Gerardina Corsano, la 46enne di Ariano Irpino deceduta dopo aver avvertito dolori addominali a seguito di una cena in pizzeria insieme con il marito Angelo Meninno, sembrava l'ultima vittima del botulino. L'ipotesi iniziale però sembra essere stata completamente abbandonata durante l'istruttoria dell'Istituto Superiore di Sanità. In ogni caso, la pericolosità di questa terribile tossina legata alla conservazione di cibi in assenza di ossigeno è sempre in agguato. Anzi. Specialmente nel Sud Italia dove fare conserve e sottoli è una tradizione incrollabile. Sulla questione, così, chiediamo consigli a Peppe Guida, uno dei migliori interpreti della tradizione culinaria del a sud di Roma.
I consigli di Peppe Guida sull’accaduto
“Il fatto che si sia sospettata la presenza del botulino nell’olio al peperoncino mi ha pensare molto. Si tratta di una produzione assai banale e che si può fare anche a casa”. Sono le parole del cuoco di Vico Equense da cui trapela sia preoccupazione, sia voglia di dare consigli. Nonostante infatti sembra del tutto accantonata l'ipotesi botulino come causa del decesso della signora di 46 anni di Avellino, il rischio e l'allarme non devono venire sottovalutati. E c'è un primo accorgimento, basilare e fondamentale: “Per evitare inutili rischi, la regola numero uno è l’acidificazione”.
I rischi delle conserve
“Con il botulino non si scherza. Si rischia grosso”. Ecco il monito del titolare di Antica Osteria Nonna Rosa. Lo chef ricorda infatti come sia importante avere una certa prudenza proprio perché il batterio in questione di solito non lascia alcuna traccia: “E' insidioso, vista la sua tendenza inodore e insapore”.
Non esiste però solo il botulismo. I rischi legati alla conservazione del cibo possono essere anche molti altri. "Sono diverse le problematiche che possono insorgere. Per esempio, si può manifestare la presenza di aria o acqua nel sottovuoto e questo può inficiarne la salubrità. Può capitare di imbattersi in rigonfiamenti o bombature dei contenitori". Lo chef è ancora memore dell’esperienza di qualche anno: "Ho fatto un centinaio di barattoli di tonno sott'olio, ma a un certo punto ho notato delle strane bollicine che non mi convincevano per nulla: erano appena percettibili e si notavano in superficie. Nonostante le mie conoscenze (almeno 60 anni di attività) non ho mai scoperto per quale ragione si sarebbero formate quelle bollicine. Nel dubbio, però, ho buttato tutte le conserve di pesce. Da quel momento, non le preparo più”.
Cose da non fare
Il ristoratore della Penisola Sorrentina poi ci dà una sorta di decalogo degli errori da non commettere: “Non si devono usare ingredienti di scarsa qualità che deperiscono facilmente. Non vanno impiegati alimenti 'freschi' (su tutti aglio e peperoncino): questi debbono quindi perdere la loro acqua e umidità”, la cui presenza potrebbe far proliferare le relative tossine. Considera assurda anche la tendenza a riutilizzare coperchi o guarnizioni già consumate e che fra l’altro, a forza di venire adoperati, rischiano di perdere la loro aderenza al contenitore (“coperchi e guarnizioni devono essere nuovi, sterilizzati e funzionali!”).
In generale, serve massima igiene. In particolare: "E' impensabile fare conserve e sottoli senza le adeguate procedure di acidificazione e pastorizzazione. Inoltre non fate in casa le conserve di tonno o di carne: riescono a eludere le cautele anche dei più navigati ed esperti cucinieri". Come appunto è captato anche a lui.
Come si fa l’olio piccante?
La ricetta dell’olio al peperoncino della famiglia Guida, tramandata da generazioni, prevede che i peperoncini già essiccati vengano frullati, messi sotto sale e poi a riposare una notte nel colapasta. La mattina dopo, tolti dalla salatura, sono immersi integralmente in aceto di vino bianco per almeno un’ora; dopo di che, strizzati e messi sott’olio. In tutti i casi: “Per essere sicuri del prodotto, serve la sua pastorizzazione”. Oltre al fatto che, “il vasetto una volta aperto, va conservato in frigo e consumato in pochi giorni”.
E le altre conserve?
Ovviamente, lo chef campano ci tiene a spiegare come il tempo di pastorizzazione (ovvero la bollitura dei barattoli riempiti volta a creare l’effetto “sottovuoto”) cambi in base all’ingrediente e al tipo di preparazione; gli alimenti hanno infatti strutture organolettiche differenti, per cui la temperatura di ebollizione (100°) raggiunge il cuore di ognuno con tempi diversi: “Per le conserve di pomodoro, il bollore sfiora anche i 25-30 minuti. Per le melanzane invece l’approccio cambia ancora: sono messe prima sotto sale, poi sottoposte a una procedura massiccia di acidificazione totale che va da un minimo di 6 ore fino a un massimo di 10. In seguito, strizzate e messe sott’olio. Qui, l’ebollizione prolungata le farebbe diventare una crema. Nel caso della giardiniera (almeno 5 minuti di pastorizzazione), la sbollentatura delle verdure prevede una soluzione di metà acqua e metà aceto e con circa 17-20 grammi di sale”. Per quanto riguarda le marmellate, invece, poiché lo zucchero funge da conservante naturale, occorre piuttosto prestare attenzione a non abbassarne eccessivamente la percentuale utilizzata. Dato rafforzato dallo chef: “Io, su ogni chilo di frutta, ce ne metto almeno 5-600 grammi”.
A difesa della tradizione
Per quanto dispiaciuto della tragedia consumatasi nell’Avellinese, Peppe Guida continua comunque a schierarsi a favore della tradizione che accompagna le famiglie del Sud da tantissimi anni: “Fin dalla notte dei tempi migliaia di famiglie vivono di questo. Questa usanza è bellissima: le conserve sono un sotterfugio dell’ultimo momento, quando si ha fame e non c’è altro”. Insomma, un costume che andrebbe preservato. Come fosse parte del DNA meridionale. Sempre però con le dovute accortezze; infatti, il rischio di botulino e altre spore in ciascun barattolo dovrebbe essere ogni volta pari a zero.
Vale a dire, tanto per avvalersi della chiarezza inequivocabile di Guida, che “se un amico mi regalasse un barattolo ammaccato e senza etichetta, vantandosi del fatto che questo contiene i migliori pomodori al mondo, ci penserei più di una volta prima di mangiarli”. A difesa della tradizione sì, ma non a costo della vita.