“C’è stato il solito inciucio tra Spagna e Sudamerica”. La mette così uno degli chef italiani inclusi nella 50 Best nel corso del party che segue la cerimonia che, in uno sterminato albergo di Las Vegas, ha consacrato Disfrutar ristorante numero uno al mondo e ha scottato per il secondo anno di fila l’Italia. Che non trova più la chiave per primeggiare: -5 Riccardo Camanini, -3 Niko Romito, -16 Mauro Uliassi, -10 Massimiliano Alajmo, sembrano le temperature in Siberia a febbraio. Ed Enrico Bartolini, apparso l’anno scorso tra i primi cento, disperso senza dare notizie di sé. L’unico timido sorriso da Enrico Crippa, che fa registrare un +3 che compensa solo in parte il -23 dell’anno scorso. Un solo dato: nel 2022 c’erano cinque ristoranti italiani nei primi diciannove, oggi solo due.
I commenti dalla tifoseria italiana
L’atmosfera nella delegazione italiana a Las Vegas è tetra. “Gli chef dicono tutti che non ci tengono alle classifiche, ma poi se scendono ci stanno male”, dice l’addetta stampa di uno di loro. Nei corridoi del Wynn Hotel c’è più rassegnazione che rabbia, il cattivo risultato era nell’aria, ma certo si ragiona sui motivi dell’italian flop. Un giornalista esperto sostiene che non è un problema di qualità del cibo: “Non è quello il punto. Il punto è che i nostri chef non si muovono dalla cucina. La Fifty Best funziona con i consensi dei voters, i 1.080 esperti che esprimono i loro consensi. Che devi avere invitato a provarti nei mesi precedenti. La Spagna lo fa, il Sud America lo fa. Il Giappone, che ha secondo me i migliori venti ristoranti del mondo, non lo fa e infatti in classifica sta peggio di noi. Non serve a niente essere bravi se poi non porti la gente a mangiare da te”. E allora, che fare? “Secondo me bisogna spingere quelli che hanno i soldi da investire nella comunicazione ad alzare il loro livello di qualità. E quelli più bravi a investire nella comunicazione. Prendi Moreno Cedroni, lui ha tutto per stare in alto nella Fifty Best, ma non sa come fare a portare gente a Senigallia. E per restare a Senigallia, Moreno Uliassi è il numero uno in Italia ma non si muove dalla cucina. Se manca lui il ristorante chiude. Ma così non ci si promuove”. Quindi ognuno deve farsi il suo percorso di guerra? “Beh no, anche a livello di sistema qualcosa si può provare a fare. Intanto ci si può mettere tutti intorno a un tavolo a parlare”. Effettivamente creare gli stati generali dell’alta ristorazione italiana è un’idea che sibila qui a Las Vegas. Il primo chef ne è convinto: “Noi non sappiamo fare squadra, andiamo ognuno per conto proprio”.
Secondo un altro giornalista è anche una questione di divertimento: da Disfrutar passi quattro ore ma non ti annoi un solo minuto, succede sempre qualcosa. Gli spagnoli su questi sono maestri. Da noi la cena stellata è una liturgia all’antica, lo chef basa tutto sulla qualità della propria proposta e non si pensa davvero a far star bene l’ospite”. Il titolare di un ristorante in classifica punta tutto sull’ospitalità: “Conta l’esperienza complessiva, quella per cui stanzi una giornata per andare in un ristorante. Gli spagnoli ci sanno fare, noi un po’ meno”. Il collega di prima si inserisce: “Certo, ma noi italiani siamo maestri dell’ospitalità. Molti dei migliori ristoranti del mondo hanno maitre o sommelier italiani, ma poi te li ritrovi all’estero perché lì hanno migliori condizioni di lavoro”.
Il paradosso è che ci si lamenta che i gourmet non vengano a mangiare da noi, ma poi tutti i sei ristoranti nei primi cento sono in provincia, a volte in luoghi davvero scomodi da raggiungere. Elenca uno: “Castel di Sangro, Senigallia, Gardone Riviera, Rubano, Brunico, Alba. E Milano? E Roma? E Venezia? E Firenze? Non avrebbero più appeal ristoranti in città già visitate dai turisti?”
Obiettivo 2025
La vera sfida è quella dei prossimi anni. Nel 2025 il Fifty Best si terrà a Torino (l’ufficializzazione dovrebbe arrivare nelle prossime settimane) e dobbiamo cogliere l’occasione. Anche perché ospitare i Fifty Best porta un notevole indotto. “L’anno prossimo vedrete che saliremo, si favorisce sempre il Paese che gioca in casa”, assicura un giornalista. “Sì, ma è nel 2026 che ne godremo i vantaggi.
Nel 2025 i voters verranno a Torino, verranno portati in giro a mangiare e l’anno dopo ne vedremo, forse, i frutti.