La ripartenza secondo Antonello Colonna
Antonello Colonna è il deus ex machina del resort di Labico, nella campagna laziale, che da oltre trent’anni lo colloca tra i protagonisti della scena ristorativa e dell’ospitalità italiana. Ma le sue attività di ristorazione, nel tempo, l’hanno portato anche a Roma, più di recente a Milano, e presto anche a Como. Come stanno andando le cose, con la ripartenza? “Posso dare due ordini di risposte: se parlo per me, le mie attività stanno andando a gonfie vele, e se uso questa espressione non esagero. A nome della categoria, invece, devo dire che le cose non stanno andando come dovrebbero”. È un Antonello Colonna decisamente forte dell’esperienza maturata nel settore e della propria capacità di lettura della realtà quello che si appresta a inaugurare, a settembre, l’ennesimo tassello di un sistema cresciuto nel tempo in modo ponderato, senza fretta, cogliendo con lucidità le opportunità offerte dai diversi contesti. A Labico, dove gli ospiti sono accolti nella tranquillità del resort 5 stelle che porta il suo nome, la ripresa è stata più che positiva: “Non abbiamo riscontrato flessioni rispetto all’anno scorso, e vorrei ben vedere… Le persone in questo momento cercano questo. E infatti azzardo una riflessione più ampia: la provincia sta andando meglio della città, se prendiamo i dintorni di Roma, la zona dei Castelli, il traffico ripartito dal 28 maggio è identico a quello di un anno fa. Il fuoriporta funziona, se provi a prenotare in un fraschetta ad Ariccia, non troverai posto”.
Perché non riaprono i ristoranti in città?
Dunque per le città non c’è scampo? Cosa ne sarà di chi viveva di turismo nei centri storici? Colonna, a Roma come a Milano, è titolare di attività che si trovano in pieno centro città, cui si aggiunge anche il bistrot all’interno dell’aeroporto di Fiumicino: eppure, non appena è stato possibile ricominciare in sicurezza, tutti i suoi ristoranti hanno riaperto. “Anche nelle grandi città osserviamo flussi che privilegiano le periferie o le zone decentrate. Pesa di certo la mancanza del turismo, come pure lo smart working che svuota i quartieri di uffici. Ma guardiamoci intorno: a Milano la Galleria è vuota anche perché i locali sono chiusi, da Chanel a Savini, da Motta a Borsalino. Anche Open Colonna è in piazza Duomo, ho riaperto il 28 maggio, e lavoro. Se Milano non si ferma, ma i primi a fermarsi sono i grandi brand - e non parlo solo della ristorazione - come possiamo pretendere che si riprendano i più piccoli? Anche i grandi hotel, in città, dovrebbero riaprire: e invece sono tutti chiusi! Dobbiamo farci apprezzare dal cliente anche per la scelta coraggiosa che facciamo: stare aperti, ora, è anche un ritorno di immagine per il futuro! Milano, dal punto di vista della socialità, in questo momento sembra tornata indietro di trent’anni”. Eppure, come ribadisce lo chef laziale, gli affari nel ristorante milanese battezzato meno di un anno fa sono ripresi bene: “Possiamo disporre di un bel dehors, lavoriamo con 50 coperti a pranzo e 50 a cena, eravamo partiti bene a ottobre, presentandoci con la nostra identità, che non è fatta sono di romanità, ma di conoscenza profonda della gastronomia. E questo ci premia rispetto ad altri che portano la cucina romana in città”.
Un ristorante al servizio del cliente
Ma c’è anche un’altra considerazione sul piatto della bilancia, non meno importante: “Gli spazi dei nostri ristoranti non devono essere ripensati solo in funzione delle misure di sicurezza, fermo restando che io e i miei colleghi abbiamo sempre lavorato nel rispetto di molte delle regole riproposte oggi, tra l’altro arrivate in ritardo e confuse: io il protocollo anti-Covid lo applicavo anche prima, basta seguire il buon senso da professionisti quali siamo. Però, è fondamentale far sentire bene l’ospite, non lesinare sul servizio, non lasciarlo in spazi che sembrano dismessi o desolati: altrimenti perché dovrebbe pagare la stessa cifra di prima per un’esperienza di cui non può godere a pieno? O riapri con l’immagine di te che tutti conoscono, o è meglio che stai fermo”. Dunque le brigate lavorano a pieno, nessuno dei ragazzi è stato licenziato, e anche alla stazione Termini, nello spazio della piastra servizi sopraelevata dove lo chef ha trasferito il primo nato del brand Open Colonna, tutti gli accorgimenti presi sono serviti a riconquistare da subito la fiducia degli avventori: “Abbiamo riaperto il 22 giugno, anche perché ce lo ha chiesto Grandi Stazioni. Tutti gli altri si sono mossi con ritardo, a partire dal 1 luglio. Quindi abbiamo subito catalizzato l’attenzione, considerando anche che il nostro pubblico di riferimento non sono i pendolari, ma i clienti che già ci conoscevano al Palazzo delle Esposizioni: dipendenti di banche, professionisti, ministeriali. Ma nulla succede per caso, bisogna sempre studiare il contesto per capire come orientare l’attività”.
