Il Mofad di New York
Il Mofad di New York è uno dei (sempre più) numerosi musei dedicati al cibo nel mondo. A Williamsburg (Brooklyn), il Museo del Food & Drink celebra la cultura gastronomica con approccio divertito e divertente, per essere d'ispirazione per le generazioni future e insegnargli ad apprezzare il buon cibo e l'importanza di condividerlo con gli altri. L'impostazione di molte mostre e progetti temporanei, dunque, privilegia l'approfondimento storico e l'indagine antropologica, usando il cibo come veicolo di valori culturali: “Cibo è cultura, partecipazione, divertimento”, recita lo slogan che accoglie i visitatori nel Lab inaugurato nel 2015, quando il progetto ideato da Dave Arnold ha trovato residenza stabile, grazie alle numerose campagne di finanziamento online e al supporto di personalità note della scena gastronomica cittadina, da David Chang a Christina Tosi, a Wylie Dufresne. E proprio grazie al crowdfunding vedrà la luce la prossima mostra ideata dal Mofad – ma ospitata all'Africa Center di Central Park/East Harlem - a partire da febbraio 2020.
African/American. La mostra
African/American: Making the Nation's Table è un bel progetto che indaga le origini della cultura gastronomica del Nord America, individuando il fondamentale contributo di cuochi, produttori, agricoltori afroamericani nella definizione di quella che è la storia della cucina americana, frutto, com'è evidente, dei molteplici intrecci culturali che caratterizzano il passato e il presente degli States. Il progetto alle porte, però, mostrerà l'esito di un lavoro di ricerca ingente, durato più di due anni, con il coinvolgimento di numerosi centri di cultura e comunità afroamericane. La prima mostra negli Stati Uniti a celebrare il ruolo dei neri d'America in cucina: “Il cibo afroamericano è il cibo americano” spiega senza troppi giri di parole il curatore del museo Peter Kim. Come sempre, l'allestimento sarà multidisciplinare e interattivo, con il contributo di artisti, musicisti e cuochi: fulcro simbolico della mostra, non a caso, è la grandecoperta d'autore che concretizza un patchwork di storie (400!) degli afroamericani che hanno innovato la cultura gastronomica americana. E al pubblico saranno proposti assaggi, degustazioni guidate, esperienze virtuali per tornare indietro nel tempo.
Il ruolo della cultura gastronomica afroamericana
A curare il percorso espositivo è Jessica B. Harris, storica della gastronomia specializzata nella diaspora africana, che ha lavorato su quattro temi principali: il lavoro degli schiavi neri nelle risaie, e tre filoni narrativi legati ad altrettanti personaggi che hanno contribuito attivamente a gettare le basi della cultura americana a tavola. E non sempre conquistando la fama che gli spetterebbe. Come Nathan Green, schiavo nero e mentore del più noto Jack Daniel, alle origini della produzione di whisky in America. Più celebre la storia di Leah Chase, madre della cucina creola scomparsa di recente (giugno 2019), ma soprattutto ispiratrice del movimento per i diritti degli afroamericani dal suo avamposto di New Orleans, la tavola popolare del Dooky Chase, ancora in attività. Mentre il quarto dei racconti portati in mostra torna indietro nel tempo all'epoca di Thomas Jefferson; il protagonista è James Hemings, schiavo nero vissuto nella seconda metà del Settecento e liberato da Jefferson, per seguirlo nel suo viaggio diplomatico a Parigi. In Francia, Hemings studierà per diventare cuoco, e sarà il primo chef a importare in America la cucina francese, la creme brulée e altre specialità. Si toglierà la vita giovanissimo, all'età di 36 anni, ma il suo contributo è ritenuto fondamentale per l'evoluzione della cucina classica negli Stati Uniti.
La curiosità. L'Ebony Test Kitchen
Completa la mostra un pezzo unico nel suo genere, acquistato dal Mofad la primavera scorsa: la cucina di prova dell'Ebony Magazine, che tra gli anni Settanta e Ottanta è stata set per la realizzazione dei piatti da pubblicare nella rivista del primo e unico editore gastronomico afroamericano nella storia dell'editoria americana. I visitatori saranno guidati alla scoperta dello spazio dagli stessi giornalisti della redazione di Ebony. Gli assaggi ideati da Carla Hall, invece, saranno serviti all'interno delle scatole da scarpe che i viaggiatori afroamericani erano costretti a utilizzare come contenitori per il cibo quando ristoranti e locali americani rifiutavano di servirli. Un progetto di ampio respiro, dunque, e decisamente interessante. Ma anche costoso: 150mila dollari è il budget necessario per finanziare l'organizzazione della mostra. L'America si è mostrata ben disposta a dare credito all'iniziativa: la campagna di crowdfunding aperta su Kickstarter fino a qualche giorno fa ha raccolto 156mila dollari. La mostra si farà. Appuntamento al 2020.
a cura di Livia Montagnoli