Nutriscore e correct eating. Ma la cultura gastronomica è più articolata
“La cucina è armonia quando nutre e fa bene, è basata sulla stagionalità e sulla varietà, è amica del territorio e ne rispetta le radici culturali. I formaggi facevano parte della dieta dei nostri antenati e non dovrebbero mancare neanche in quella dei nostri figli. Dietro ogni formaggio DOP c’è un patrimonio enogastronomico fatto di tradizioni, persone, territori e clima unici al mondo per peculiarità. Penalizzando i formaggi certificati, il Nutriscore mette a rischio ricette dove la presenza dell'ingrediente è caratteristica essenziale, sia a casa che al ristorante”. Davide Oldani, chef pop ma anche pluripremiato, non ha dubbi. E si schiera accanto ai produttori dei formaggi storici italiani e a denominazione di origine contro un concetto di “correct eating” che non tiene conto delle diverse abitudini e tradizioni alimentari e che mette “fuorilegge” la cultura enogastronomica di interi pezzi di popolazione europea. Con buona pace della Dieta Mediterranea (la migliore al mondo nel 2022 secondo l’US News & World Report in una classifica di 40 stili di vita alternativi e dal 2010 Patrimonio immateriale dell’umanità UNESCO), che ha in questi alimenti un “ingrediente” fondante, da sempre. “La dieta è un comportamento complessivo che si tiene ogni giorno, tutti i giorni. Non è fatta solo di un cibo o di un colore verde che dà l’idea di poterne mangiare a volontà o di un colore rosso che fa apparire un determinato alimento come proibito. Sono l’educazione e la consapevolezza nutrizionale a fare la differenza. Etichette a semaforo, oppure con lettere apposte come un voto scolastico, basate su quantitativi di riferimento (100 grammi) scollegati dalla dieta e dalla porzione consigliata” spiega il nutrizionista e gastroenterolo Luca Piretta “sono ingannevoli rispetto alla reale natura del prodotto singolo, e alle quantità effettivamente consumate. Ad esempio, la quantità di formaggio aggiunta a una ricetta può essere molto variabile a seconda del tipo di formaggio o della pietanza e quella di olio extravergine da 10 a 20 grammi. Per altri prodotti, come pizza o patate o frutta e verdura, la porzione è solitamente superiore a 100 grammi”.
Nutriscore. Quali sono i grandi formaggi italiani a rischio
A lanciare l’allarme per la nuova normativa che è in fase di discussione e approvazione presso il Parlamento Europeo, è Afidop (Associazione italiana formaggi Dop) insieme ai Consorzi di Tutela dei formaggi a denominazione d’origine protetta: hanno chiamato intorno a un tavolo cuochi e nutrizionisti per contestare e spiegare il loro no al cosiddetto Nutriscore: l’etichetta a semaforo, attribuendo un colore “sfavorevole” a prodotti come formaggi, ne disincentiva il consumo e dà informazioni limitate e fuorvianti ai consumatori.
In particolare, tutti i formaggi portabandiera dell’Italia nel mondo finiscono nel mirino del Nutriscore: Asiago Dop, Gorgonzola Dop, Grana Padano Dop, Mozzarella di Bufala Campana Dop, Parmigiano Reggiano Dop e Pecorino Romano DOP, solo per citarne alcuni, classificati perlopiù con il colore arancione e la lettera D - in una scala colorata, da verde scuro a rosso, e con delle lettere, da A a E, per indicare quanto un alimento sarebbe sano o da evitare.
“Diciamo no al Nutriscore” afferma Antonio Auricchio, presidente di Afidop “e alle etichette basate su quantitativi di riferimento scollegati dalle abitudini di consumo nella dieta quotidiana. Si tratta di strumenti fuorvianti che svalorizzano l’immagine delle Dop e disincentivano il consumo dei nostri piatti banalizzando i valori nutritivi dei nostri prodotti. Sosteniamo e promuoviamo informazioni corrette e complete al consumatore per una alimentazione sana ed equilibrata e proprio per questo ci uniamo a quanti, in Italia e in Europa, ritengono il Nutriscore un sistema ingannevole per il consumatore ed esortano il decisore pubblico a fare muro contro l’attuazione di questa proposta”.
Patuanelli: agricoltura e cibo non sono Commodities
Con una parentesi iniziale relativa alla crisi delle filiere agroalimentari – in particolare quella lattiero-casearia e agroalimentare in genere – e con la richiesta che Paesi in cui la crisi legata alla guerra in Ucraina porta più danni possano avere a disposizione i mezzi necessari ad affrontare le drammatiche conseguenze che potrebbero portare a perdere definitivamente le filiere che ne costituiscono un vero patrimonio d’eccellenza, Stefano Patuanelli, Ministro per le Politiche Agricole, Agroalimentari e Forestali, ha ripetuto il No dell’Italia al Nutri-Score. "È un sistema che non informa, ma che punta solo a condizionare il consumatore" spiega in sintesi il Ministro "Il pilastro centrale per una sana alimentazione sono l’educazione e la consapevolezza su cosa e su come si mangia. Solo così il consumatore potrà scegliere. Non ha senso imporre una dieta, tantomeno in Paesi in cui la cultura alimentare è vasta e varia, differenziata per territori e per generi alimentari. Noi abbiamo elaborato un diverso sistema di etichettatura che invece informi sui valori calorici e nutritivi, anche in relazione alla porzione giornaliera consigliata. E su questo fronte stiamo conquistando sempre più consensi a partire da Slovenia e Spagna per finire in Francia dove pezzi importanti di società civile e associazioni di produttori cercano di convincere il governo della insostenibilità del NutriScore". Anche perché, spiega Patuanelli e lo afferma con forza, l’agricoltura e il cibo non possono essere semplici Commodities: un prosciutto non è identico a un qualsiasi altro prosciutto, un formaggio non è identico a un qualsiasi altro formaggio. E il consumatore deve essere informato su cosa ha nel piatto o sullo scaffale: altrimenti viene solo ingannato. I nostri prodotti sono di qualità assoluta – dice Patuanelli – e non sarà certo un “semaforo” a determinarne il valore.
