Il documento è stato redatto e divulgato pochi giorni fa da un gruppo di docenti universitari che hanno dato risposte scientifiche approfondite a una serie di critiche che vengono rivolte all'agricoltura biologica da parte di detrattori, Senatrice Cattaneo in testa, che in un articolo su D di Repubblica ha accusato il biologico di far bene solo a chi lo produce.
La legge sull'agricoltura biologica in sintesi
I detrattori intendono ostacolare il percorso del testo unificato sulla produzione agricola con metodo biologico - presentato a marzo scorso dalla deputata Pd Maria Chiara Gadda - che è stato approvato a dicembre 2018 dalla Camera e ora al vaglio del Senato. E che, tra i punti più significativi, vuole introdurre un piano nazionale delle sementi biologiche: “Gli agricoltori che producono varietà di sementi biologiche iscritte nel registro nazionale delle varietà da conservazione, nei luoghi dove tale varietà si sono sviluppate, hanno diritto alla vendita in ambito locale e possono procedere al libero scambio delle stesse. Per le sementi non iscritte ad alcune registro ed evolute e adattate nell'ambiente di coltivazione è riconosciuto il diritto di vendita diretta agli altri agricoltori in ambito locale in una quantità limitata di sementi”. Il che si traduce in una vittoria per la biodiversità e per quei piccoli produttori che, se dovesse passare definitivamente il testo unificato, possono tranquillamente vendere i loro semi.
Le accuse alla legge
Nell'articolo firmato dalla Cattaneo si legge: “Chi avvia un’azienda biologica rinuncia a pesticidi e fertilizzanti di sintesi, ma non agli agrofarmaci autorizzati dai protocolli di certificazione bio, come i prodotti a base di rame, il cui impatto ambientale è tutt’altro che nullo vista la loro permanenza nei terreni per decenni”.
E poi la senatrice sentenzia sul fatto che l’agricoltura più sostenibile sia quella intensiva “grazie ai nuovi fertilizzanti, agli agrofarmaci e alla meccanizzazione dell’agricoltura (tutti odierni nemici delle tendenze “bio” e del mitologico “ritorno alla natura”) dal 1950 in poi la resa del frumento è quadruplicata, con la conseguente possibilità di sfamare più persone, senza che aumentasse in parallelo la superficie coltivata”. La senatrice fa insomma un'analisi per smontare il sentito comune che riguarda il biologico, e che spesso fa coincidere il concetto di biologico con “buono” e “salutare”.
La risposta degli scienziati
Lungi da noi avere una visione romantica delle cose – abbiamo sempre scritto della grande utilità dell'Internet of Things in agricoltura o degli enormi vantaggi dei nuovi metodi di coltivazione, idroponica in testa. E siamo ben consapevoli che l'istituzione del marchio biologico italiano per quei prodotti biologici ottenuti da materia prima italiana (art. 6 del testo unificato) per quanto sia una notizia positiva, rimane pur sempre una certificazione di processo e non di bontà del prodotto (un po' come le denominazioni di origine) - ma in questo caso sembra che la Cattaneo abbia una visione che muove delle perplessità. Torniamo al documento (che qui trovate integrale) redatto da Gaio Cesare Pacini, Paolo Barberi, Stefano Bocchi, Manuela Giovannetti, Andrea Squartini e Claudia Sorlini. Ecco i 5 punti salienti.
Sulle differenze di produttività tra agricoltura convenzionale e agricoltura biologica. È vero: l'agricoltura convenzionale è più produttiva, ma quella biologica dà la possibilità di sostenere le produzioni nel tempo diminuendo progressivamente l’input di risorse. In poche parole il calo di fertilità dei suoli coltivati in biologico è minore rispetto a quelli coltivati in convenzionale. E poi con l'agricoltura biologica si evitano all’ambiente impatti di sempre più difficile reversibilità nella prospettiva di lungo periodo.
Sui prodotti a base di rame e sui prodotti chimici di sintesi. Una cosa è dire che il rame è un metallo pesante e inquina, altra cosa è dire che è molto più dannoso per uomini e animali di alcuni prodotti di sintesi con funzioni analoghe. E poi non è detto che il rame nell'agricoltura convenzionale non venga usato, anzi (almeno nella biologica c'è un limite massimo).
Sull'agricoltura intensiva. È importante riflettere anche sull’impatto socio-economico e paesaggistico di sistemi agricoli estremamente semplificati come quelli tipici del modello industriale. Nel documento fanno l'esempio della Val Padana: “In Val Padana gli agricoltori si stanno riprendendo ora, dopo la crisi delle quote latte, anche grazie alle produzioni di qualità come quelle dei prodotti a denominazione e dei prodotti biologici, e forse sarebbe il caso di aiutarli in questa direzione anziché proporre panacee esterofile e inadatte ai nostri territori”.
Sull'innovazione. Non è affatto vero che l'agricoltura biologica non innova, anzi, la rinuncia alla chimica di sintesi obbliga gli agricoltori biologici a trovare soluzioni innovative spesso basate sull’integrazione tra diversi mezzi (genetici, meccanici, ecologici, ecc.). Metodi e attrezzature dell’agricoltura di precisione, insomma, non sono un’esclusiva dell’agricoltura convenzionale o integrata.
Sul problema della sicurezza alimentare in termini Fao. È vero: l’agricoltura biologica da sola non è in grado di risolvere il problema della fame nel mondo. Ma è altrettanto vero che qualsiasi soluzione dovrebbe passare dalla combinazione di strategie coerenti che prevedano interventi diversificati, come la riduzione degli sprechi o una distribuzione equa delle risorse.
a cura di Annalisa Zordan