“Agricoltura come garante dell’approvvigionamento alimentare nazionale”. È questo – per dirla con il presidente Cia Dino Scanavino – l’impegno che il settore primario ha portato avanti con dedizione durante tutto il periodo di blocco delle attività, mettendo in evidenza il suo ruolo, più che mai, strategico. I consumi di cibo e bevande sono stati, infatti, tra i pochi che hanno segnato delle variazioni positive, dimostrandosi anticiclici rispetto alle altre filiere.
A fare il punto sul presente, ma anche sul futuro, è Cia-Agricoltori Italiani con un Report ad hoc elaborato da Nomisma su “Il ruolo economico e produttivo dell’agroalimentare italiano in tempo di Covid-19 e scenari di lungo periodo”, presentato in occasione del primo webinar post lockdown, dedicato al progetto “Il Paese che Vogliamo”. “Il Covid” ha evidenziato Scanavino “ha avuto effetti drammatici sulla tenuta socioeconomica del Paese e ha rimesso in discussione tutti i modelli di crescita. Ma la pandemia ha reso chiaro a tutti la centralità del settore primario”.
Consumi e canali di vendita durante il lockdown
Se si guarda al periodo 17 febbraio-24 maggio, si noterà che nella Gdo la voce grocery ha registrato un +13%. A trainare le vendite alimentari, gli ingredienti base (farina, lievito, burro, uova, etc) che hanno messo a segno un 42%, seguiti da pasta (+17%), ortofrutta (+15%), vini e alcolici (+11%). Ma lo stacco rispetto ad altri prodotti è ancora più evidente nelle vendite al dettaglio che, al contrario della distribuzione organizzata, nel primo quadrimestre dell’anno, sono andate giù del 10%, a fronte del +5% dei prodotti alimentari.
L’e-commerce, dal canto suo, ha registrato una vera e propria esplosione, toccando il suo picco più alto a metà aprile, per poi tornare a decrescere: progressivamente l’incremento dal 30 dicembre al 21 giugno è stato del +120%. Tuttavia, non è bastato a compensare le perdite dovute alla chiusura dell’Horeca: lo stop imposto a bar, ristoranti, alberghi e agriturismi ha avuto ricadute negative anche sull’agroalimentare nazionale con perdite di almeno 2 miliardi. “D’altronde” ricorda il responsabile agroalimentare Nomisma, Denis Pantini “in Italia i consumi fuori casa rappresentano una quota del 34% rispetto al totale dei consumi alimentari”.
Allo stesso tempo, il timore di contatti e assembramenti, unito alla necessità di uscire e spostarsi il meno possibile, ha portato gli italiani a privilegiare, più di prima, i negozi di vicinato. Con la fine dell’emergenza, però, il momento di gloria di questo format, sembra stia “sfumando”.
Altra voce in perdita è quella dell’export: complessivamente il food&beverage italiano è sceso dell’1% a valore ad aprile (rispetto allo stesso mese del 2019), mentre è riuscito a tenere nel quadrimestre a +8,9%.
Più prodotti tipici e locali: i trend per il futuro
Ma cosa ci porteremo dietro da questo periodo? Il lockdown e, quindi, il blocco degli spostamenti in Italia e verso l’esterno, insieme allo stop delle attività non essenziali, ha consolidato alcuni valori alla base degli acquisti di prodotti alimentari italiani che possono garantire e tranquillizzare il consumatore per via della loro sicurezza e qualità.
Dall’analisi Nomisma-Cia, infatti, emerge un cittadino che esce dalla crisi pandemica più attento al Made in Italy (26%), alla tutela dell’ambiente (22%), alle tipicità del territorio (16%), alla salute (15%) e alla convenienza (14%). Stando a queste criteri di scelta, sarà l’-e-commerce a giocare un ruolo importante per il futuro: in un contesto in cui la vendita online dei prodotti alimentari è destinata a crescere (il 95% degli italiani crede che l’acquisto web di prodotti alimentari aumenterà nei prossimi anni), questo canale avrà un ruolo centrale nello sviluppo del mercato tipico/locale: il 92% degli italiani crede che questa sia, infatti, la modalità più utile per poter acquistare i prodotti alimentari dei piccoli produttori, specie quando si parla di piccole realtà situate in zone interne e difficili da raggiungere.
Invecchiamento demografico e nuovi scenari
I cambiamenti e i nuovi trend dovuti al Covid, si innestano su un’evoluzione di lungo periodo (cambiamenti demografici, socioeconomici, climatici, ecc) che in futuro modificheranno gli assetti produttivi della nostra agricoltura. In particolare, sui consumi di domani pesa l’invecchiamento della popolazione italiana: oggi i cosiddetti silver (over 66) sono 13,2 milioni, nel 2050 diventeranno 18,9 milioni, mentre i Millennials (18-38 anni) passeranno da 13,6 milioni a 11,6 milioni. Cosa comporta e cosa ha già comportato questo avanzamento dell’età della popolazione? “Una popolazione più vecchia consuma di meno” fa notare Pantini “e per certi prodotti il calo potrebbe essere rilevante”. Infatti, secondo la survey Nomisma per Cia, oggi rispetto a 10 anni fa sono aumentati i consumi di verdura (+59%), frutta (+48%) e olio evo (+18), a fronte del calo di pasta (-24%), carne (-38%) e salumi (-45%). Tra 30 anni si prevede un aumento del consumo di cibo bio (+44%), mentre diminuiranno i consumi di vino rosso (-22%) e carne rossa (-45%).