Non solo formaggio: anche olio e vino sono a rischio
Non sono però solo i formaggi a rischiare il semaforo arancione. Il vino, per esempio, per ora sembra averla scampata per il rotto della cuffia, mentre invece l’olio extravergine di oliva - ritenuto dalla gran parte della comunità scientifica un cibo-medicina per quanti nutrienti positivi apporta all’organismo - rischia di finire all’ultimo livello del Nutriscore in quanto considerato semplicemente un grasso. Anche qui, come se uno potesse bersi un etto di olio a gogo! Quindi, anche il mitico e suggestivo - nonché ottimo - filo di extravergine a crudo su zuppe, pizza e altri piatti della cucina mediterranea, diventerebbe “trasgressivo”. Da non credere!
Trema l’intero agroalimentare italiano
Netta anche la posizione di Riccardo Deserti, Presidente di OriGIn, l’Organizzazione internazionale delle Indicazioni Geografiche: “I formaggi Dop sono la spina dorsale dei prodotti di qualità dell’agroalimentare italiano, ma il futuro dell’intero settore è a rischio. Senza il mais e il girasole dell’Ucraina, il mercato globale delle materie prime per la zootecnia è andato in crisi, con ricadute su tutta la filiera lattiero casearia italiana. C’è poi lo spettro della contrazione dei consumi: oggi a renderlo ancora più evidente nel nostro settore sono le conseguenze dirette del conflitto, il caro bollette e petrolio. Ma domani potrebbe arrivare anche il Nutriscore, un sistema di etichettatura nutrizionale fuorviante che va bloccato prima di allontanare ulteriormente il consumatore dai formaggi e da altri simboli della dieta mediterranea”.
Se il Nutriscore venisse approvato dall’UE, a farne le spese non sarebbe solo il consumatore, ma anche il Sistema-Paese. Secondo il rapporto Ismea-Qualivita, quello dei formaggi Dop/Igp è un comparto strategico del Made in Italy alimentare, con 55 prodotti caseari a denominazione e quasi 26mila operatori, che generano un valore di 4,2 miliardi di euro alla produzione, pari al 57% del comparto Cibo DOP IGP. Un modello che rappresenta una tradizione millenaria che nessuno in Ue riesce ad uguagliare, una filiera che le decisioni di Bruxelles mettono a rischio… a 30 anni esatti dalla nascita di Dop e Igp.
Oltre il Nutriscore
La verità, però, è anche altra. E se sono a rischio piatti storici - come la Caprese (pomodoro, extravergine e mozzarella di bufala campana dop), come l’Acquacotta (Maremmana e della Tuscia con Pecorino Toscano o Romano Dop e olio extravergine) e gli spaghetti al pomodoro (con una spolverata di Parmigiano Reggiano Dop e ovviamente extravergine) - è anche vero che per alcuni aspetti il Nutriscore potrebbe avere anche una valenza positiva: ingurgitare grassi non è sano. Ma dietro a questo aspetto c’è la politica agroalimentare italiana che solo troppo tardi (per l’olio extravergine, ad esempio) o ancora per nulla (come per i formaggi), punta a dare il giusto valore alle produzioni di valore (in cui a fianco del grasso ci sono anche importanti polifenoli e vitamine, micronutrienti assolutamente importanti per la salute). Oltre, ovviamente, a non considerare tutto ciò che affermano nutrizionisti, cuochi e storici: la cultura alimentare che determina il contesto in cui quegli alimenti sono inseriti e quindi l’uso (e il dosaggio) che se ne fa.
Come ormai studi importanti hanno dimostrato, i formaggi da bestie alimentate a erba (per non parlare di quelle allevate al pascolo e/o allo stato brado) hanno valori nutrizionali importanti e che vanno ben oltre il rapporto grassi/proteine. Idem per la carne.
Ma quanto dobbiamo aspettare perché la nostra politica affronti anche in sede europea questi aspetti, oltre al Nutriscore? Non è solo questione di tradizione gastronomica e alimentare, è un problema soprattutto di valore del cibo e del suo impatto ambientale ed economico. Forse siamo giunti a un punto in cui le conoscenze accumulate sul fronte della produzione industriale vadano utilizzate su altri terreni, scegliendo la strada di allevamenti e produzioni meno industriali e intensive e maggiormente estensive dando così più valore ai prodotti che ne derivano oltre che al tanto decantato (ma fino a che punto davvero considerato?) benessere animale. Certo, bisognerà cambiare di conseguenza molte (scorrette) abitudini sia alimentari che di acquisto, ma probabilmente ne vale la pena. Almeno si dovrebbe cominciare a pensarle, queste cose, e a dar loro più spazi e sostegni: senza ovviamente costringere nessuno a fare scelte obbligate, ma rendendo più facile a chi vuole, la possibilità di farle.
a cura di Stefano Polacchi