Con la paralisi poco meno che globale di tutte le attività di ristorazione, anche gli chef più noti hanno di che riflettere. Perché quello che succederà nel prossimo futuro riguarda anche loro, ora chiamati a rassicurare un numero cospicuo di dipendenti, mentre la clientela internazionale che abitualmente frequenta i ristoranti fine dining rischia di far mancare il proprio appoggio per molti mesi a venire. Tra i primi a pronunciarsi sulla situazione, senza troppi giri di parole, è stato David Chang. Del suo ragionamento abbiamo ripreso i punti cardine, perché fossero utili a stimolare ulteriori riflessioni. Dalla Spagna (dove 16 grandi chef, da Adrià a Dani Garcia, a Martin Berasategui, hanno recentemente lanciato un appello congiunto al governo raccolto dalla rivista Sobremesa in un video), invece, si fanno sentire due degli attori più influenti dell’alta ristorazione iberica.
Andoni Luis Aduriz sulla crisi della ristorazione
Andoni Luis Aduriz, chef patron del Mugaritz di Bilbao, interpellato da El Pais per Icon, si carica in questo gioco delle parti del ruolo – che gli si addice - di veterano e saggio del settore, anche in veste di presidente dell’associazione internazionale EuroToques. La sua è una visione globale, che non può non tenere conto della vocazione internazionale di un ristorante come il Mugaritz: “Non ha senso per me riaprire il ristorante se non posso contare sul mio pubblico naturale, che arriva da oltre 70 Paesi nel mondo, dunque non conta solo quando potremo riaprire noi”, spiega lo chef basco, pur certo che quando la situazione tornerà alla normalità si farà presto a dimenticare, e tutti vorranno tornare a mangiare fuori ("non credo che il nostro settore soffrirà il cambiamento radicale di cui parlano alcuni, perché siamo portati alla socialità, le persone torneranno a frequentare i ristoranti"). "E noi cercheremo di assecondare le nuove necessità con la creatività che è proprio del Mugaritza. Quel che è certo è che il Mugaritz non cambierà", afferma deciso. Nel frattempo però, Aduriz non ha dubbi sui danni irreparabili che la crisi sarà capace di assestare al settore: “Il 20% delle attività è destinato a chiudere per sempre. E quel che più mi spaventa è che non saranno necessariamente le insegne di minor qualità a sparire, ma i progetti più recenti, quelli guidati dai giovani. Le crisi ti rubano un pezzo di futuro, questo è il dato più drammatico”.
L’importanza di sostenere la filiera produttiva
Al momento, però, gli sforzi devono concentrarsi sulla sopravvivenza dell’intera catena: “Se non sosteniamo il settore primario ora, rischiamo di perdere un patrimonio di prodotti e competenze unico”, racconta a riguardo dalla campagna di comunicazione promossa da EuroToques per incentivare il consumo di prodotti freschi di stagione nella cucina di casa. In Catalogna, intanto, anche i fratelli Roca sono al lavoro per immaginare il futuro.
Joan Roca e il valore dell’elasticità
L’intervista a Joan Roca raccolta da Gastroeconomy è incredibilmente fattiva. E l’ottimismo di casa Roca è supportato dall’appoggio di una clientela (internazionale e non) che non sembra aver perso l’entusiasmo di frequentare uno dei ristoranti più celebrati al mondo. Lo scorso 1 aprile, all’apertura delle prenotazioni per il mese di marzo 2021, il calendario del Celler de Can Roca è andato sold out in 10 minuti: “Ci sembrava incredibile che in una situazione del genere tante persone avessero lo spirito giusto, allo scoccare della mezzanotte, per pensare di assicurarsi un tavolo al nostro ristorante, il prossimo anno”. Eppure così è stato, e in attesa che il governo spagnolo sappia indicare tempi e modalità per la riapertura dei ristoranti (“la nostra priorità ora, come settore, è essere informati, disporre di tutti i dettagli per poter ripartire in piena sicurezza, trasmettendo fiducia ai nostri clienti”), anche il mese di luglio, al ristorante di Girona, è completo. La ripresa, però, sarà subordinata a una grande dose di elasticità: “Almeno fino al prossimo gennaio non possiamo sperare di recuperare per intero la normalità; sarà fondamentale adattarsi e poter contare sulla flessibilità di tutti, cominciando dai proprietari dei locali”. Ma spetterà soprattutto ai ristoratori trovare soluzioni di compromesso accettabili.
Nuovi progetti per ripartire
Per garantire il lavoro agli oltre 140 dipendenti del gruppo, per esempio, l’idea è innanzitutto quella di ripensare turni di lavoro e aperture del ristorante, destinato sì a ridurre il numero di coperti per favorire il distanziamento, ma in grado di lavorare nei giorni finora destinati al riposo settimanale o durante il periodo di chiusura estiva, grazie alla rotazione del personale. Parte della squadra, poi, potrà dedicarsi al lancio di un nuovo progetto, nello spazio di Mas Marroch, concept finora riservato agli eventi, che i Roca hanno intenzione di ripensare come ristorante di cucina tradizionale, a metà strada tra l’informalità di Can Roca e il fine dining del Celler: “Avviare un progetto ora è un modo per infondere ottimismo alla squadra, a chi ci sta intorno e per lanciare un messaggio al nostro settore”. Per ogni attività del gruppo – da Rocambolesc alla nuovissima Casa Cacao – del resto, i fratelli Roca stanno progettando al meglio delle possibilità un futuro per ripartire assorbendo il colpo, forti di una situazione finanziaria solida. Ma una visione lucida e la consapevolezza nei propri mezzi saranno gli strumenti più utili per ripartire. E l’intervista raccolta da Marta Fernandez Guadano è ricca di tanti altri spunti.