Come ti rendo l’alta cucina sostenibile. Il lusso che (finalmente) si sporca le mani

4 Mar 2025, 10:52 | a cura di
Biodiversità, attenzione ai lavoratori e alle comunità locali e alla tradizione culinaria, brigate inclusive: i plutocrati guardano a destra ma l’associazione nata in Francia nel 1954 si impegna con Unesco tramite azioni derivate dalle esperienze dei suoi associati

Asili per accogliere i bambini in età prescolare, in Sri Lanka. Un borgo ristrutturato dagli artigiani locali con all’interno un mercato contadino, in Umbria, un orto e aia felici che coinvolgono nel lavoro ragazzi con disabilità dando loro una professionalità da poter spendere, in Toscana. Un laboratorio di agricoltura biodinamica e permacultura con 1500 varietà di vegetali, in Costa Azzurra. Una fondazione che offre ai bambini della comunità locale l'accesso alla scuola, all'assistenza sanitaria e a un ambiente sicuro in cui crescere, in Perù. 

Non è la lista dei progetti di qualche ong ma sono le azioni intraprese da alcuni dei resort di lusso che fanno parte dell'associazione Relais & Châteaux.

 

Lusso e natura, un ossimoro?

Può il lusso essere sostenibile, in cucina e nell’hotellerie? Domanda spinosa, con il greenwashing che fa capolino dietro l’angolo. Perché a parole sono tutti sostenibili, pure le multinazionali del petrolio, ma troppo spesso i fatti smentiscono questo afflato bucolico, verde ed ecumenico.

Dichiarare quindi di voler lavorare a “un mondo migliore attraverso la cucina e l’ospitalità” è una dichiarazione impegnativa, forse velleitaria e pure un po’ generica. Ma a parlare sono le storie e gli impegni degli associati, che già nel 2014 avevano stilato un Manifesto di buoni propositi scandito da 12 impegni per la sostenibilità.

L’alleanza con Unesco, firmata nel 2024, nasce invece da una consapevolezza comune: dall’alimentazione e dall’agricoltura, dall’interazione tra cibo, salute e ambiente passa il futuro del nostro pianeta, dell’ambiente e della biodiversità sotto attacco. 

“È una collaborazione che si inserisce nell’ambito degli impegni dell’UNESCO a livello mondiale nella ricerca di sinergie nuove e più efficaci tra organismi internazionali e società civile” ha detto Audrey Azoulay, Direttrice generale UNESCO.

 

La sostenibilità conta tanto quanto qualità e accoglienza

Il Manifesto del 2014 resta valido ma nel 2024 si è iniziato a puntare sull’operatività con linee guida, fatti, dati che certifichino l’impegno di una attività in armonia con il pianeta, lungo tre punti chiave: l’attenzione alla tradizione culinaria, ovvero «quando guardo un piatto voglio poter capire in che parte del mondo siamo» ha spiegato Lars Seifert, Direttore della Comunicazione in un evento tenutosi a Milano. Poi l’attenzione alla biodiversità e alla biosfera, che nella scelta di quello che c’è da mettere nel piatto è forte responsabilità di ogni chef. Infine, il “lato umano”, ovvero il benessere dei dipendenti e la volontà di includere tutti nei progetti, in maniera proattiva. 

Caso eclatante Sol y Luna, progetto sociale che ha aperto un resort con ristorante fine dining per finanziare la fondazione dallo stesso nome, impegnata in progetti a sostegno della comunità locale nella valle sacra degli Incas, in Perù.

Punto chiave è la diversità di esperienze, ambienti, approcci, considerata una forza e risorsa per gli altri. 

«Siamo una famiglia e impariamo uno dall’altro, adattandoci alle esigenze locali. Da qui viene l’idea della sustainability committment con sette rappresentanti da tutto il mondo che si occupano di uno specifico tema, portando la loro esperienza in campo e i loro esperti per giungere a suggerire pratiche concrete” ha detto Vittoria Ferragamo, membro della Commissione per l’agricoltura biologica e l’energia rinnovabile e proprietaria de Il Borro, che racconta l’impegno a rigenerare l’ecosistema naturale intorno alla struttura grazie alla tutela di 1200 ettari di bosco, a un percorso di decarbonizzazione e al lavoro con le energie rinnovabili e il riutilizzo delel acque.

 

L’impegno di Aimo e Nadia 

Già si sapeva ma lo ricorda Stefania Moroni come Aimo e Nadia, storico ristorante stellato milanese, sia partito, negli anni ’60 ovvero in tempi tutt’affatto sospetti, proprio dall’attenzione ai territori e all’origine delle materie prime, tra i primi in Italia.

Il corso intrapreso nel nuovo millennio con gli chef Alessandro Negrini e Fabio Pisani subentrati a Nadia in cucina e l’apertura di due altri locali a Milano, comprende qualcosa di più.

Il perché lo spiega la CEO, figlia dei fondatori: «All’interno dell’associazione, ciascuno di noi trova il modo di declinare i temi del manifesto. È l’attualità che ce lo chiede, e chi ha la possibilità economica ma anche culturale per comprendere che dobbiamo lavorare su ciò».

La prossima sfida del ristorante riguarda il lato umano (non sempre tale, vedi le mille storie di cucine tossiche raccontate da protagonisti a anche innumerevoli film e serie tv) della ristorazione. «Ci interessa avere un modello lavorativo inclusivo e non è un caso se il Gruppo Aimo e Nadia è la prima realtà ristorativa in Italia che ha ottenuto la Certificazione per la Parità di Genere nel 2023-24, riconfermata nel 2024-25. È la punta dell’iceberg di un lavoro sull’inclusività, che significa creare un ambiente che accoglie le differenze, offrire una possibilità di lavoro a tutti, valorizzare differenze e diversità all’interno del team».

È rivolta ai giovani e al domani la formazione interna «e c’è la seconda edizione del Premio Aimo e Nadia per i Giovani, che quest’anno si terrà ancora in Puglia, a marzo: un progetto che valorizza il tema della formazione continua a partire dalle nuove generazioni, coinvolgendo e incoraggiando gli studenti degli Istituti Alberghieri, contribuendo a formare una nuova generazione di professionisti del settore verso un’educazione alimentare che promuove il territorio italiano e incentiva un futuro più sostenibile». 

Il premio coinvolgerà delle squadre di due studenti, una di cucina e una sala. Il premio? Ça va sans dire, è la formazione, da Aimo e Nadia e in altri ristoranti di haute cuisine.

 

A fine mese primo resort in Basilicata

L’Associazione che raccoglie strutture private di charme è nata in Francia nel 1954 come Relais de Campagne con otto proprietà sulla Route du Bonheur tra Parigi e Nizza. Oggi conta 580 strutture in 65 Paesi di cui 51 in Italia (43 hotel e sette ristoranti senza camere) che assommano 37 stelle Michelin e 7 stelle verdi. L’ultimo arrivato, il primo in Basilicata, che debutterà il 28 marzo è Vetera Matera, un albergo diffuso nei Sassi di Matera, Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco dal 1993. 

La crescita dell’associazione è lenta ma costante perché, ci spiegano, delle 600 richieste che arrivano ogni anno ne vengono accolte una trentina. E c’è anche chi esce, per cambi di proprietà o concept ma anche perché è stato «congedato»: ogni due anni ogni struttura riceve una visita anonima che controlla che sia tutto all’altezza degli alti standard richiesti di ospitalità e accoglienza dall’associazione. E la sostenibilità, sociale e ambientale, fa ormai parte del «pacchetto». 

In fondo, è bello sapere che qualcuno, lassù nel lusso, ancora ci crede, e si impegna.

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