Cerchi casa e lavori nel mondo della ristorazione? Potresti non incontrare il benestare di alcuni proprietari. In Italia un buon contratto nel food e ottime referenze sembrano infatti non bastare per accaparrarsi un affitto. È quello che è successo a Elisa, 24 anni e una posizione di tutto rispetto da TAC Thin and Cruchy, il locale di Pier Daniele Seu a Mostacciano, Roma. A causa del posto che ricopre come responsabile della cassa e dell'accoglienza, si è vista negata l'opportunità di proporsi per l'affitto di un appartamento insieme al compagno, collega bar manager. Sì, perché le difficoltà nella ricerca di un'abitazione per le discriminazioni verso le persone che orbitano attorno al pianeta cucina sono più comuni di quanto si possa pensare.
L'episodio a Roma
A confermalo sono i tanti commenti sotto al post Facebook della mamma di Elisa Sofia De Rocchis che ha condiviso sui social l'esperienza vissuta dalla giovane a fine ottobre. «Vivo da sola da febbraio e con il mio ragazzo sto cercando una casa più grande. Entrambi abbiamo un contratto a tempo indeterminato, e tutte le persone con cui mi sono approcciata per la ricerca di un nuovo appartamento mi hanno sempre e solo chiesto che tipo contratto avessi, mai di che cosa mi occupassi», racconta Elisa al Gambero Rosso. «Questo fino a quando mi sono imbattuta in una casa al Torrino - zona sud ovest di Roma, ndr - molto bella anche se un po' fuori budget. Mi sono messa in contatto con i proprietari che hanno iniziato a chiedere informazioni sul nostro lavoro». Una domanda che a Elisa non era mai stata posta prima d'ora durante la ricerca di una casa. E che le è sembrata essere dettata da un pregiudizio verso l'ambiente della ristorazione. «Quello che è venuto fuori è che al proprietario non piaceva il nostro settore, tant'è che è stato addirittura restio sul farmi vedere casa. Mi è molto dispiaciuto che questo sia accaduto a due ragazzi come noi che lavorano sei su sei e che hanno la fortuna di poter offrire garanzie», confessa.
Ristorazione mondo di serie B
L'episodio ha messo in luce quanto ancora in Italia si concepisca la ristorazione come un mondo di serie B, in cui la sicurezza di un contratto a tempo indeterminato non è sufficiente per l'affitto di un appartamento. «La mia esperienza ha fatto emergere altre storie simili. Nonostante tra i ragazzi che lavorano con me siano in pochi a vivere da soli, ci sono tante persone che si sono viste negare contratti di locazione a causa del settore nel quale operiamo. Io ho fatto in modo di avere un indeterminato proprio per poter cercare casa più facilmente e in tranquillità, ma non avrei mai pensato che questo potesse essere un problema. Mi sembrava che si fosse un po' sdoganato il fatto che lavorare nel mondo del cibo significasse precarietà, soprattutto perchè il nostro è un settore che ultimamente è andato molto bene. Lavorare in un ristorante non è meno importante che lavorare in azienda», sostiene la hostess di sala.
La situazione nel food
In effetti, stando agli ultimi dati del rapporto annuale Fipe, dopo gli anni durissimi della pandemia, la ristorazione oggi è in ripresa grazie alla crescita di investimenti, consumi fuori casa e personale. Basti pensare che nel settore sono impiegati più di 1milione e 70mila persone, di cui oltre il 66% lavoratori dipendenti. Di questi il 58% sono a tempo indeterminato, segno evidente di aziende più grandi e strutturate rispetto al passato. Una fotografia che racconta uno spaccato diverso da quello impresso nella mente dei più quando si parla di food. Ma non ancora sufficiente a appianare il divario con altri Paesi che promuovono ancora di più le attività ristorative. «Abbiamo tante nuove opportunità e tanti bravi ragazzi che stanno facendo crescere il nostro mondo. Non vedo perchè ci debbano bloccare quando in stati come la Spagna chef e camerieri hanno maggiore considerazione», chiosa Elisa.