, frutta con gin o vodka…) si gustano con il caffè Lavazza, in una coffee experience assai piacevole.
Lo chef
Federico Zanasi, visibilmente emozionato e teso prima dell’inizio del pranzo, si è rilassato solo alla fine, quando ha capito che il meccanismo aveva funzionato alla perfezione. Gli abbiamo chiesto come vorrebbe che uscissero i clienti dal suo ristorante dopo un’esperienza così particolare e ha risposto senza esitazioni: “Con il sorriso. Per aver gustato una buona cucina, in uno spazio divertente e conviviale. Dove non c’è niente di precostituito e ognuno può decidere cosa gli piacerebbe mangiare. L’idea di condivisione era lontana dalla mia filosofia, l’ho imparata da Adrià. Lui ha dato il via a questa nuova strada della cucina italiana da condividere”.
Il deus ex machina
Lui, Ferran Adrià, si è materializzato verso le 14, a pranzo iniziato. Maglietta nera con un surreale pollo gigante sulla schiena, ha salutato velocemente ed è sparito in cucina, a incoraggiare la brigata (cui era stata tenuta nascosta l’ora del suo arrivo, onde evitare ansie da prestazione). E alla fine ha raccontato la “versione di Ferran” di Condividere. “Come El Bulli era nato per dare felicità ai clienti, anche Condividere ha un obiettivo di felicità: una felicità in questo caso informale, che possa piacere a tutti… Vicina in qualche modo al Tickets di Barcellona. Condividere è un posto dove la gente deve divertirsi con il cibo. E lo chef provare il piacere di creare, come Picasso o Mirò”.
Condividere in una parola è molto più di un nome: è una filosofia, un modo più leggero, allegro di prendere la vita, insieme. E di questi tempi, non è poco.
Condividere - Nuvola Lavazza – Torino - via Bologna 20/A - 011/0897651- www.condividere.com
Mart-ven, 19.30-22, sabato 12.30/14-19.30-22, domenica 12-30-14, chiuso il lunedì
a cura di Rosalba Graglia
foto di Dario Bragaglia (foto di apertura Andrea Guermani)