Amarcord Montepulciano d'Abruzzo: 50 anni di Doc

30 Apr 2018, 08:33 | a cura di

Un anniversario importante per la denominazione abruzzese, che festeggerà per tutto l'anno la sua storia, dalle origini agli esiti di un cambiamento che l'ha portata a farsi conoscere nel mondo. Il racconto attraverso i suoi protagonisti. 


 

Le radici del futuro

Lo tiene stretto tra le mani come fosse un neonato appena venuto al mondo, ma a guardar bene sull'etichetta, sotto la coltre di polvere, fa capolino l'aggettivo “Vecchio”. Montepulciano d'Abruzzo Vecchio. Scritto su tre righe, in rosso. E a margine, il vero motivo di vanto: Vino a denominazione d'origine controllata. Non si usavano, allora, gli acronimi che oggi vanno tanto di moda.

È una bottiglia del 1968” ci dice soddisfatto Valentino Di Campli, presidente del Consorzio Vini d'Abruzzo che, con quel trofeo tra le mani, a Vinitaly, fa il giro dello stand abruzzese. Sono passati 50 anni da quando, quello che oggi è uno dei vini più conosciuti nel mondo – nel 2017 è stato anche il terzo vino più venduto in Gdo, secondo Vinitaly-Iri – ha ottenuto la Doc. “Mezzo secolo che non è trascorso invano” continua Di Campli “questi 50 anni sono la certificazione di un grande vino. Ma i prossimi 50, dovranno essere affrontati con ancora maggiore responsabilità: oggi il vitigno Montepulciano d'Abruzzo è molto conosciuto sia in Italia sia all'estero, adesso bisogna colmare il gap e far conoscere allo stesso modo il nostro Abruzzo”.

Festeggiare l'anniversario del riconoscimento è un po' come celebrare il passaggio del testimone da una generazione all'altra, dove il testimone è proprio quella bottiglia che, a 50 anni di distanza, ha ancora tanto da raccontare. E a questa festa ci sono tutti: chi ha visto nascere quel vino, chi ci è cresciuto assieme e chi, invece, ne raccoglie l'eredità, con il compito di accompagnarlo nel cammino dei prossimi 50 anni.

 

Le leggende

Una festa, dicevamo. Una festa che durerà tutto l'anno e che a Verona - nell'incontro Montepulciano d'Abruzzo-Le radici del futuro, organizzato dal Movimento Turismo del Vino Abruzzo e fortemente voluto dal neopresidente nazionale Mtv Nicola D'Auria, in collaborazione con il Consorzio - ha ripercorso tutta la storia del cinquantenario attraverso i testimoni diretti: produttori e vini di allora, pronti, ancora oggi, a dare il meglio. Perché, si sa, la regola del tempo non vale solo per i vini: con gli anni anche i ricordi migliorano, acquistano più spessore, fino a diventare leggenda.

Come leggenda è ormai Emidio Pepe, una delle colonne della denominazione. Un cinquantenario senza di lui non avrebbe senso: “Io, in questo vino, ci ho creduto da sempre” dice, mettendo in moto la macchina del tempo“Ricordo che nel 1964 il nostro Montepulciano partecipò ad un'esposizione di vini in Usa. Io ero troppo piccolo allora, e così non vollero portarmi, ma non mi scoraggiai: sette giorni dopo ero a New York sulla Settima Avenue. Avevo con me sei bottiglie del mio vino che proposi ad una pizzeria napoletana: ecco, avevo trovato il mio importatore”. Il primo di tanti: oggi i vini Pepe sono i più presenti nella ristorazione americana, e viaggiano a prezzi stellari nelle maggiori aste internazionali. È una fucina di ricordi Pepe, che ha ancora negli occhi la competizione alla cieca, sempre in America, a Chicago, del 1979: “Vinsi su tutti, compresi Brunello e Barolo tra i più quotati”. E allora il Montepulciano d'Abruzzo non era di certo un vino alla ribalta internazionale.

Accanto a Pepe, c'è un altro pezzo di storia abruzzese: Dino Illuminati, uno splendido 87enne che probabilmente, proprio al Montepulciano d'Abruzzo deve il segreto della sua “eterna giovinezza”: “A me sembra di non aver mai lavorato, perché mi sono divertito tantissimo in questi anni. Ricordo che nel '62 il mio enologo Daniele Spinelli mi disse: 'questo vino è un grande vino, ma non sappiamo se avrà una lunga durata'. Oggi, a 50 anni di distanza, degustiamo ancora le prime bottiglie prodotte: meglio di un Barolo”.

Ricorda questi 50 anni anche il barone Piero Cornacchia, che custodisce un autentico tesoro vitivinicolo:“Mio nonno conservò e ci tramandò il clone R7 del Montepulciano d'Abruzzo, a conferma di quanto la nostra zona di produzione fosse una zona di eccellenza”. L'R7 è, infatti, il biotipo teramano (1969), utilizzato nel resto della regione Abruzzo per i nuovi impianti.

