Obesità infantile nel Regno Unito
Era il 21 luglio scorso quando, un anno dopo la sentenza della Corte d'Appello di Torino che consentiva ai genitori di rinunciare alla mensa scolastica provvedendo loro stessi ai pasti dei bambini, si riaccendeva la polemica circa l'alimentazione dei più piccoli nelle scuole italiane. Un dibattito ancora aperto, che continua a destare l'indignazione delle famiglie e degli insegnanti, in Italia ma anche all'estero. Servizi di ristorazione a parte, quello della dieta infantile è un tema caldo, sempre più battuto da nutrizionisti, medici, chef e addetti ai lavori di tutto il mondo. Soprattutto in Inghilterra dove, nell'estate del 2016, le dichiarazioni della premier Theresa May avevano scatenato la reazioni di chi nella lotta al junk food ci ha sempre creduto, come lo chef Jamie Oliver. Il Primo Ministro, infatti, di fronte al compito di rafforzare economicamente il Paese in vista della Brexit, aveva scelto di privilegiare l’industria alimentare, annunciando una evidente marcia indietro rispetto alle misure drastiche promesse dal governo contro il cibo spazzatura, come in passato è stato per l’introduzione della tassa sulle bibite zuccherate (tra le cause principali di obesità infantile), che è rimasta comunque in vigore.
Il nuovo progetto
Ancora una volta, i riflettori del sistema alimentare si accendono sulla Gran Bretagna, in particolare su Londra, dove ai ragazzi potrebbe presto essere vietato il consumo di junk food durante la pausa pranzo. Perché la lotta all'obesità infantile continua, con un'iniziativa del sindaco della capitale, Sadiq Khan, che, stando a quanto riportato dall'Evening Standard, ha annunciato di voler istituire un divieto a livello cittadino per tutti i ristoranti fast food che hanno intenzione di aprire una nuova sede entro 400 metri dal territorio scolastico. Con oltre il 40% di bambini in sovrappeso, Londra detiene attualmente il primato nazionale di obesità infantile, una problematica da risolvere al più presto, definita da Khan come una “bomba a orologeria”. La nuova zona “no-burger” voluta dal sindaco non contemplerà le catene di fast food già presenti nell'area, ma vieterà l'accesso a tutte le nuove insegne. I ristoratori che volessero intraprendere un'attività attorno agli istituti dovranno, dunque, porre maggiore attenzione alla sicurezza alimentare e ai principi di una dieta sana ed equilibrata riducendo, per esempio, la quantità di cibi fritti, e migliorando la qualità dell'offerta, prediligendo materie prime fresche e di stagione.
Gli ostacoli
Un progetto studiato con intelligenza e sensibilità, che però ha già incontrato l'ostilità di tutte le catene di ristorazione veloce. Secondo una mappa realizzata dall'analista Dan Cookson, infatti, se la regola venisse applicata sul territorio londinese resterebbero pochissimi spazi adatti ai fast food (attualmente circa 8mila nel perimetro urbano), lontano dalle scuole. Qualche parco, un sito industriale e poche altre le zone idonee per questa tipologia di ristorazione, che non avrebbe più la possibilità di aprire neanche nella maggior parte dei centri commerciali, spesso situati a poca distanza dagli istituti scolastici.
L'educazione alimentare
Nonostante le problematiche, il sindaco sembra determinato a intraprendere questa strada, continuando la sua battaglia contro l'obesità infantile che, ribadisce, non vuole essere una minaccia alle imprese dei fast food: “I ristoranti da asporto sono una parte fondamentale della vita londinese”, ha commentato, “ma è importante che non incoraggino i nostri figli a fare scelte alimentari sbagliate”. Perché la consapevolezza inizia fin da giovanissimi, con un'opportuna educazione sull'argomento. In casa, prima di tutto, ma anche nelle scuole, attraverso un servizio di ristorazione adeguato, lezioni dedicate, laboratori e anche – laddove necessario – delle regole in grado di contribuire, fin da subito, a formare futuri consumatori attenti e consapevoli. Le no-burger zone prenderanno piede?
a cura di Michela Becchi