Il fragolino del nonno, la passione per Giorgione e l’invasione del Prosecco. Le confessioni (culinarie) di Andrea Pennacchi

13 Feb 2025, 17:39 | a cura di
Il Pojana prende in giro il sistema del vino fatto di grandi nomi e storytelling: "Ma va bene così. Preferisco la sofisticatezza alla sofisticazione"

«Prima dell’intervista posso chiedervi un favore? Voglio assolutamente conoscere Giorgione, sono un suo grandissimo fan. Magari potremmo fare uno spettacolo assieme a teatro». Comincia così questa chiacchierata con l’attore Andrea Pennacchi, in arte il Pojana.
Noto al grande pubblico per i suoi monologhi sprezzanti del venerdì sera a Propaganda live, Pennacchi nella realtà è l’opposto del suo rustico personaggio televisivo. In queste settimane sta portando in giro per i teatri italiani il suo Arlecchino?, ma dove lo incontriamo – a Verona – è stato super applaudito per un irriverente spettacolo dal titolo Amarone, epopea in Valpolicella all’interno dei festeggiamenti per i cento anni del Consorzio dei vini della Valpolicella. Tra aneddoti personali e ricordi al metanolo, ci ha messo dentro anche la storia del produttore Giuseppe Quintarelli, che mise a bada perfino i messi di Putin arrivati a comprare le sue bottiglie di Amarone: «Gliene diede solo dieci e da pagare subito: in contanti», rivela l’attore.

Se il suo Pojana il vino se lo scola nelle peggiori osterie del Veneto, Pennacchi il vino lo apprezza anche per i suoi aspetti culturali. Così può anche permettersi di prenderlo un po’ in giro, per i suoi risvolti più modaioli tra filari di Prosecco piantati in ogni dove, storytelling a profusione e narrazioni epiche di vini ottenuti da macerazioni spontanee senza controllo della temperatura e volatili spinte.

Mi rivolgo a Pennacchi, l’attore veneto da sempre frequentatore di osterie: il vino oggi è diventato davvero troppo fighetto?

Beh, il rischio c’è, però teniamo conto da dove arriviamo. Una volta c’era la distinzione tra cibo da ricchi e da poveri, ma oggi, grazie all’attenzione generale alla qualità, il vino buono lo compra anche chi non ha grandi possibilità economiche. E poi, ad essere sincero preferisco il rischio “infighettamento” a quello del metanolo.

Il periodo più buio della storia del vino italiano. Come se lo ricorda?

Lo ricordo molto bene. Allora il metanolo era soluzione per sistemare il vino contadino, per farlo conservare di più. La distinzione era tra vino al metanolo e vino… con più metanolo.

Quindi era proprio una prassi molto usata e conosciuta?

Eh sì. Da una piccola aggiunta tollerata, qualcuno ci prese troppo la mano e si finì a chi nel vino non ci metteva manco l’uva. Quindi meglio un eccesso di cultura del bere, che a volte fa ridere nella sua sofisticatezza che la sofisticazione vera.

Sofisticatezza batte sofisticazione, quindi. Ma lo storytelling serve per comunicare un vino o è solo per fare gli schèi, come dite da queste parti?

Serve, serve. Col lavoro che faccio io, non posso che essere a favore dello storytelling. Ma come in tutto serve misura. Se vado in un ristorante e trovo persone come il vostro Giorgione, che fanno il loro storytelling sincero, allora apprezzo di più il cibo, come insegna Goldoni. Se vado al ristorante dove tutto è solo racconto più o meno magniloquente e il piatto è insignificante, allora non funziona. Serve misura: lo dice anche Omero, che è il padre dello storytelling. Misura e sincerità, proprio come a teatro.

A proposito di misura: il vino fa davvero male o si sta esagerando anche con questa narrazione?

Cercherò di essere misurato anche nella risposta. Se il medico mi dice che il vino mi fa male io gli credo. Però è vero che non si può ridurre tutto solo ad una questione di chimica. Il vino è alla base della nostra cultura che ci permette di essere quello che siamo. Non è troppo diverso da altre cose o cibi o medicine che hanno effetti cancerogeni, ma restano alla base della nostra società. L’uomo da nomade è diventato stanziale; si è fermato non solo per fare agricoltura, ma anche per fare il vino. E del vino ne ha, poi, fatto una religione. Non possiamo, oggi, ridurlo solo ai danni chimici. La via di mezzo è sottile: è un attimo esagerare da un lato o dall’altro.

etilometro

Visto che parla di misure… Andrea Pennacchi quanto beve al giorno?

Ho avuto un periodo in cui ho bevuto molto. Ora sono abbastanza morigerato.

Se dovessimo misurare questa morigeratezza in numero calici?

Dai, mediamente un calice a pasto. Meglio se a pranzo perché la sera con gli spettacoli meglio evitare.

Prova dell’etilometro superata. Ma ha un suo vino del cuore?

Dipende cosa intendiamo per vino del cuore. Mio nonno aveva delle vigne di fragolino da cui veniva un vino, diciamo "naturale", ma non nell’accezione di oggi. Ecco, quel fragolino è la mia madeleine proustiana, anche se non era così buono e oggi probabilmente neanche non lo berrei. Se, invece, parliamo di un vino che mi piace direi il Lagrein: un vino fresco, acido, che soprattutto negli ultimi tempi sto apprezzando a fondo.

amarone

L’opposto dell’Amarone…

L’Amarone però mi piace molto. Un tempo, se da queste parti dicevi Amarone tutti facevano la faccia come a dire, il nostro re: sontuosoooo (con a stirata, ndr). Si sente che nasce da un saper fare, guadagnato nel tempo, dalla sapienza, la fatica, la fortuna, le preghiere e anche... le bestemmie. Però, oltre ai grandi personaggi di chi lo inventò, mi piace pensare a tutta quella gente senza un nome, che il vino lo ha fatto: i contadini. Perché, come dice Brecht, “Tebe dalle sette porte, chi la costruì? Ci sono i nomi dei re, dentro i libri”.

Oggi, però, a fare i libri e la storia vitivinicola, c’è soprattutto un altro prodotto di questa terra: il Prosecco. Che nel suo monologo sul vino ha preso un po’ in giro, parlando di vigneti che ormai si trovano anche nelle rotonde delle strade. Si sta davvero esagerando con gli impianti?

Si scherza, su. Certo di Prosecco ce n’è tanto, però chi sono io per dirlo? Oggi è una fortuna che si sia riusciti a portarlo in giro per il mondo e a fare milioni. Anche in questo caso, bisogna darsi un limite. Da appassionato di etologia, dico che l’importante è non prosciugare il territorio.

Fin quando non si vendemmia alle rotonde delle strade va tutto bene, insomma. Ma lei lo beve il Prosecco?

Se devo essere sincero, apprezzo di più il metodo classico trentino. Eh lo so: da Veneto potrei risultare un traditore.

Neppure lo Spritz?

Ah, quello sì ogni tanto. Ma solo Campari. L’Aperol lo trovo troppo dolce (doppiamente traditore). Da bambino vedevo gli anziani che bevevano lo Spritz alla vecchia maniera, quello fatto con l’ombra di vino bianco, e pensavo “guarda che roba da vecchi. Noi lo Spritz non lo berremo mai”. E, invece… la tradizione ritorna sempre.

Una tradizione un po’ infighettata come si diceva sopra. Cosa ne penserebbe il Pojana di questa devianza? Lui lo Spritz lo beve?

Il Pojana? Il Pojana si beve di tutto: pure il vino col metanolo. Ma ad una condizione: che sia pagato in nero.

 

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