Tra i tanti nomi di spicco, un posto particolare occupa Cantina Tollo, la cooperativa vitivinicola più datata della denominazione (il primo imbottigliamento risale al 1970): “L'esperienza cooperativa” dice il presidente Tonino Vernaha dato un valore aggiunto alla denominazione, facendo massa critica attorno al Montepulciano d'Abruzzo, ma mantenendo allo stesso tempo alta la qualità”.

 

Il promotore

E, in mezzo a tanti produttori, c'è anche Domenico Arlini. Un nome che non è associato a nessuna etichetta in particolare, ma allo stesso tempo lo è a tutte. Arlini, infatti, non è un produttore, ma è il nipote di quel Massimo Arlini che negli anni '60 era il responsabile del settore oli e vini di Federconsorzi e che, non appena il Ministero lo permise, fu il promotore del progetto della Doc Montepulciano d'Abruzzo. “Ho vissuto il momento in cui la denominazione stava per nascere. Ero piccolo e probabilmente non capivo la portata della cosa. In famiglia sentivo parlare di questa rivoluzione, con mio zio Massimo che continuava a ripetere quanto fosse necessario arrivare a questo riconoscimento. Era il 1968. Oggi il Montepulciano è un vino simbolo del territorio anche grazie a quel riconoscimento. Ma per me rimane sempre il vino di casa”.

 

La memoria storica

A fare da collante tra la generazione di allora e quella futura c'è Francesco Paolo Valentini, che ricorda le origini storiche della denominazione, ancora prima di quel fatidico '68. “L'arrivo di questo vitigno nel nostro territorio risale probabilmente alla famiglia dei Medici, che dalla Toscana venne in Abruzzo e, secondo le fonti, introdusse i primi cloni di Montepulciano. Vitigno che, poi, ha finito per assumere la forma del “contenitore”, ovvero del nostro microclima e della nostra terra”. E qui si spiega la storica differenza tra quel Nobile di Montepulciano toscano che indica solo il territorio (il vitigno è Sangiovese) e il Montepulciano d'Abruzzo che, invece, si riferisce al vitigno: stessa provenienza, ma caratteristiche ben differenti. Dalla seconda parte dell''800 la storia di questo vitigno si intreccia a quella della famiglia Valentini, che continua a rappresentarne la memoria storica: “Si parla di Montepulciano d'Abruzzo già nei quaderni di campagna del mio trisnonno, datati 1880. Poi, nel 1968 fu proprio mio padre Edoardo a recarsi alla Commissione di Roma – la partita era troppo importante e non si fidava del sistema dei trasporti – per portare i campioni che avrebbero dato il via all'avventura della Doc”.

 

La continuità

Parlare di questi 50 anni è anche un modo per stappare i ricordi tramandati di generazione in generazione, come quelli di Alice Pietrantoj, che racconta del suo trisavolo, partito per il Veneto a fine Ottocento e che, nel 1889, conseguì il titolo di enologo (il primo in Abruzzo) presso la Regia Scuola di Conegliano Veneto.

È legata a doppio filo al Montepulciano d'Abruzzo anche la storia personale di Stefania Bosco, che in comune con la Doc ha anche l'anno di nascita: “Dobbiamo tutto ai nostri padri e ai nostri nonni che sono stati i pionieri del successo di Montepulciano nel mondo, dando lustro a questo vino e portandolo nelle prime fiere all'estero”.

 

Le giovani generazioni

Ne è consapevole il giovane Federico De Cerchio, che si augura di essere all'altezza del compito che l'attende, quello di continuare la tradizione di famiglia. “Spero” dice “di poter smentire il detto popolare, secondo cui la prima generazione crea, la seconda mantiene, la terza distrugge”. Ma lui,Federico più che distruggere, sta diversificando, tanto che a meno di 35 anni di ritrova ceo della quotata start-up di ec-commerce Wineowine. Un'altra faccia di questa terra d'Abruzzo che ha ancora tanto da dire (We are. d'Abruzzo, recita il claim della nuova campagna pubblicitaria, ponendo l'accento proprio sull'apostrofo e sulla forte appartenenza regionale).

A chiudere questo passaggio generazionale, non può esserci immagine migliore di quella proposta da Gabriele Valentini, la nuovissima leva della famiglia Valentini “Oggi guardo tutto quello che ci è stato lasciato da chi ci ha preceduti: il vigneto è sempre là, le bottiglie ci sono ancora, alcune botti sono rimaste le stesse, i terreni anche. Siamo solo noi ad essere di passaggio”.

 

a cura di Loredana Sottile

 

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram