Abusi e violenze al ristorante: la vita spericolata dei camerieri in Emilia-Romagna

7 Mar 2025, 07:52 | a cura di
Due casi di opposto segno nella stessa regione: lo sfruttamento denunciato da Libera a Bologna e l'esempio virtuoso del Bounty di Rimini

Camerieri: carnefici o vittime della crisi della ristorazione? Strano destino, di certo, il loro: sono l’araba fenice del settore, ne mancano a decine di migliaia in tutta Italia, un’indagine di Confcommercio di poche settimane fa parla di 258mila caselle che non si riesce a riempire nei settori di ristorazione, alloggio e commercio, con uno scarto tra domanda e offerta del 4 per cento nel 2025. Eppure questi oggetti del desiderio – e parliamo anche di cuochi, pizzaioli, barman, gelatai – sono sovente sfruttati, sottopagati, maltrattati. Proprio così: mentre c’è chi teorizza modelli virtuosi per attirare e fidelizzare il personale, qualcun altro continua ad applicare sistemi medievali di abuso che perpetuano quella percezione negativa di un settore in cui pare impossibile conciliare vita privata e lavoro, bilanciare sacrifici e guadagni. E due storie in arrivo dalla stessa regione, l'Emilia-Romagna, illustrano plasticamente questa contraddizione.

Un fermo immagine del documentario di Libera sullo sfruttamento dei camerieri a Bologna

Abusi e violenze

Partiamo dalla cronaca nera o almeno grigia. Gli imprenditori della ristorazione bolognese sono tornati sul banco degli accusati grazie a una videoinchiesta di Libera, La febbre del cibo. Bologna, il tuo odor di benessere, nella quale l’associazione antimafia svela il dietro le quinte di quella che è considerata una delle capitali italiani della gastronomia. Ecco così, oltre a tante altre zone d’ombra, contratti irregolari o addirittura inesistenti, turni massacranti, comportamenti fuori controllo da parte dei datori di lavoro, episodi di mobbing, abusi psicologici, comportamenti apertamente sessisti. Situazioni che naturalmente non sono certo appannaggio solo del capoluogo emiliano, ma che colpiscono particolarmente in una città da sempre considerata un modello di civiltà e inclusione.

Ecco così le testimonianze choc: “L’ambiente sembrava sano, ma il declino è stato quasi immediato. Avevamo un giorno a settimana libero ma che non prevedeva mai un weekend, la vita privata ad una certa è stata completamente annichilita”. “Durante eventi particolari capitava di smontare verso le 4 del mattino e riattaccare poi la mattina alle 11. Erano turni fatti per fare male alle persone”. “Tra stress e sforzo fisico ho perso molti chili, poi il non vivere più molto a casa e non vedere gli amici è stato il punto più basso, così mi licenziai. Azioni legali? Ci ho pensato ma temevo le conseguenze”.

“Lavoravo a chiamata e prendevo 40 euro a servizio, c’erano casi in cui però lavoravi sia a pranzo che a cena e finivi a fare anche 154 ore al giorno, ma non ti davano soldi in più”. “Ho un contratto part-time ma alla fine faccio 40 euro a settimana con straordinari e festivi non pagati. I turni li sappiamo sempre all’ultimo e non sono nemmeno fissi, quindi si arriva a un punto in cui la tua vita gira attorno solo a questo lavoro. Non posso dire nemmeno che voglio un giorno libero, bisogna sempre stare sull’attenti”. E la risposta a ogni lamentela è sempre la stessa: “Se questo non ti sta bene, quella è la porta”. Per non parlare dei commenti sessisti: “Vieni vista come la persona che serve e basta – racconta Luisa - c’è quello che ti schiocca le dita o ti chiama amore e tu devi accettarlo per forza, si può pensare siano cose piccole ma col tempo queste cose pesano”.

Giuliano Lanzetti

Il modello Bounty

Certo, si può dire che a scavare in ogni realtà si trovano dei comportamenti tossici, che questo accade dappertutto, che non si può fare di ogni erba un fascio. E infatti Confesercenti ha tentato di reagire: “Bologna non è la patria dell’illegalità”. Ma le testimonianze raccolte dagli attivisti/giornalisti Andrea Giagnorio Sofia Nardacchione non lasciano adito a dubbio. E inducono a guardare con un certo sollievo all'esperienza totalmente in controtendenza di Giuliano Lanzetti, proprietario del ristopub Bounty di Rimini. Non certo un locale fine dining, ma una macchina da guerra da 365 giorni di apertura l’anno per sedici ore al giorno, 330mila presenze e 7,3 milioni di fatturato all’anno, una case history di accoglienza e divertimento il cui successo lo ha indotto a dare vita a Pienissimo, la prima realtà in Italia che supporta i ristoratori dando loro strumenti concreti per essere competitivi sul mercato, basandosi su alcuni pilastri, uno dei quali è proprio il personale, che va formato e gestito in modo che si trasformi in un alleato dell’aumento della capacità di vendita e che va visto come una risorsa da valorizzare e non un peso.

In una recente colloquio con il Corriere della Sera, Lanzetti ha individuato tre ingredienti per attrarre personale di qualità: “Un’offerta di lavoro di qualità in un posto in cui si può imparare, una buona proposta economica e una prospettiva di carriera”. Secondo Confcommercio a far scappare i giovani da un settore assetato di forza lavoro sono la precarietà e la bassa qualità della vita, che si manifesta in contratti irregolari, stagionali, in licenziamenti brutali, in salari bassi a fronte di un impegno richiesto assai lungo e stressante, in una formazione scadente se non proprio assente. Tutto il contrario di quanto accade al Bounty, dove lo staff, composto da una sessantina di persone che diventano 110 nella stagione estiva, ha un’età media di 30 anni ed è motivato quando non entusiasta. Il tutto in una piazza come Rimini dove in piena estate il personale è conteso da decine di datori di lavoro. Ma Lanzetti vince a mani basse: “Rimini è già una meta molto esposta alla richiesta di personale stagionale, e c’è una “guerra” tra gli imprenditori per accaparrarsi i lavoratori migliori, ma ho imparato che per farlo non basta solo la forza economica, serve una proposta professionale seria”. Al Bounty il personale sa di poter contare su incentivi economici destinati al personale più apprezzato dalla clientela e da vitto e alloggio per gli stagionali. E se questo certo non può annullare lo stress e l’impegno intenso di un lavoro che del resto vive di picchi di impegno e di momenti di stanca, certo può giustificare l’investimento in termini di tempo ed energia.

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