Un artigiano del vetro nel cuore di Modica
Alessandro Di Rosa vive e lavora a Modica, da più di vent'anni artigiano (e artista) del vetro. Col restauro delle vetrate settecentesche, nella città delle 100 chiese, ha iniziato la sua attività. Era il 1995, e da allora molte cose sono cambiate. Il punto di svolta, nel 2007, con la nascita di Thalass, un'idea di vetreria sartoriale che veste il cibo, e oggi molti addetti ai lavori del mondo della ristorazione riconoscono come sinonimo di piatti d'autore per chef altrettanto creativi. Il percorso di Alessandro e del suo laboratorio artistico, però, in un crescendo di stima e apprezzamento per le lavorazioni raffinate del suo catalogo, non è frutto di improvvisazione, né soggetto alle bizze di un estro artistico che galoppa a briglie sciolte. Perché se è vero che la creatività è un aspetto fondamentale del suo approccio al lavoro, altrettanto (se non più) importante è accertarsi che ogni sforzo sia funzionale al risultato finale, un piatto bello e resistente, che non rubi la scena al cibo pur riuscendo a esaltarlo. E soprattutto non esaurisca il suo compito in tavola, ma tenga conto dell'economia generale della gestione di un ristorante, dal servizio al riassetto delle stoviglie, passando per il lavaggio. Tutto questo, Alessandro lo racconta col piglio sincero di chi ancora riesce a stupirsi per le conquiste maturate sul campo, orgoglioso per l'ultimo traguardo raggiunto, con l'inaugurazione del nuovo laboratorio a pochi metri dal centro storico della città, “dove ho sempre sognato di lavorare. Un investimento importante e coraggioso, ho acquistato i locali, chiuso l'attività per due mesi in attesa di riaprire nel nuovo spazio. Con tante aspettative e anche un po' di timore per l'inizio di una nuova avventura”.
Vincenzo Candiano
Il nuovo laboratorio di Thalass
Per fortuna, a qualche settimana dall'apertura, il lavoro è già ripreso a pieno ritmo, “abbiamo ordini che ci impegneranno per diverse settimane a venire, con i ragazzi siamo in 6, una vera realtà artigianale che si prefigge alti standard, e può contare sulla manualità maturata in anni di lavoro”. Da Thalass si lavora con serietà e consapevolezza, senza mai abusare delle energie: “Riusciamo a produrre un centinaio di pezzi al giorno (ci vogliono 48 ore e due cotture per sfornare un piatto, ndr), ma solo perché il nostro sistema è rodato. È importante che tutti lavorino con serenità, gli straordinari sono un'eccezione rara”. Una piccola impresa meridionale con molto carattere, insomma, e non stupisce rilevarlo, visto l'approccio volitivo di chi la dirige: “Nel nuovo laboratorio, per adattarci allo spazio, abbiamo fatto di necessità virtù, all'ingresso ci sono i ragazzi che lavorano, ho schermato i forni per garantire a tutti di avvicinarsi in sicurezza per guardarli all'opera. Ho fatto tesoro degli errori passati, ho ottimizzato gli spazi. Sul retro si articola lo showroom, come nelle botteghe di un tempo, dove l'artigiano lavorava sotto gli occhi di tutti. Questo ci ha dato nuovo sprint, siamo orgogliosi di mostrare il nostro lavoro”.
Per Wicky Priyan
Gli inizi nella ristorazione. Come si inventa un piatto da chef?
Ma com'è arrivato Alessandro sin qui? “Quando ho iniziato, molti anni fa, mai avrei pensato che i miei piatti potessere servire la ristorazione. Certo mi è sempre piaciuto mangiare, scoprire tavole nuove, e il desiderio di uscire dal mio microcosmo mi ha aiutato molto”. Poi, nel 2007, la crisi economica ha accelerato il processo, la necessità di reinventarsi si è fatta impellente: “Con Franco Ruta (patron della Dolceria Bonajuto, scomparso nel 2016, ndr) giravo tanto per ristoranti. Lui è stato una figura chiave, uno dei miei mentori, insieme a Corrado Assenza. A entrambi sono grato per aver orientato il mio interesse in questa direzione. Ho capito che potevo investire le mie energie in un nuovo settore”. Ma non dall'oggi al domani, “perché in questo mestiere non ci si improvvisa: ho maturato l'idea, comprato nuovi forni, e deciso di dedicare tutte le mie energie su un obiettivo”. All'inizio c'è voluto tempo persino per comprendere che l'unicità, il fatto che ogni pezzo fosse diverso dall'altro perché dipinto a mano, e avesse una storia a sé, rappresentasse un valore aggiunto: “Corrado mi ha aiutato a capirlo, 'la mano non è mai uguale', mi diceva, e questo accomuna chiunque lavori in modo artigianale”. Il resto l'ha fatto quella che oggi Alessandro non esita a definire “una certa faccia tosta”: “Ho cominciato a propormi per quello che facevo, ho girato e mangiato tantissimo, visitato le migliori e le peggiori tavole d'Italia e del mondo. Nel 2008 mi sono presentato col mio baracchino a Identità London, molti chef hanno usato i miei piatti... Thalass è finito sull'Herald Tribune”.