Antonello Colonna a Como: apre Opificio
Non a caso, anche la novità imminente, che prenderà forma nel centro di Como a partire dal 14 settembre, è frutto di un ragionamento calibrato, e a lungo raggio: “Como non era prevista in quanto tale, ma faceva parte di una visione che avevo già in testa quando ho scelto Milano per espandere il brand Open Colonna, e non Firenze o Napoli, per esempio. Sapevo che Milano è il confine dell’Europa, e non solo geograficamente, per quel che riguarda i centri finanziari della Svizzera, ma anche per le strette relazioni con Londra, Parigi, e le principali capitali europee. Insomma, è il posto giusto per captare nuove opportunità: se metti le reti nel Pacifico, lo fai per prendere i pesci grossi. E infatti le proposte sono arrivate”. Si parte con Como, dunque, ma questo non esclude ulteriori espansioni future. Di certo, l’Opificio che aprirà all’interno di un ex setificio, bell’esempio di archeologia industriale, segna l’inizio di una nuova strategia commerciale, che porta a rimodulare le attività del gruppo intorno a tre brand (più uno, potenzialmente declinabile all’infinito) diversi e complementari: “C’è l’Antonello Colonna del quartier generale di Labico, con la sua maison; poi c’è la linea pret à porter che è Open Colonna, per ora solo a Milano; e l’Open Colonna Bistrot, alla stazione Termini e all’aeroporto di Fiumicino, eventualmente replicabile in altri contesti analoghi, come City Life. Invece Opificio è innovativo, perché è il mio primo brand monomarca, resterà unico e darà il là a nuovi progetti, pensati ognuno con la propria personalità, nel contesto di riferimento”. Nello specifico, a Como, il vecchio opificio Fisac evidenzia un legame forte con la storia della città: “Ho scelto il centro, e non il lago, per dare un messaggio chiaro. Colonna non aprirà mai sul litorale di Anzio, né sul lungolago. Mi interessa inserirmi nel tessuto cittadino, risollevare anche il panorama gastronomico della città, ovviamente entrando in punta di piedi: mi porto dietro una cultura che non è solo cacio e pepe, ma anche la capacità di imparare dal territorio e dalla sua storia. Serve serietà per approcciare un nuovo progetto”.
Il pesce di lago, la storia della cucina locale, la romanità. Il menu
Anche il logo, un gelso, rimanda alla storica filiera della seta comasca. Opificio sarà pizzeria, trattoria/bistrot, lounge bar, in un unico spazio di recupero industriale, che presenterà anche elementi scenografici di grande modernità, come un imponente videowall a parete, per proiettare immagini a tema, e musica, “selezionata con criterio”. Il target di riferimento? “Ragazzi dai 18 ai 70 anni, com’è ormai vero per tutti i miei locali, anche a Labico, dove siamo riusciti ad abbracciare tutte le generazioni. Saremo aperti dalle 18 alle 2 di notte, con la cucina aperta fino a tardi, e un’offerta fluida, su un menu in cui coesistono più spunti”. Ci saranno i Romanissimi, dunque: amatriciana, cacio e pepe, carbonara, gricia. Ma soprattutto un bel lavoro sul lago, con la valorizzazione del pesce locale in chiave personale, come dimostra l’insalata di lavarello, con misticanza e olive di Gaeta, o i filetti di pesce persico, serviti con puntarelle e sagrigiola (timo). Ma non mancheranno la casseoula di verdure e salsiccia, i formaggi della Valsassina e i salumi della Brianza, la polenta di mais servita con carni rosse, lumache o funghi. Il lavoro di ricerca, insomma, ha dato adito a divertenti giochi sui gusti caratteristici di prodotti meno conosciuti, come il missoltino, “un pesce che ricorda un po’ l’aringa affumicata, molto saporito e gustoso, che quindi useremo per realizzare una grande pasta burro e alici, ma senza alici: bucatini burro e missoltino”. E anche sui dolci si gioca in casa, con ricette della tradizione popolare e tanti ingredienti di recupero, spaziando dal Masigott al Pan Meino di San Giorgio, alla Resca. Immancabili i maritozzi con la panna e la crostata di ricotta e visciole. “Offriremo un salotto nel centro di Como, per stare bene, rilassati”. E al lavoro ci saranno tutti ragazzi che già conoscono il posto, “i dipendenti della precedente attività, che ora sto formando a Labico”.
Insomma, Antonello Colonna procede spedito, tanto da lasciarci con l’ennesimo colpo di scena: “E se prima della fine dell’anno ci fosse in serbo un’altra sorpresa a Milano?”.
a cura di Livia Montagnoli