E ora tocca all’Italia. Nel 2025, per la prima volta da quando l’organizzazione dei 50 Best è itinerante, la cerimonia del più importante premio gastronomico mondiale si svolgerà nel nostro Paese, e nello specifico a Torino. L’ufficialità è di poche settimane fa, ma la macchina organizzativa è già in moto. L’occasione infatti è importante sia per rilanciare il nostro Paese che da due anni esce con le ossa rotte dalla rivelazione della lista, sia per Torino e il Piemonte (e per tutta l'Italia, suvvia) per farsi conoscere ai giornalisti gastronomici di tutto il mondo. E forse anche un passo fondamentale per il riconoscimento della cucina italiana come patrimonio culturale dell'umanità, per cui l'anno scorso ha lanciato la candidatura all'Unesco.
Macchina complessa
Il 50 Best è infatti una macchina complessa, che coinvolge tutto il territorio. Nel corso dell’anno i 1.080 giurati votano i loro dieci ristoranti preferiti rispettando regole complesse che comprendono il fatto che possano dimostrare di averci mangiato nei precedenti diciotto mesi, ciò che premia i Paesi che più investono sull’accoglienza, ospitando i “voters” nei locali che vogliono spingere. Poi, una volta compilata la graduatoria vengono rivelati qualche settimana prima della cerimonia i ristoranti dalla 51esima alla 100esima posizione e quindi si svolge la rivelazione della classifica. In quei giorni tutte le persone più influenti del mondo della gastronomia convergono nella sede dell’evento: chef, ristoratori, imprenditori, votanti, giornalisti delle testate specializzate, uffici stampa e di comunicazione. E tutti, nei giorni che precedono la serata clou, quella del classificone, vengono coinvolti in una serie di eventi collaterali che comprendono decine di cene nei ristoranti della zona, visite turistiche e attività di intrattenimento. Pensate a quale effetto gigantesco possa avere su un territorio farsi conoscere presso un gruppo di un migliaio di persone così influenti. Perfino Las Vegas, una città carnevalesca sperduta in mezzo al deserto del Nevada che ha come “core business” il gioco d’azzardo, i matrimoni posticci e l’organizzazione dei convegni, e che ha lo stile di una ricca parvenu, ha avuto gioco facile (è proprio il caso di dire) a spacciarsi come destinazione gastronomica.
Location tutte da definire
Torino destinazione gastronomica già lo è, ma non potrà organizzare i “suoi” 50 Best all’insegna del gigantismo un po’ circense che ha contrassegnato le ultime edizioni di Valencia (2023) e soprattutto di Las Vegas (2024), se non altro perché non ha le strutture in grado di ospitare nella stessa sera i 1.200 invitati all’evento e di farli muovere con facilità nelle tre sedi in cui si svolge la serata: l’aperitivo di benvenuto, la cerimonia di premiazione e il party finale. A Valencia tutto si è svolto nell’ampia area dell’ex fiume Turia, che oggi ospita gli imponenti edifici espositivi disegnati dall’archistar Santiago Calatrava. A Las Vegas tutto è iniziato e finito all’interno del Wynn&Encore Hotel, un albergo-città che vanta migliaia di stanze, casinò, sale enormi e un teatro da più di mille posti. A Torino pare proprio che non sappiano che pesci prendere: se la premiazione potrebbe avvenire al Teatro Regio, dove far svolgere gli altri momenti della serata? Forse all’OGR, l’Officina Grandi Riparazioni che da cattedrale dell’industria cittadina è diventato un hub della cultura contemporanea? O forse al Lingotto? O ancora nel Parco Dora, altro esempio di rigenerazione urbana? Spazi suggestivi ma molto lontani tra loro e anche dal centro della città. Inoltre bisognerà approntare adeguate strutture di accoglienza, studiare esperienze da far vivere agli ospiti, coinvolgere tutti gli attori del settore dell’ospitalità per darsi un tono (servono migliaia di stanze di standard alto), fare in modo che i membri del comitato organizzatore, del quale fanno parte Federico Ceretto, Roberta Garibaldi e l’immancabile chef Massimo Bottura, possano lavorare in armonia con gli attori istituzionali, il comune, la regione e i rispettivi assessorati al turismo e alla cultura. Il tutto in un Paese che non ha nel fare squadra il suo punto forte.