Estetica e funzionalità
E allora è arrivato il momento di fare sul serio: la certificazione di sicurezza sul colore, gli studi ripetuti per testare la resistenza del prodotto. “Il discorso creativo e lo stupore per la bellezza di un piatto si esauriscono in un paio d'anni se non procedono insieme alla garanzia di resistenza. I nostri piatti servono ristoranti e catering, se non è possibile impilarli con facilità e lavarli senza timore di romperli perché un cliente dovrebbe comprarli?”. Non è un caso che, ancora oggi, in visita ai ristoranti dei suoi potenziali clienti, Alessandro esiga di fare un giro nelle cucine, “per vedere come lavorano, misurare con gli occhi gli spazi: solo così posso rispondere al meglio alle loro esigenze”. Funzionalità, quindi, ma senza mettere in ombra una creatività prolifica che dei piatti di Thalass è stato il biglietto da visita per sfondare: “Molti chef si sono fidati di me, e ci hanno messo la faccia. Senza un testimonial all'inizio è difficile emergere. Oggi sono soddisfatto di poter presentare il mio prodotto per quello che è, mi contattano anche dall'estero, per ordini da catalogo o linee personalizzate; ma sono molto riconoscente a chi ha creduto nel mio lavoro all'inizio”.
Per Ciccio Sultano
Come il già citato Corrado Assenza (che di recente l'ha portato anche sul palco di Identità Golose), o Accursio Craparo e Ciccio Sultano: “Ma anche Carlo Cracco in passato, e Wicky Priyan a Milano. All'estero, invece, tramite distributori di fiducia, interagiamo molto con gli Emirati Arabi: a Dubai i nostri piatti sono entrati persino nelle collezioni di un museo. E a Londra, da qualche tempo, riforniamo molti ristoranti”. Tra i primi sodalizi, invece, Alessandro ricorda con particolare intensità quello con Pino Cuttaia: “Per (e con) lui ho realizzato una delle creazioni a cui sono più affezionato, un piatto per la Razza che riassume il mio modo di lavorare: volevo ricreare l'habitat di un pesce che si adagia sul fondo, ho utilizzato la sabbia, sfruttando il fatto che fonde a temperature più alte del vetro. Il risultato è un piatto dinamico, con la sabbia cruda che resta isolata e si muove racchiusa tra due lastre di vetro, e raggiunge un equilibrio con il colore del pesce davvero affascinante. Ma c'è voluto molto lavoro per perfezionare la tecnica”. La conoscenza di materiali e cotture è fondamentale quanto la bravura di un cuoco nel maneggiare grandi ingredienti: “Amo il vetro, so fare bene quello, non mi avventuro con la ceramica smaltata, molti lo fanno meglio di me. Però mi piace introdurre materiali alternativi, come il rame, o la micca. Lavorare su diverse temperature di fusione”. E poi c'è l'amore per il Giappone e l'estetica orientale, che presto ispirerà una nuova linea dai colori pastello.
I nuovi progetti, gli obiettivi futuri
Tra le ultime invenzioni anche un piatto per i crudi su tre livelli, per permettere al ghiaccio che si scioglie di defluire in basso: di nuovo la funzionalità al servizio dell'estetica. Con la volontà di non prevaricare mai l'obiettivo: “Non è necessario stupire a tutti i costi con colori sgargianti e linee complesse; mi piace lavorare con forme semplici, che accolgono il cibo. Non voglio realizzare bomboniere da tavola che si rompono al primo sguardo. Devo pensare al cameriere che porta il piatto, al lavapiatti in cucina”. La logistica la cura personalmente, tramite corrieri fidati: “In un anno, su migliaia di pezzi consegnati, durante il trasporto se ne rompono 3 o 4!”. Ora si lavora sul nuovo menu di Craparo, “si è presentato con la sua idea, abbiamo studiato insieme i piatti, ho realizzato 2 o 3 disegni diversi. Presto si potrà apprezzare il risultato”. E intanto si guarda al futuro, con l'idea di intensificare i rapporti con l'estero, ma con serenità: “Ora ho un nome e un'idea solida da presentare, sto rifacendo i cataloghi, mi racconto per quello che sono diventato, con il mio lavoro”. A testa alta.
a cura di Livia Montagnoli
Foto di Carmelo Poidomani (in apertura un piatto Thalass per Carlo Cracco)