Un giorno senza immigrati. La protesta contro Trump
“Non andate al lavoro, non portate i vostri figli a scuola, non fate acquisti...Non mangiate al ristorante”. Residenti, cittadini o irregolari, immigrati da tutto il mondo, insieme si può fare la differenza. E la mobilitazione in vista per la giornata di protesta contro la politica scellerata di Donald Trump che scardina i principi della tolleranza razziale e rischia di minare le regole della civile convivenza (oltre a gettare nel caos le frontiere statunitensi e chi deve sorvegliarle) “minaccia” di radunare davvero un gran numero di persone che sotto la bandiera a stelle e strisce hanno trovato ospitalità e ora non si riconoscono nel governo della Casa Bianca. Cittadini, dipendenti e studenti come tanti che portano un contributo concreto alla comunità statunitense, e per un giorno, giovedì 16 febbraio 2017, sono pronti a incrociare le braccia al grido di A day without immigrants. Del resto, sostiene qualcuno, gli Stati Uniti sono un paese fondato sull'immigrazione, gli unici Nativi sono gli indiani d'America. E lo sciopero - organizzato nello stato di Washington, ma destinato a coinvolgere a macchia di leopardo chiunque voglia dare il proprio supporto in giro per gli US - ha già ricevuto il sostegno trasversale dell'opinione pubblica, coinvolgendo tante attività commerciali che proprio gli immigrati oggi gestiscono con successo.
La solidarietà dei ristoranti. José Andrés in testa
Non fa eccezione la ristorazione, vivace terreno di incontro culturale e meticciato gastronomico: moltissime insegne oggi resteranno chiuse, rivendicando il diritto all'uguaglianza. E tra le voci più celebri che si alzano dal coro c'è quella di José Andrés – immigrato spagnolo dal 1991, nel 2015 aveva mandato all'aria le trattative per l'apertura di un ristorante all'interno del Trump International Hotel D.C. dopo le infelici dichiarazioni del candidato presidente in campagna elettorale, che additavano gli immigrati messicani come criminali; la battaglia legale è ancora aperta - che su Twitter ha annunciato la serrata di cinque insegne del gruppo che fa capo al suo nome (Zaytinya, Oyamel e tre filiali di Jaleo), a sostegno di tutti i dipendenti stranieri impiegati. “Siamo parte del sogno americano” ha ribadito Andres “ma ora siamo sotto attacco, specialmente i Latinos”.
Ma i numeri della protesta, solo considerando il settore in questione, sono ingenti, e difficilmente calcolabili: soprattutto negli stati della costa Atlantica i quotidiani locali riportano cifre che continuano a crescere, 20 saracinesche abbassate a Philadelphia, altrettante nell'area di Austin – soprattutto taquerie e ristoranti messicani, numerosi data la posizione geografica del Texas - un gruppo nutrito di insegne a Washington D.C. (dai ramen bar alle pizzerie, alle grandi catene di caffetteria), cuore della protesta, dove anche chi resta aperto potrebbe offrire un menu ridotto per il gran numero di dipendenti che ha scelto di non recarsi al lavoro. Proprio lo stato della Casa Bianca vanta uno dei tassi d'immigrazione più alti degli Stati Uniti, riferisce il Washington Post, e la protesta sembra destinata a rallentare fortemente le principali città dell'area.
Il sistema del cibo americano e il ruolo degli immigrati
Solidarietà allo sciopero, però, arriva anche da New York, dove la catena di ristorazione Blue Ribbon ha deciso di chiudere sette delle sue sedi in città. Mentre Tom Colicchio, celebre imprenditore del settore e star della tv, non chiuderà i suoi ristoranti, ma ha annunciato il supporto all'iniziativa, dichiarandosi disponibile a sostenere chi dei suoi dipendenti sceglierà di scioperare. E anche i dati raccolti dall'organizzazione Restaurants Opportunities Centers United (www.rocunited.org) vengono in soccorso all'iniziativa: 1 su 4 lavoratori nella ristorazione statunitense è straniero, come del resto molta della manodopera impiegata nei campi è costituita da immigrati, di cui tantissimi irregolari. Nel 2012 una ricerca del Pew Research Center Data stimava 1 milione e 200mila immigrati irregolari coinvolti nell'industria alimentare. Insomma, il sistema del cibo statunitense non può prescindere dall'immigrazione. Come pure la società americana. Che “A day without immigrants” sia.
a cura di Livia Montagnoli