Altre variabili che influenzeranno i consumi
Oltre all’evoluzione della popolazione per fasce di età, le variabili che concorreranno a definire il modello di consumo futuro, sono molteplici: la presenza di stranieri (aumentata nell’ultimo decennio di circa il 30%); nuove modalità di lavoro (si pensi a quanto accaduto con la pandemia e allo smart working); l’evoluzione dei redditi e le relative differenze di approccio all’acquisto/consumo. E, poi, c’è anche una nuova visione del mondo che il Coronavirus ci ha lasciato: “Pensavamo che le grandi città, Milano in primis, dovesse guidare la crescita del Paese senza sé e senza ma” fa notare il segretario generale del Censis Giorgio De Rita “invece, adesso, dopo il lockdonw abbiamo capito quanto conti la tenuta dei territori e lo sviluppo delle città intermedie, quali motori di crescita”.
Come intervenire?
Tali modifiche non condurranno a un unico modello di agricoltura italiana ma, come evidenzia il responsabile Nomisma “affinché possa esistere una sostenibilità economica anche per le imprese situate in aree marginali, occorrono interventi infrastrutturali (in particolare sul digitale) e organizzativi (reti di imprese e di sistema) in grado di cogliere opportunità di mercato che altrimenti andrebbero perse (export, turismo). Inoltre, di fronte ad un’agricoltura polverizzata e polarizzata (il Sud, ad esempio, può contare su tante aziende agricole, ma di piccole dimensioni) la diversificazione, con l’introduzione di attività secondarie, diventa una risposta necessaria”. Si noterà, infatti, che negli ultimi 10 anni, le attività secondarie (agriturismo, produzioni di nicchia, energie rinnovabili) sono cresciute più del settore primario che è rimasto pressoché stabile. La sfida è, quindi, quella di diversificare per far crescere il reddito delle imprese agricole italiane, che oggi registrano un -1%, a fronte del +11% di Francia e Spagna.
Dello stesso avviso il vicepresidente Cia Mauro Di Zio, secondo cui “bisogna intervenire e ripartire dalle relazioni di filiera, sul rapporto con il consumatore attraverso una comunicazione adeguata e sulla relazione tra agricoltura e turismo”.
Turismo e digitalizzazione gli asset su cui puntare
Uno degli asset su cui puntare è, quindi il turismo agricolo che, nel 2018, aveva registrato 3,8 milioni di arrivi: 53% di stranieri Vs 47% di italiani. Negli ultimi 10 anni l’incoming da fuori confine è cresciuto del +131%. Motivo per cui sarà proprio questa attività a risentire delle restrizioni negli spostamenti dovuti al Covid, ma sarà anche uno dei punti fermi da cui ripartire.
L’altro asset è la digitalizzazione. L’e-commerce, ad esempio, potrebbe contribuire allo sviluppo di mercato delle produzioni locali, ma a patto che le infrastrutture digitali siano presenti anche nelle aree rurali. A oggi, l’accesso a internet in queste zone, in Italia, è dell’82%, ancora distante dalla copertura dei Paesi del Nord Europa (Paesi Bassi 99%; Svezia 97%; Danimarca 95%).
“È chiaro che bisogna accelerare interventi di digitalizzazione e di ammodernamento della rete dei trasporti; sostenere lo sviluppo di una sanità territoriale e di scuole decentrate; agevolare percorsi di aggregazione all’interno delle filiere per costruire sistemi produttivi territoriali; integrare sempre di più l’agricoltura con il turismo e l’enogastronomia di qualità” conclude il presidente Cia, ricordando che l’intento del progetto “Il Paese che vogliamo” è proprio il rilancio dell’Italia, investendo sul valore economico, sociale e ambientale delle zone rurali dello Stivale.
Il Paese che vogliamo. Fase 2
Dopo l’emergenza epidemiologica, infatti, riprende il progetto “Il Paese che Vogliamo” di Cia-Agricoltori Italiani che mette al centro l’agricoltura e le aree interne per lo sviluppo del territorio nazionale. Non più un roadshow, interrotto dal lockdown dopo 5 tappe da Nord a Sud Italia e oltre 300 interlocutori ai tavoli tematici, ma una serie di iniziative in webinar (una sorta di Fase 2) che sono ripartite proprio da questo primo appuntamento online.
a cura di Loredana Sottile
Articolo uscito sul numero di Tre Bicchieri del 2 luglio
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