Il futuro è delle proteine vegetali?
Un summit a Bruxelles, organizzato dall’Università di Copenaghen, per tracciare le prospettive future del cibo. E la necessità di individuare alimenti alternativi più sostenibili. I surrogati della carne (e così dei suoi derivati, di latte, uova, persino pesce) sono il business del momento. Il 2019 si è chiuso con fatturati più che lusinghieri per le realtà americane che prima degli altri hanno fiutato l’affare, impegnandosi in una ricerca seria e paziente (aprendo la strada all’industria tradizionale, che ora inizia a intraprendere nuovi modelli di business sostenibili, ed economicamente redditizi). Non a caso hamburger e crocchette di pollo marchiati Impossible Burger o Beyond Meat hanno conquistato anche le più celebri catene di fast food, in una sfida a dotarsi di prodotti alternativi dedicati ai consumatori vegani, ma non solo. L’obiettivo primario della carne “confezionata” in laboratorio a partire da proteine vegetali, infatti, non è tanto quello di accontentare i consumatori che hanno operato una scelta di vita cruelty free; piuttosto si cerca di disegnare un futuro, non troppo lontano, in cui le produzioni alimentari possano ridurre al minimo il proprio impatto ambientale. E sappiamo che gli allevamenti, specie quelli intensivi che riforniscono l’industria globale della carne, sono tra le principali cause di sfruttamento delle risorse ambientali (in termini di acqua ed energia utilizzate e suolo impoverito).
Protein2Food. La sperimentazione dell’UE
Se finora il gioco è stato condotto oltreoceano, soprattutto nell’area californiana dei grandi centri di ricerca all’avanguardia, anche l’Europa comincia a muoversi per contribuire al buon esito della partita. Protein2Food è il progetto comunitario che vede collaborare i ricercatori di diversi Stati membri dell’UE - Italia compresa, con il CNR – nel produrre alimenti innovativi ad alto contenuto proteico a partire da legumi e varietà vegetali selezionate, come quinoa e amaranto. Mettendo in campo competenze multidisciplinari: genetica, agronomia, tecnologia alimentare, innovazione digitale, ma anche valutazioni socio-economiche e antropologiche. E il summit di Bruxelles, terminato qualche giorno fa, è servito a dimostrare che il lavoro procede nella giusta direzione. Tra i primi risultati, la scoperta di due nuove varietà di quinoa, a maggior contenuto proteico, e la scoperta che il 70% del suolo agricolo d’Europa è adatto per la sua coltivazione; ma anche un primo successo per lo sviluppo di processi produttivi più sostenibili per estrarre gli isolati proteici di lenticchie, fave e lupini, da utilizzare per la produzione di alimenti plant based. In questo senso si lavora molto non solo sull’incremento del contenuto nutrizionale, ma anche sul miglioramento del gusto.
La bistecca vegetale di Novameat
L'Italia è ben rappresentata. Il caso più celebre è quello del bioingegnere italiano Giuseppe Scionti, che però ha scelto di dare vita alla sua startup sul suolo spagnolo, presso il Politecnico di Barcellona. Novameat è nata nel 2018, ed entro il 2021 proporrà al mercato un prodotto ancora non presentato ai consumatori, neppure in America: una bistecca vegetale realizzata grazie a stampanti 3D a partire da fibre simil-muscolari unite a fibre di grasso e stampate insieme. Il processo è all’avanguardia, ed è stato brevettato col nome di microestrusione (ma lavora in modo analogo anche l’israeliana Redefine Meat). Il risultato, dice chi ha provato il prodotto, è simile per consistenza a un muscolo bovino. Mentre sul sapore si sta ancora lavorando, per renderlo gradevole e assimilabile a quello di una comune bistecca. Il prezzo di mercato sarebbe peraltro analogo a quello della carne bovina: entro il 2021, infatti, Novameat prevede di realizzare un impianto pilota capace di produrre 5 bistecche all’ora, vendendo al contempo il brevetto ad aziende capaci di personalizzare il prodotto, nell’ottica di diventare un brand globale.