Il professore universitario più famoso d'Italia Alessandro Barbero torna sul palco per la sua prima conferenza da quasi pensionato (ufficialmente lo sarà dal 31 ottobre) a Imola al festival gastronomico "Baccanale". La rassegna vanta la curatela dal suo collega medievista e famoso storico dell'alimentazione Massimo Montanari, insieme hanno dato il là a questa edizione dedicata al tema “Un filo d'olio”, con una conferenza intitolata Alimentazione e società nel Medioevo. Il cibo come sempre è stata l'occasione per parlare di molto altro, compresa qualche anticipazione sul libro di prossima uscita del prof su San Francesco. Sul palco i due storici sono saliti insieme e ad accoglierli c'era un teatro comunale gremito come a una prima.
Oggi esiste una pubblicistica sterminata su cibo, gastronomia, cucina, si potrebbe parlare di overbooking? Da storico come la vede?
Certamente quando un argomento diventa molto di moda c'è un rischio di saturazione, è verissimo. Poi bisogna distinguere da ciò che è l'enorme successo popolare dei libri di cucina e delle trasmissioni televisive, comunque finché quel successo c'è vuol dire che il pubblico è disposto a digerirlo. Per noi storici, invece, il tema è ancora abbastanza una novità. Anche se quello che forse è stato il più grande storico del Novecento che ha rivoluzionato il nostro modo di scrivere la storia, Marc Bloch, già 90 anni fa in una lettera al suo collega Lucien Febvre scriveva che stava interessandosi al problema della...marmellata, ovvero da quando fosse nata l'idea della nonna che fa la marmellata in casa. Voglio dire che quella generazione di grandi storici degli anni Venti e Trenta aveva intuito che nel tema delle consuetudini alimentari c'era un grande argomento storico. Poi però c'è voluto del tempo, da noi prima di Massimo Montanari nessuno si era immaginato di studiare queste cose, quindi per noi storici c'è ancora tanto da fare.
...quando nasce la marmellata fatta in casa?
Quando nasce la barbabietola da zucchero e da bene costosissimo coloniale, nel Medioevo era una spezia addirittura, lo zucchero non costa più nulla e nasce la marmellata della nonna. Ecco come si collegano le pratiche alimentari domestiche e economia globale. Bloch ci ha insegnato che tutto può essere oggetto dei nostri ragionamenti e delle nostre ricerche.
Cosa le piacerebbe affrontare come storico in questo ambito?
Mentre il mangiare e cucinare sono parte così importanti della nostra vita, le fonti medievali che abbiamo non sono così ricche su questi aspetti. Per avere un'idea di cosa mettevano in tavola quando si sedevano a tavola per un pranzo importante, magari in compagnia siamo ancora costretti a cercare degli affreschi dell'ultima cena e io personalmente negli affreschi dell'ultima cena, metà degli oggetti che vedo in tavola non capisco che cosa sono. Quindi bisogna ricostruire ancora pian piano da tanti indizi, lo stesso vale per la dimensione che nella società medievale è importantissima del fatto che gli uomini vivevano in un loro mondo e le donne in un altro. Mondi che si incrociavano a tanti livelli nell'intimità domestica, ma nel mondo pubblico no. E allora quando uno sceneggiatore di una serie televisiva mette in scena un banchetto e fa vedere un uomo e una donna alternati molto probabilmente sbaglia in pieno. Sono tutte cose che non sono entrate nella nostra percezione collettiva, da indagare ancora.
Il cibo ha sempre avuto potere di rappresentazione sociale e politica? Oggi è ancora così?
Nella nostra società occidentale, non so altrove, perché il mondo non siamo solo noi anche se ce ne dimentichiamo sempre, diciamo: nel nostro pezzettino di mondo l'ha persa perché effettivamente il livello del benessere si traduce innanzitutto nella possibilità di nutrirsi come si vuole e più o meno tutti oggi sono in grado di accedere a cibi che una volta sarebbero stati inaccessibili. Ancora cent'anni fa comprare un bel frutto maturo era una cosa che un povero non poteva permettersi, una pera era qualcosa esposto nella vetrina di un negozio di lusso, oggi non è più così, anzi. E infatti mentre in tutte le civiltà essere grasso è segno di benessere, prosperità e potenza, noi oggi in Occidente abbiamo creato un mondo in cui essere grassi vuol dire essere degli emarginati. Quindi il luogo comune si è addirittura ribaltato.
Le scelte protezionistiche sul cibo secondo lei sono utili, dannose, potenzialmente pericolose?
Tutti i Paesi vivono in un mondo di relazioni, connessi, in cui si importa e si esporta. Tutti i Paesi quando ritengono necessario farlo mettono tasse doganali e tutti cercano di promuovere le proprie tradizioni. Molti Paesi, pensi che promuovono anche la loro lingua, mentre noi di questo ce ne freghiamo e chiudiamo gli Istituti di cultura italiana all'estero per risparmiare quattro lire. Quindi diciamo che è assolutamente normale che ci sia una dialettica fra il promuovere quello che si ha e in qualche misura anche proteggerlo, il che non vuol dire che si facciano le guerre.
Secondo lei esiste una cucina regionale o una cucina italiana?
Una cucina nazionale italiana non esiste, esiste solo fra gli italo americani i quali mangiano spaghetti with meatballs e gli americani credono che quella sia la cucina italiana. La nostra cucina è un insieme di innumerevoli cucine. Massimo Montanari sostiene che non sono definibili nemmeno come cucine regionali io credo che abbia ragione, salvo che il concetto stesso di regione è confuso. Perché le nostre regioni amministrative in qualche caso corrispondono effettivamente a dei tratti culturali e dialettali abbastanza precisi. La Sicilia è fatta di tante realtà locali, però è difficile negare che esista una cucina siciliana, per il Piemonte si può dire abbastanza la stessa cosa, mentre invece regioni come la Lombardia o l'Emilia trattino Romagna hanno da questo punto di vista molto meno logica. Quindi indubbiamente ridurre il discorso alle cucine regionali ha ragione Massimo Montanari è sbagliato, si perde molto.
Professore lei è una buona forchetta?
«Mi piace molto mangiare bene, ma non sono una buona forchetta perché mangio poco ho una capienza limitata e non posso approfittare quanto vorrei».