La pizza come linguaggio universale
Prima dell’estate l’annuncio: un museo della pizza… a New York. L’iniziativa dello studio di design Brooklyn Nameless Network aveva lasciato l’amaro in bocca a molti sostenitori della pizza made in Italy, pizzaioli di fama compresi, maldisposti a tollerare lo “scippo” di un’eccellenza di cui gran parte dell’Italia rivendica la proprietà intellettuale. In realtà le dichiarazioni d’intenti degli ideatori e i manifesti sfoderati a tappezzare la città chiarivano l’obiettivo di un progetto non propriamente catalogabile tra i musei del cibo, e invece più legato a sfruttare l’immagine della pizza in quanto potente linguaggio universale, riflettendo così sui simboli dell’immaginario collettivo nell’era della comunicazione digitale. Peraltro per un periodo di tempo molto limitato, sulla scia del successo di precedenti temporary dedicati al cibo nella sua dimensione più pop. Dunque eccessivo ci sembrava gridare allo scandalo, semmai più opportuno riflettere sull’occasione persa di promuovere un’iniziativa analoga, comunque fonte di visibilità per la pizza nel mondo a qualunque latitudine fosse promossa, poiché “la pizza è un fenomeno culturale che trascende la geografia e il linguaggio” spiegava allora Kareem Rhama, Ceo di Nameless Network.
Il MoPi. Com’è
Qualche mese dopo, il MoPi – per dirla con l’acronimo impresso all’entrata – ha aperto i battenti a Williamsburg, dove resterà aperto fino al 18 novembre, invitando il pubblico a percorrere un viaggio nel mondo della pizza attraverso l’arte, o meglio l’interpretazione – finanche un po’ kitsch – che della pizza forniscono gli artisti coinvolti nella realizzazione delle 12 installazioni che scandiscono l’allestimento, compresa una variante della Venere di Botticelli sorpresa ad addentare una fetta di pizza mentre fa capolino da una scatola per l'asporto. Ma dietro alla goliardia di immagini che ridisegnano un mondo pizza-centrico – dalla grotta realizzata con mozzarella in silicone alla spiaggia della pizza firmata Adam Green, alla collezione di scatole per pizza da Guinness dei Primati messa a disposizione da Scott Wiener, che ne ha raccolte oltre 1500 da 80 Paesi del mondo, compreso il cartone dedicato ai Simpson e quello in edizione limitata che nel 2015 ha celebrato la visita di Papa Francesco a Philadelphia – c’è l’intenzione di celebrare la pizza “come stile di vita”, e per la sua valenza culturale, anche attraverso l’ispirazione che fornisce all’arte contemporanea.
La pizza come le piramidi d’Egitto
Di più, si spinge a dire Rhama, la pizza va celebrata “perché rappresenta le piramidi d’Egitto del cibo”, e per questo ringrazia Napoli per averla inventata. L’operazione è indubbiamente una trovata di marketing, e punta a catturare quante più condivisioni su Instagram possibili nel breve periodo; poi, però, dopo il primo mese di test, potrebbe diventare un museo permanente con la voglia di intrattenere ed educare insieme. Entrare “nell’unico spazio al mondo che celebra la pizza attraverso l’arte” costa circa 39 dollari, e il biglietto acquistabile solo online dà diritto a scattare un numero infinito di foto (anzi, abbondare è nell’interesse di tutti). Oltre a una meritata fetta di pizza all’uscita, anche se, precisano gli organizzatori, “al MoPi non si viene per mangiare, ma per vivere una divertente esperienza culturale”, com’è giusto che sia per un museo che arriva a dichiararsi “epico” (potere della suggestione). La visita dura un’ora e i bambini sotto i 5 anni entrano gratis, ma il museo si rivolge a tutte le fasce d’età.
MoPi – New York – William Vale, Wythe Avenue, 55 - www.themuseumofpizza.org
a cura di Livia Montagnoli